Finalmente…Ci sono eventi attesi per così tanto tempo da sembrare impossibile che accada di assistervi. Come, l’uscita nelle sale del film Red Land – Rosso Istria
di Elisabetta Barich
Ci sono eventi attesi per così tanto tempo da sembrare impossibile che accada di assistervi.
Per questo, l’uscita nelle sale del film Red Land – Rosso Istria è stata accolta quasi con incredulità da molti di noi: noi siamo gli esuli –o più spesso i loro figli– dalle terre che si trovavano sul nostro confine orientale prima della seconda guerra mondiale, e Red Land si ispira a una delle pagine più tragiche di quella tragica storia.
Istria interna, luglio-settembre 1943: Norma Cossetto, studentessa universitaria, vive a Santa Domenica di Visinada dove la sua famiglia risiede da sempre; si reca però regolarmente a Padova, dove è iscritta alla facoltà di Lettere e filosofia, per ultimare la propria tesi in geografia intitolata “Istria rossa” dal colore del minerale molto presente nella terra istriana, la bauxite. La guerra infuria, e tutti vivono con timore quei giorni, ma nei piccoli paesi dell’interno dell’Istria non si ha ancora la percezione della sciagura incombente, la convivenza tra etnie italiana e slava è sempre stata pacifica, pur non essendo mancati episodi isolati di contrasti tra gli uni e gli altri: siamo in una terra di confine, dove in una stessa famiglia è normale che si mescolino diverse componenti linguistiche e culturali, non solo italiana e slava –slovena o croata che sia– ma anche serba, ungherese, austriaca, tedesca, boema… e questa è l’alchimia che ha reso possibile per secoli l’esistenza di una società autenticamente multietnica. Indipendentemente dalle origini, la popolazione prevalentemente si sente italiana (come risulta anche dai censimenti fatti nella regione già sotto la dominazione austriaca): la lingua parlata nelle famiglie è l’italiano –o, meglio, il veneto–, comuni con il resto d’Italia sono le abitudini alimentari e le tipologie costruttive. Il paesaggio istriano, con il villaggio di case in pietra, il campanile e il camposanto, richiama in tutto e per tutto i paesaggi di altre regioni della penisola, i nomi delle località e quelli imposti ai bambini con il battesimo, i sistemi di coltivazione della vite e dell’olivo, i campi con i muretti a secco… tutto parla italiano, sia pure in un micromondo molto variegato, i cui equilibri secolari sono stati irrimediabilmente spezzati dall’arrivo al potere del partito fascista. Questi, imponendo l’italianizzazione forzata , favorisce al contrario, tra la popolazione di lingua slava, l’insorgere di quel nazionalismo che ebbe come conseguenza le manifestazioni di odio e di violenza nei confronti dei civili italiani, abitanti autoctoni di quelle terre.
In questo clima di guerra e di paese allo sbando, creatosi dopo l’armistizio dell’8 settembre, si inquadra anche la vicenda di Norma Cossetto, che, portata via dalla sua casa da partigiani titini con la scusa di un interrogatorio, viene violentata da 17 di loro e infine gettata viva nella foiba di Villa Surani, dopo averne ulteriormente straziato il corpo. Bravi e coraggiosi nella scelta di questa sceneggiatura il regista argentino Maximiliano Hernando Bruno, il produttore Alessandro Centenaro, gli interpreti a cominciare dalla protagonista Selene Gandini, affiancata da dei giganti come Franco Nero e Geraldine Chaplin, come da altri bravissimi professionisti quali Sandra Ceccarelli e lo sloveno Romeo Grebenšek, e dallo stesso regista nel ruolo di Giorgio. Molto azzeccata la scelta dei volti, credibili interpreti di personaggi mai banali né marginali, perché tutti tragici protagonisti sulla scena di un mondo in frantumi. Film molto al femminile, per l’importanza che, loro malgrado, hanno sempre le donne in una guerra: lasciate nelle case dai mariti sul fronte, si trovano a combattere una battaglia altrettanto dura, a dover fare i conti con una realtà in continua evoluzione, a dover proteggere da sole quello che la storia sta portando via a loro e alle loro famiglie. E davanti a tutto questo, non ho potuto fare a meno di rivolgere il pensiero alla madre di mio padre, donna coraggiosissima che ha dovuto affrontare quello che mai si sarebbe immaginata, la fuga avventurosa da una Zara in fiamme, accompagnata dal figlio poco più che ventenne già tornato dal fronte, e portando con sé solo le chiavi di una casa dove non sarebbe più tornata ad abitare e qualche oggetto di valore da usare come moneta di scambio per ottenere passaggi di fortuna almeno fino a Trieste. Aveva 43 anni e tutto il suo mondo crollato intorno.
Elisabetta Barich nata a Milano il 3 novembre 1960. Compie gli studi tra Milano, dove consegue il diploma di maturità classica nel 1979, e Venezia, dove frequenta il corso di Tecnico del Restauro di Beni Culturali presso l’Università Internazionale dell’Arte, diplomandosi nel 1984; lavora in seguito presso una bottega di restauro a Milano fino al 1986. Dal 1986 lavora nella Redazione Cataloghi e Libri d’Arte della Arnoldo Mondadori Editore, e dal 1989 nella casa editrice Leonardo. Dal 1993 al 2005 collabora assiduamente come free lance con diverse redazioni di libri d’arte, narrativa e saggistica (Leonardo Arte, Electa, Mondadori Saggistica, Mondadori Meridiani, Adelphi, Longanesi, Guanda, e altre minori). Alla morte del padre, avvenuta nel 2006, fa seguito l’abbandono dell’attività professionale per dedicarsi all’impegno volto a tenere viva la memoria di una pagina di storia dimenticata: entra a far parte dell’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo – Libero Comune di Zara in Esilio, della quale è attualmente Assessore con funzione di Segretario Generale, oltre che del consiglio del Madrinato Dalmatico per la Conservazione dei Cimiteri Italiani in Dalmazia. Questo duplice impegno la porta a mettersi a disposizione di scuole e associazioni diverse che desiderino approfondire la conoscenza delle vicende che hanno coinvolto terre e popolazioni del confine orientale italiano nel Novecento. Risiede tra Milano e Venezia. Sposata dal 1991, ha due figli (Pietro, n. 1994, e Anna Zara, n. 1996) e un cane.