Considerazioni dopo il corso di formazione per giornaliste/i organizzato dall’ODG di Bari e Corecom Puglia: Come raccontiamo il mondo delle donne? Media, editoria, ricerca a confronto, Tenutosi a Bari il 26 gennaio.
Sono stata invitata a fare un intervento come editrice ed è stata l’occasione per vivere una giornata interessantissima (e di questo ringrazio in particolare la presidenza dell‘ODG di Bari e Rossella Matarrese che ha pensato di coinvolgermi) e ascoltare una serie di voci di grande interesse sia su come le donne vengono raccontate dai media sia su quanto e con quali modalità le donne siano presenti come operatrici dei media.
Nel primo panel si è partiti dalla ricerca Corecom/Unisalento su come i media pugliesi parlano della violenza di genere. L’interessantissima esposizione della professoressa Valentina Cremonesini è la conferma di quanto tante di noi attente a questo tema conosciamo bene: titoli sul raptus, racconto drammatizzato delle vicende, immagini di coppie felici, deresponsabilizzazione della società e patologizzazione dell’omicida; e la donna, che è sempre la fragile vittima, colpevole di essere stata incapace di abbandonare l’ex. Dopodiché si sono succeduti gli interessantissimi interventi di commento. Giusi Fasano ha portato l’attenzione sulle parole usate negli articoli. Anche se non si dice letteralmente “Se l’è cercata”, il concetto comunque traspare. Flavia Perina ha evidenziato come i femminicidi vengano raccontati male, quasi con sciatteria, come se fossero articoli meno importanti, ha ricordato come quasi nessun grande giornale abbia parlato in maniera esaustiva del Ddl Pillon, ricordando però il grande impegno di blog e sui social network su questo tema. Silvia Garambois, giornalista di Giulia, è tornata sui temi del linguaggio fuorviante, dell’immancabile raptus, del nominare lui per cognome e lei con il nome che spersonalizza, ha evidenziato come si racconti la vita dei femminicidi mentre ciò non si fa con gli assassini comuni. Poi la parola è passata a Maria Novella De Luca che ho spiegato che per raccontare in modo corretto i femminicidi occorra una sorta di “sterilizzazione” per far emergere gli elementi realmente fondamentali. Una considerazione molto interessante è stata il riconoscere che i grandi quotidiani devono lavorare meglio sulle pagine web e al contempo quanto può essere positiva l’attività dei social network che insorgono stigmatizzando brutte pagine tv come la puntata di Forum di qualche giorno fa in cui la giudice Melita Cavallo ha messo sotto accusa una ragazza vittima di violenza. Secondo De Luca si è interrotta la linea di comunicazione su quello che è stato il femminismo e abbiamo il dovere di scrivere pagine nuove sul linguaggio. Ha ricordato anche come il restringimento dell’occupazione nel giornalismo penalizzerà le giornaliste. La docente Francesca Romana Recchia Luciani ha ricordato le enormi responsabilità del giornalismo, che i passi avanti devono essere uno stimolo a farne ancora tanti a cominciare dal linguaggio. Si sta riportando indietro la storia, con le narrazioni tossiche, e solo il femminismo può contrastarle. Ha ricordato, con grande passione, come Università e giornali siano luoghi di sessismo profondo e incontrastato dove spesso anche le donne hanno introiettato le forme culturali del mondo degli uomini. Tutte voci femminili che hanno espresso temi importanti e di grande interesse, non nuovi per chi come me e tante si occupano di evidenziare le cattive narrazioni, ma assolutamente fondamentali per la formazione delle nuove leve giornalistiche.
Il primo intervento del panel successivo, in cui si dava la parola agli uomini, è stato di Piergiorgio Giacovazzo che si è detto offeso come uomo dall’essere definito, come a volte accade, maschietto e ha ribadito di voler essere chiamato uomo e non maschio. A parte l’interessante intervento di Bruno Mastroianni, che ha portato nuovi spunti dal punto di vista di blogger e socia media manager, e l’intervento interessantissimo e coinvolgente di Stefano Ciccone (che varrebbe per un intero panel), il punto di vista maschile è stato meno incisivo e, ahimè, un po’ più di circostanza, poco approfondito e condito di battute di cui tanti uomini non comprendono purtroppo il sessismo sotteso. Ma su questo punto torno nel concludere. Merita assolutamente tratteggiare i punti principali dell’intervento di Ciccone: si raccontano le donne come soggetti deboli, anche nelle campagne contro la violenza, che vengono colpevolizzate perché non denunciano; si semplifica senza raggiungere la complessità, si banalizza con frasi tipo “l’amore non è violenza”, si confondono le idee con messaggi fuorvianti tipo “due metà della mela” (senza riflettere sul fatto che le relazioni devono poter essere non per sempre), si annacqua il tutto con frasi come “Io sono contro tutte le forme di violenza”, si usa la violenza per esprimere ben altro “le nostre donne non si toccano”, si usano espressioni come “non siate mezzi uomini” (campagna della Regione Lazio) che hanno effetti diametralmente opposti perché i violenti vogliono proprio dimostrare di essere veri uomini. Nelle pubblicità poi, al di là di eventuali nudità, l’uomo è soggetto attivo, la donna passiva (ad esempio, pur essendo entrambi in costume da bagno). Ma il concetto da lui espresso che per me è il più importante di tutti è la rivendicazione della libertà maschile che non è annacquare o perdere l’identità maschile ma riappropriarsi di ruoli a cominciare da quello di cura.
Unica voce femminile in questo panel è stata quella di Elisa Gioni che, oltre a riprendere il tema delle cattive narrazioni della violenza, ha portato l’attenzione sulle immagini: non si mostrano gli uomini, ma solo immagini di violenza. Molto interessante la riflessione sul fatto che i database di immagini sono ricchi di immagini di donne violate ma non contengono immagini di uomini in atteggiamento violento quindi ciò limita la scelta di chi deve scegliere le immagini di corredo agli articoli. Quasi non vorrei parlare dell’intervento finale del panel, di Gianni Tanzariello, che ha detto che il raptus esiste, le tragedie sono tali e vanno trattate da tragedie (non cogliendo forse il senso dei discorsi del primo panel, in particolare di De Luca… o non avendoli ascoltati!) e che i femminicidi poi… non sono così tanti.
Il terzo panel è iniziato con la presentazione della ricerca Corecom/Uniba su Il racconto della trasformazione nello sguardo dei Tg Rai, presentata dalla docente Patrizia Calefato e dal team di lavoro. In sole tre parole si può riassumere l’interessantissima ricerca: Emergenza, Eccezione, Emancipazione. Le donne diventano protagoniste nei tg per raccontare fatti collegati ad emergenze/femminicidi, donne che fanno eccezione, e poi per parlare di emancipazione nei tipici servizi da 8 marzo (quando ci sono i picchi di presenza). Attilio Romita ha posto dei dubbi sulla scarsa attenzione verso le donne, ha evidenziato come molto sia cambiato negli ultimi 15 anni (ricordando come anni fa anche il sessismo nelle redazioni fosse molto maggiore) e ha sottolineato che forse “le donne fanno meno notizia”. Al contrario, la docente Letizia Carrera ha evidenziato come si tacci spesso di veterofemminismo chi lamenta la scarsa presenza di donne e ha evidenziato come la narrazione dei media sia importantissima perché è lo strumento grazie al quale ci facciamo delle idee da cui discendono i nostri comportamenti. Ricordando Thomas, “quando qualcosa viene definita come reale diventa reale”. Monica Pietrangeli, del CPO dell’Usigrai, ha raccontato i tristi numeri delle giornaliste italiane, poche in generale, molto poche come caporedattrici, mosche bianche come direttrici. E ha evidenziato come su di loro si concentri l’odio della rete (in generale le donne sono la categoria più odiata su Twitter) e come l’odio abbia dei picchi in corrispondenza dei casi di femminicidio. Molto interessante anche l’intervento di Antonella Baccaro che ha raccontato anche la nascita della 27esima Ora e ha ripreso e approfondito molti dei temi trattati narrando anche il ruolo delle giornaliste in un grande quotidiano come il Corriere della Sera. Il suo, come l’intervento di Giulia Blasi, appassionata e coinvolgente, e anche il mio, hanno avuto un po’ il ruolo di tirare le fila a fine giornata. Ci è piaciuto ricordare e ribadire come lo scarso numero di giornaliste sia compensato dalle tante blogger appassionate (sia di blog collegati a giornali come la 27esima che di indipendenti) che fanno un lavoro enorme nello stigmatizzare la cattiva informazione, nel combattere le fake news o contrastare atti politici come il Ddl Pillon e facendosi anche carico degli haters e di lunghi scambi verbali sui social, faticosi ma importanti. Magari non avendo una visibilità personale forte (ricordiamo che Giulia Blasi poco prima del #metoo aveva lanciato la campagna #quellavoltache con le stesse motivazioni) ma contribuendo tutte insieme ad una visibilità collettiva. Ed è stato importante che le stesse giornaliste professioniste abbiano riconosciuto il ruolo importantissimo svolto dalle blogger nel portare alla luce le cattive narrazioni sulla violenza.
Concludendo, non posso non notare come, a parte le eccezioni dette, Ciccone in primis, e parlando in particolare di giornalisti e giornaliste, le voci delle donne siano state quelle più interessanti, approfondite, motivate e appassionate e ciò deve far riflettere se messo in relazione con i dati sulla scarsa presenza delle giornaliste nell’informazione. E pensando alla profezia che si autoavvera, forse cambierebbe anche la realtà se ci fossero più donne a raccontarla.
Mi viene anche da riflettere sul fatto che il 24 e il 25 gennaio, due giorni fa, ho partecipato a Matera agli Stati Generali delle Donne: centinaia di donne italiane e di altri paesi del mondo sono giunte a Matera per parlare dei temi più disparati connessi con il mondo delle donne ma solo poche emittenti e pochi giornali locali ne hanno parlato.