Smettere di seguire un percorso intrapreso per fare qualcosa di diverso non significa necessariamente reinventarsi. Per molte di noi, fra cui io, sarebbe più adatta la definizione di “ritrovarsi”.
Ci si reinventa se e quando si lascia un lavoro, come può essere quello di ragioniera, e si realizza una cooperativa di allevatori di ovini di una particolare razza. Oppure, come è capitato ad una mia conoscente che ho ritrovato di recente, si lascia lo studio milanese di designer e si torna in Puglia per prendere le redini della masseria di famiglia.
Niente di tutto questo è accaduto a me.
Quando ho lasciato la mia città natale, Bari, per studiare Lettere a Firenze, pensavo che sarei voluta diventare uno storico dell’arte nel ruolo delle Soprintendenze, oppure un ricercatore universitario.
Invece, ancor prima di laurearmi, ho scoperto la mia passione per le tecnologie informatiche applicate alla gestione dei beni culturali.
Pur consapevole che mai e poi mai mi sarebbe stata suggerita una possibile carriera universitaria, ho tuttavia insistito testardamente nel farmi del male e ho continuato la ricerca e l’insegnamento a contratto all’Università di Firenze, contemplando al tempo stesso altre attività lavorative: didattica museale presso i musei fiorentini, bibliotecaria, redattrice, autrice di pubblicazioni divulgative. Infine sono stata assunta in una società privata che realizzava software per musei e biblioteche, e mi sono licenziata in meno di due anni, a causa della pessima atmosfera e trattamento nell’ambiente di lavoro.
Avevo già 46 anni quando ho preso la decisione di trasferirmi all’estero, in Germania, ed ero sposata.
A Berlino ho investito i miei risparmi in una attività di microricettività turistica, ovvero ho gestito un piccolo “Bed & Bed”. Mi sono inoltre dedicata ad attività che prendevano forma dalla mia diretta esperienza, come lo scrivere da italiana a Berlino per un pubblico di italiani a Berlino. Ho pubblicato un libro, diversi articoli, e ancora giro la città con la macchina fotografica, un taccuino, e racconto Berlino agli italiani dalle colonne di un giornale online.
Ma non si ferma qui, la mia storia.
Nel frattempo ho divorziato, ho imparato a vivere da sola, e sono stata a guardare cosa accadeva dentro di me.
L’idea per la mia prossima vita sta prendendo corpo: torno a vivere nella campagna toscana, per realizzare il sogno della mia infanzia. Voglio fondare un rifugio per cani abbandonati in simbiosi con una pensione per cani… ma di più non posso dire, è top secret. Magari tornerò a raccontarlo dalle pagine di Dol’s.
Quello che importa, alla fine, è aver imparato a sfruttare ogni mutamento esterno per una trasformazione interiore, secondo la metafora della barca a vela che naviga sì con un timone, ma spinta da un determinato vento. Il mio motto è diventato: “mai fare il contropelo alla vita”.
Reinventarsi dev’essere una bella cosa, ma io non sono tanto per le invenzioni, quanto per le scoperte. E così ho riscoperto me stessa.
1 commento
Ci vogliono anche mezzi economici per reinventarsi e ripartre..non avendoli,sono diventata una sorta di Florence Nightingale di famiglia. Non e’ stata una libera scelta,ma un atto dovuto all’educazione ricevuta e all’amore per i miei cari..inoltre avendo dovuto rinunciare a studiare medicina mi consola almeno il fare l’infermiera.
Confesso pero’ che cio’ non mi rende serena e tantomeno felice.Spero pero’ di potere realizzare il mio desiderio in una prossima vita.