di Caterina Della Torre
Fare l’agente penitenziario non è uno scherzo. Ma se poi intervengono anche altri problemi…
Profilo interessante, ho pensato, dopo averla conosciuta, ma poi ho scoperto che c’erano cose più importanti che mi avrebbe potuto raccontare.
Lucia Rosas ( non si sa se il suo vero nome o un nick) è ligure, 40 anni, sposata. Dopo aver vinto un concorso come agente di polizia penitenziaria sceglie, su consiglio del suo tutore, il Piemonte per cominciare a lavorare : posto fisso e tranquillo, indipendenza economica, basta essere figlia unica e con posti a termine.
Ti piaceva il lavoro?
Sì, mi piaceva e avevo trovato dei colleghi che erano disposti sia a insegnare il VERO lavoro (al corso invece tanta teoria, fatto salvo il poligono) che chiacchierare alla pari. Il mio era un isitituto piccolo quindi il gioco delle alleanze per una sedia in ufficio o decidere se credere ad un collega condizionavano l’operato. Se la squadra era affiatata potevi fare 8 ore e occuparti delle eventuali emergenze.
Una notazione a margine: è stato come fare la vecchia visita di leva per l’idoneità fisica, a cui seguono i test psicologici per garantire l’integrità dei nuovi arruolati.
Mentre per la scrematura: come tutti i concorsi pubblici c’era una marea di adesioni ai famosi e assurdi test multipli, ricordo ancora una domanda: ”come respirano le rane”.
C’erano molte donne anche se il penitenziario era maschile?
Sulla carta eravamo 3 donne, alla fine sono rimasta solo io. Infatti, una è andata in maternità, un’altra a fare un corso di aggiornamento. Ma questo per oltre 4 mesi, non doveva accadere. Poichè era un istituto maschile alla fine erano solo 3 posti di servizio dedicati alle donne: nucleo traduzione per fare numero (quindi quasi mai) poi colloquio detenuti (lì erano 3 giorni) o portineria/centralino. Il terzo di mattina diventava uno stress: dovevi rispondere al telefono, aprire delle porte carraie, comporre/ricevere telefonate, compilare 6 registri, accogliere le scorte dei detenuti, controllo documenti del personale civile in transito. alla fine eri una portinaia incrociata con un semaforo e sempre da sola nel posto di servizio.
Che studi bisogna aver fatto?
Basta il diploma per il ruolo agenti che è la base, serve la laurea legge o scienze politiche per diventare ispettore o direttore.
Ma era un posto fissso, alla fine, era quello che volevi, no?
Certo, un posto fisso che però è diventato difficile specie dopo il matrimonio e una serie di dolori acuti che all’inizio sembravano banali.
All’ospedale locale non capivano e gli esami diagnostici non aiutavano. Andai quindi a genova dal mio ex medico di base a cui raccontai cosa mi accadeva, mi diede un numero di cellulare. Poco dopo scoprii che aspettando qualche altro mese rischiavo di perdere utero e ovaie a 30 anni. La diagnosi: endometriosi.
Da allora indossare una divisa e affrontare poligono diventò un problema, così l’ospedale militare mi concesse il passaggio ad impiegato civile.
Impiegato civile? Cioè?
Amministrativo che può voler dire contabile, protocollo, a seconda dove ti riassegnano. Ho pensato di chiedere di lavorare nei tribunali ma mi hanno detto lì il personale non manca.
A Roma, poi, mi dissero che avrei avuto il ricongiungimento familiare ma il provveditorato non intendeva perdere un dipendente in una sede sottoutilizzata quindi spera che mi licenzi da sola.
Cosa fai adesso?
Sono a casa in aspettativa senza stipendio, vicino ad ospedale che conosce la patologia e mi rifiuto di tornare in quella sede visto come sono trattata dall’amministrazione del piemonte.
E cosa aspetti quindi?
Che la legge che veda l’endometriosi come una malattia civile venga approvata per poterli denunciare per mancato rispetto della salute e pari opportunità lavorative.