Zeno, Guido, Ada e l’amore: l’ascolto della Ciaccona di Bach come detonatore di desideri, inquietudini e nevrosi proprie dell’uomo novecentesco.
Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi pave dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze.
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923
A un dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno per quella sera dell’accompagnamento del piano, eseguendo la Chaconne. Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli non la guardò, ma guardò il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l’ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a buona parte della piccola società, toccò lievemente le corde con l’arco per accordare e fece anche qualche arpeggio. […]. Egli volgeva le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente per vedere se essa ne soffrisse. Non pareva! Aveva poggiato il gomito su un tavolino e il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare.
Poi, contro di me si mise il grande Bach in persona. Giammai, né prima né poi, arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su quelle quattro corde come un angelo di Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d’animo era nuovo per me e fu esso che m’indusse a guardare estatico in su, come a cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontana da me. Mai cessai di pensare: “Bada! Il violino è una sirena e si può far piangere con esso anche senz’avere il cuore di un eroe!”. Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed io cercavo di sottrarmi alla musica dicendomi: “Per saper fare ciò, basta disporre di un organismo ritmico, una mano sicura e una capacità d’imitazione; tutte cose che io non ho, ciò che non è un’inferiorità, ma una sventura”. Io protestavo, ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto l’orecchio e il cuore l’avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach […] non si poteva negarlo – la musica era divenuta vita, luce ed aria.
Così “confessa” Zeno Cosini, protagonista del romanzo La coscienza di Zeno di Italo Svevo, pubblicato a Trieste nel 1923.
L’episodio dell’ascolto della musica, narrato nell’ambito del capitolo inerente alla storia del matrimonio, diviene il momento nodale nella trama del racconto e motore propulsore a tutte le reazioni successive del protagonista. Zeno assume i tratti dell’uomo contemporaneo e cosmopolita, in preda a una molteplicità di sentimenti, persino contradditori e ambivalenti, tra intenzioni coscienti, desideri inconsci e pura casualità degli avvenimenti. L’utilizzo del discorso indiretto libero, alternato al discorso diretto, permette a Svevo di assumere il punto di vista del personaggio, esplicitandone i complessi processi psichici. Il continuo passaggio dal tempo passato della rievocazione dei fatti, al tempo presente delle riflessioni, crea un “tempo misto”, o tempo della memoria, che mescola piani di lettura e diviene l’espressione di una profonda interiorità conflittuale. Nonostante Zeno desideri opporsi con tutte le sue forze al potere della musica e del violino, foriero dell’incanto ammaliatore e ingannevole che è proprio della sirena, la musica gli “parla” nell’intimo e lo induce ad avvertire quei suoni come cosa novissima, attraverso l’esperienza dell’ascolto. Se Zeno è ben armato a combattere contro il rivale in amore Guido, egli si sente tuttavia del tutto inerme quando è posto dinnanzi alla Ciaccona di Bach, l’ultimo movimento della Seconda Partita per violino solo in Re minore, composta da Johann Sebastian Bach. Considerato uno dei capolavori assoluti della tradizione colta occidentale, la Ciaccona emerge complessa, a partire dalle sole quattro corde dello strumento, come una statua fuoriesce compiutamente da un blocco unico di marmo scolpito da un artista. I dolori, la malattia e le frustrazioni personali riaffiorano nella mente di Zeno quasi mitigati, grazie al potere consolatorio della musica. Emergono prepotentemente le contraddizioni interne, la rivalità nei confronti di Guido Speier, brillante e disinvolto violinista, antagonista nell’amore per Ada, la più bella e seducente tra le quattro figlie di Giovanni Malfenti, un abile uomo d’affari conosciuto alla Borsa di Trieste, il quale introduce Zeno come frequentatore abituale nella sua ricca casa. A ciò si assomma la frustrante consapevolezza che la paziente dedizione di Zeno nello studio del violino, giungendo a risultati certamente insoddisfacenti, è poca cosa di fronte al talento e alla sensibilità musicale naturale del suo competitore.
“ Io conoscevo la Chaconne nota per nota. C’era stata un’epoca in cui avevo creduto che, per progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per lunghi mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune composizioni di Bach”.
Guido suona il violino in una sorta di momentaneo distacco e di sospensione dall’ambiente esterno, incarnando l’immagine del virtuoso romantico, isolato o escluso dal mondo, nella compenetrazione dei segreti più oscuri della musica. Egli volge le spalle persino ad Ada e la reazione della fanciulla concentrata nell’ascolto, induce Zeno, che ne scruta ogni minima reazione e postura fisica, a illudersi che la ragazza non sia particolarmente turbata e forse neppure coinvolta sentimentalmente. Ma la profondità della musica va di pari passo con la profondità e l’inquietudine dei sentimenti amorosi. Guido appare, fin dai primi accordi al violino, un vero artista e non un semplice esecutore, capace di porre in risonanza le corde dell’animo umano e realizzare una creazione che smuove ed emoziona. Il grande violinista austriaco Fritz Kreisler, negli stessi anni a Vienna, sosteneva che il vero violinista non era quello che stupisce il pubblico per la sua capacità di funambolico giocoliere o quello in grado di impressionare e suscitare ammirazione, ma solo colui che commuove. La musica di Guido è innegabilmente “vita, luce ed aria” e neppure Zeno può sottrarsi alla magia che incanta e sospende nel vuoto, proiettandolo in un vortice emotivo di reazioni a catena “obbligate”. Spinto da mal celata invidia, tanto da giustificare le proprie scelte con motivi apparentemente futili che sono lo specchio della propria nevrosi, Zeno si sente scosso dalla musica che funge da detonatore e rinforza l’innesco di reazioni succesive.
Del resto come avrei potuto io andare a casa senz’aver parlato? Che cosa avrei poi fatto quelle lunga notte? Mi vedevo ribaltarmi da destra a sinistra nel mio letto […].
Ada respinge la proposta di matrimonio di Zeno che in seguito rivolge l’offerta alle altre sorelle; dapprima ad Alberta e infine ad Augusta, tacitamente innamorata di lui. Egli è profondamente attratto dalla bellezza e dalla sensualità di Ada ma prevale, ossessionato dal non saper più restare solo, il gesto di ripiego verso la terza sorella che si presenta come una donna protettiva e rassicurante e che manterrà fede ai propositi di dedizione muliebre per tutta la vita coniugale, nonostante tutto.
Ma perché Svevo sceglie proprio la Ciaccona come esempio paradigmatico della capacità della musica di divenire motore propulsore e deflagrante delle azioni umane?
La Ciaccona è inclusa nel corpus di musiche strumentali scritte da Bach a partire dal 1716, periodo in cui il compositore tedesco divenne direttore d’orchestra da camera presso la corte del principe Leopoldo di Anhalt Köthen. Nel 1720, rientrato da un viaggio a Karlsbad in compagnia del principe, Bach ricevette la notizia dell’improvvisa morte di Barbara, sua prima moglie, e iniziò di getto a scrivere l’ultimo tempo della seconda Partita, in forma di Ciaccona, una danza di origine spagnola o latino-americana, diffusasi in Europa tra Seicento e Settecento. Se in origine tale tipologia compositiva era nata con carattere vivace, in seguito si cristallizzò entro una forma a carattere austero e in tempo moderato, generalmente ternario, con una melodia disposta su un basso ostinato. L’intero brano bachiano è tripartito e si sviluppa a partire da un’unica cellula generatrice del tema iniziale del basso ostinato, su un tetracordo discendente, dalle note di Re a La, disposto su quattro battute. Il tema è rielaborato nel senso di una monumentale sequenza di variazioni ritmiche, melodiche, armoniche, ad esempio con l’inversione del tema per moto ascendente e mediante complessi procedimenti di variazioni, scale semplici o a corde doppie, arpeggi, senza soluzione di continuo. A partire da una prima parte composta nella tonalità di Re minore, la tensione drammatica conosce momenti di intensità in accentuazione, fino a una temporanea distensione sonora nella parte centrale – battute 133-208 – composta nella tonalità di Re maggiore. La parte conclusiva, nuovamente nella tonalità di Re minore, porta alla riproposizione del tema iniziale che si conclude con una solennità incredibilmente magniloquente. Bach creò un compendio delle difficoltà tecniche violinistiche, all’interno di un sistema armonico polifonico contrappuntistico molto complesso, per simmetrie e fitte corrispondenze geometriche tra le differenti sequenze. Il fatto che l’autore avesse accostato la polifonia al violino, introducendo accordi, bicordi, passi virtuosistici di stampo organistico e altri artifici, indusse i suoi contemporanei a etichettare come improponibili per difficoltà tutte le Sonate e Partite per violino solo, eseguite all’epoca con un violino dal ponticello piatto e con un arco molto convesso. Con l’avvento della moderna liuteria e delle moderne scuole violinistiche, le Sonate e le Partite divennero pietre miliari del repertorio virtuoso, rilanciate al grande pubblico in particolare grazie a Joseph Joachim. La profonda suggestione legata alla composizione ha portato a trascrizioni e riadattamenti di ogni tipo, per svariati strumenti o per orchestra. Le due trascrizioni per pianoforte più famose sono quelle di Johannes Brahms del 1877, per la sola mano sinistra, e quella di Ferruccio Busoni, composta nel 1897, compresa nel terzo volume della “Bach-Busoni Ausgabe”.
La musicologa Helga Thoene ha rintracciato i temi musicali di corali bachiani “nascosti” – come Christ lag i Todes banden e Jesu meine Freude – inseriti nelle variazioni, quasi che il compositore desiderasse instaurare una sorta di meditazione sui temi della nascita, della morte e della resurrezione. La riflessione iniziale sulla morte, nella tonalità minore, si stempera nella misericordia e nella soavità del potere consolatorio della musica che si risolve nella tonalità maggiore della seconda parte; in ultimo, la riproposizione della tonalità minore si dilata entro un’atmosfera differente rispetto a quella iniziale; la musica si rasserena, con la manifesta consapevolezza che l’idea del dolore e della morte possa essere illuminata grazie alla fede nella vita eterna e nella redenzione. Non è un caso che Svevo abbia deciso di mettere in scena proprio la Ciaccona di Bach come metafora dei differenti aspetti dell’esistenza umana. Nella Ciaccona c’è tutta una vita intera, in quindici minuti circa, con tutti i suoi colori e i suoi umori. Ogni variazione assume infatti un carattere diverso tanto da costituire un ricco serbatoio di momenti solenni, austeri, pacatamente sereni, persino gioiosi e scherzosi, mesti, drammatici oppure eroici e titanici. Svevo, violinista colto e camerista amatoriale in quartetto d’archi nella “musicalissima Trieste”, considerava il suo strumento, conservato presso il Museo Sveviano della sua città, un vero e proprio compagno di viaggio, in grado di lenire frustrazioni o angosce, per quanto fosse anche motivo di insoddisfazioni profonde nelle ore difficili dello studio, addebitandogli persino la causa del troppo fumo. Egli descrive in poche accattivanti righe un fenomeno che la musicologia ha definito come “polifonia immanente”. L’ascolto della sequenza dei suoni della Ciaccona, in particolare dei primi accordi maestosi del tema, provoca in ogni ascoltatore, anche avulso da ogni forma di istruzione e pratica musicale, una percezione sensoriale auditiva di “aspettativa” sonora, che viene esaudita dall’ascolto della realizzazione compiuta dei suoni immaginati e fissati in partitura. “Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto l’orecchio e il cuore l’avesse anticipato”. E’ come se l’orecchio umano si aspettasse, e in un certo senso anticipasse dentro di sé proprio quella risoluzione armonica effettivamente scritta. I moderni studi sulla neuropercezione acustica sensoriale s’indirizzano infatti verso la definizione di un substrato “musicale” immanente, comune all’essere umano in quanto tale, espressione di un equilibrio armonico e sonoro innato, indipendentemente dalle sovrastrutture sociali e culturali pregresse. Come è musicale l’uomo? si chiede John Blacking nel famoso saggio del 1973 in cui definisce la musica come suono umanamente organizzato e tratto peculiare e imprescindibile della specie umana. L’uomo è musicale a priori e avverte, nella sequenza dei suoni, tanto da anticiparli o prevederli percettivamente, la corrispondenza tra i suoni che si aspetta ancor prima che vengano suonati, se messi in relazione a suoni precedentemente uditi, grazie a un equilibrio strutturale precostituito. E’ un equilibrio in cui riconoscersi e identificarsi, come se tutti possedessero il requisito fondamentale senza il quale nessuna tradizione musicale potrebbe esistere: la capacità di ascoltare e discernere strutture sonore.
La struttura profonda della musica quindi, connessa ad aspetti affettivi e a processi cognitivi insiti nell’uomo, dà luogo a forme universalmente riconoscibili. Ciò crea un complesso e articolato sistema di reazioni regolative che attivano sinergicamente i centri della corteccia cerebrale, delle zone encefaliche profonde del paleoncefalo e del sistema limbico, deputati alle percezione del benessere e del piacere.
La musica è vita, luce e aria. Smuove, emoziona, cura, consola e rende l’uomo felice nel profondo.