Il museo non è solo il luogo della identità, della conservazione, della ricerca; il museo è soprattutto il luogo delle possibilità.
“Il museo non è solo il luogo della identità, della conservazione, della ricerca; il museo è soprattutto il luogo delle possibilità: una straordinaria occasione per gli uomini di oggi di contemplare le vette e condannare le miserie del passato, per cercare di essere cittadini migliori nella contemporaneità”. Sono parole di P. Giulierini, direttore di questo straordinario luogo napoletano che è il Museo Archeologico Nazionale (MAN).
E come esprimere meglio le ragioni ancor oggi valide per entrare in un museo!? come dire meglio che passato e presente non sono solo due categorie del Tempo, ma soprattutto due luoghi dell’anima, quella privata e quella collettiva nel caso di un museo. Il luogo che ci riporta agli occhi una storia che in qualche modo è anche la nostra storia.
E come non pensare ai meriti di chi ha voluto preservare un patrimonio artistico di valore inestimabile, come accaduto per la collezione cui diede origine Alessandro Farnese.
L’attrattiva odierna del MAN sono i capolavori di Antonio Canova, una mostra che raccoglie molti ‘originali’ del grande scultore (e qualche copia, come la notissima Paolina Bonaparte, il cui originale è alla Galleria Borghese a Roma ), normalmente dislocati in diversi siti e perciò non fruibili in un’unica occasione.
È Canova dunque che in questi giorni ci attira al MAN e ci instrada sulle orme del Bello, quello puro, fine a se’ stesso, quello eterno …o meglio quello che solo sa farci toccare sia pure fuggevolmente l’eterno, voglio dire quel ‘qualcosa’ che sentiamo andare molto oltre il nostro tempo.
È così che addentrandoci nelle sale più interne del Museo scopriamo che qui è custodita una parte importante della vastissima collezione Farnese.
Accadeva nel passato che le opere d’arte venissero commissionate dal ‘principe di turno’, che in tal modo celebrava se stesso, il proprio casato e compiaceva, al contempo, il proprio genuino amore per l’Arte. Nel caso di specie molte delle opere sono state acquistate da altre importanti collezioni private. Accadeva anche però, negli anni del Rinascimento, che il principe di turno si appropriasse di opere rimaste nelle ville romane abbandonate all’incuria del tempo o in chiese o in altri siti dell’antichità rimasti privi di proprietari o ne acquisisse il possesso in seguito agli scavi che in quel periodo fervevano nella Roma da ridisegnare.
Alessandro Farnese, divenuto Papa Paolo III ( 1468-1549), cominciò la collezione utilizzando tutti questi canali di approvvigionamento; acquistò molto, ma fece anche incetta di opere provenienti dai siti archeologici dell’Urbe (molte opere provenivano ad esempio dalle terme di Caracalla) finendo per mettere insieme una collezione che è forse unica al mondo per varietà di generi, comprendendo capolavori delle più diverse arti e periodi: dalle sculture alle pitture, alle gemme, agli argenti, al vasellame, ai libri, ai cammei.
Il nascente Palazzo Farnese si arricchì dei molti rinvenimenti degli scavi romani ed anzi per molti di tali capolavori fu lo stesso Michelangelo che, nel progettare il Palazzo, ne immaginò l’allocazione nei cortili e negli ambienti interni.
Quelli che oggi sarebbero atti di appropriazione illecita, nell’ormai raggiunta consapevolezza che il patrimonio artistico del passato è di proprietà pubblica, costituiva all’epoca uno dei sistemi attraverso cui esso veniva recuperato e custodito per i posteri.
Atti predatori dei quali dovremo essere grati a coloro che, avendo potere e ricchezza ne hanno impiegato una parte per salvare e custodire così importanti testimonianze storico-artistiche, altrimenti destinate ad andar disperse o distrutte.
Dopo la morte del papa Farnese la collezione passo’ al nipote, il cardinale Alessandro; e negli anni successivi trasferita quindi, a Parma, dove la famiglia Farnese aveva ottenuto l’investitura per il governo del Ducato. Con l’estinzione dei membri maschi della famiglia, la collezione rimase tutta nelle mani di Elisabetta Farnese che aveva sposato Filippo di Borbone e, per via ereditaria al figlio di Elisabetta, Carlo III di Borbone.
Fu questi che, conquistato il regno delle due Sicilie, volle portare il tesoro di famiglia a Napoli, dove i Borboni si erano reinsediati dopo la parentesi della dominazione francese nel primo decennio del 1800. Il figlio di Carlo, Ferdinando IV di Borbone completò il trasferimento dei beni nel capoluogo, dove ancora oggi sono fruibili tra il museo archeologico e quello di Capodimonte.
Scopriamo anzi che il museo di Capodimonte nacque proprio per allocarvi l’intera collezione e solo dopo fu utilizzata anche come reggia.
Tra i capolavori che, da soli valgono tutta la visita, la scultura del Toro Farnese, ispirata ad una complessa leggenda mitologica, alta mt. 3,70 e la Tazza Farnese, un oggetto di una raffinatezza mozzafiato risalente al II o I sec a.C. in sardonica e onice che racconta di un’allegoria ambientata in Egitto.
Io consiglio di non perdervi nemmeno la malinconica e sensuale bellezza di Antinoo, il giovane amante dell’imperatore Adriano, che ci riporta alla storia che di lui racconta Margherite Yourcenar nelle ‘Memorie di Adriano’ .