Igiene intima (ambiente vaginale e ecosistemi). Ci farà bene in questo senso (per affrontare certi argomenti), guardare alla nostra intimità come a qualcosa di naturale.
Ci farà bene in questo senso (per affrontare certi argomenti), guardare alla nostra intimità come a qualcosa di naturale.
Ove la parola naturale la s’intenda nel suo più stretto significato etimologico: e cioè parte stessa della natura.
Sono passati molti anni – era il 1866 – da quando il biologo Ernest Häckel usò per la prima volta la parola ecologia: la definì come la scienza dei rapporti tra gli organismi ed il mondo esterno.
Neppure s’immaginava questo tal Häckel quanto, 150 a venire, quel suo neologismo di allora sarebbe diventato il cardine di una nuova religione, il motore di assemblee mondiali, di protocolli giapponesi, la parola in nome della quale interi popoli avrebbero preso ad amare incondizionatamente esseri che nemmeno hanno mai visto, piccole foche bianche e pelose, oppure testuggini giganti e centenarie.
Né tantomeno che di quella stessa parola si sarebbe servita una signora per poter chiarire ad altre signore la natura cangiante di ciò che così misteriosamente le donne del suo tempo andavano celando pudiche sotto coltri di corsetti e crinoline.
Già, perché per dire ora della vagina non c’è nulla di meglio che pensarla in modo ecologico: pensarla cioè come fosse (e come di fatto è) un ecosistema.
Ebbene, ogni ecosistema è costituito da una comunità (detta anche biocenosi) e dall’ambiente fisico circostante, il geotopo, con il quale si vengono a creare delle interazioni reciproche in equilibrio dinamico (da wikipedia, ça va sans dire).
Si tratta cioè di una comunità di organismi per cui questo certo equilibrio (dinamico) si mantiene fintanto che non sopraggiungano determinati fattori capaci di alterarlo.
I fattori la cui presenza, sovrabbondanza o assenza risulti determinante per il mantenimento di questo equilibrio, si chiamano fattori limitanti (che limitano appunto, contengono: definiscono cioè i confini – i limiti – entro cui i parametri ambientali possano dirsi nella norma).
Al contrario, chiamiamo fattori grilletto quelli la cui azione viene invece a sconvolgerlo questo equilibrio (spingendo l’ambiente oltre i suddetti limiti di normalità), finanche a portare drastici cambiamenti nell’intero ecosistema.
Lo sfaldarsi delle cellule all’interno della vagina, ad esempio, dipende dall’apporto ormonale, (per buona pace di chi ha “paura” degli ormoni ), è un fattore essenziale (limitante) perché in essa vi sia normalità: segnatamente, perché in essa si sviluppino e si mantengano i lattobacilli (quei batteri necessari, a forma di bastoncino, che svolgono molte funzioni, principalmente quella di secernere acido lattico e di consentire al pH vaginale della donna di mantenersi acido – che poi è ciò di cui il nostro particolare ecosistema intimo più abbisogna).
La vita di noi donne, si sa, è scandita nel tempo da quei momenti importanti in cui la quantità di ormoni femminili che produciamo, gli estrogeni, varia in maniera significativa.
Dalla nascita alla maturità, sempre.
Se vogliamo dedicarci a noi, al nostro benessere, questa cosa la dobbiamo tenere sempre a mente. Riguardo alla nostra igiene intima in particolar modo.
Sono gli estrogeni (la loro abbondanza oppure in misura opposta la loro carenza) i primi responsabili delle variazioni del pH vaginale (e di conseguenza delle condizioni più o meno favorevoli in cui vedremo è bene mantenere la nostra igiene).
In loro presenza (degli estrogeni) le cellule della mucosa vaginale proliferano e il loro progressivo e costante sfaldarsi fa sì che nel plasma si sprigioni regolarmente il glicogeno, quell’importantissimo polimero del glucosio che (depolimerizzadosi appunto in glucosio) innescherà la sintesi di acido lattico nell’ambiente circostante.
Acido, abbiamo detto.
Badate bene: è fondamentale ricordare che è proprio in ambiente acido che si stabiliscono le migliori condizioni per la salute dell’ambiente vaginale.
Perché? Perché in ambiente acido – precisamente a pH 4/4.5 – l’ecosistema vaginale mantiene il suo equilibrio: la nostra flora batterica “buona”, i lattobacilli, prospera solo quando il pH si stabilizza su quei valori (4/4.5).
Bene in salute e forti di numero, questi lattobacilli possono agire al meglio: neutralizzano l’azione dei batteri indesiderati e insieme continuano a innescare il catabolismo del glucosio e la produzione di acido lattico necessario per la loro stessa sopravvivenza (dei lattobacilli, s’intende, cioè a dire una specie di patto di mutua assistenza tra microrganismi e ambiente che li ospita – che in definitiva non è altri che la definizione comune di ecosistema).
In sostanza, i lattobacilli (che sono le nostre autodifese) agiscono nel bene per preservare il più sano e più vivibile possibile il loro habitat (le nostre parti intime), cioè a dire a pH 4/4.5.
Vero è che questa condizione ottimale (acida) difficilmente può mantenersi costante nel tempo.
Tutto ha inizio dagli ormoni (degli estrogeni), abbiamo visto, e la produzione di ormoni nelle donne (diversamente da quanto accade negli uomini) subisce cambiamenti bruschi e altalenanti nel corso della vita.
Perciò dobbiamo tutte imparare a riconoscere quelle che per natura si chiamano le età biologiche della donna.
Precisamente:
La nascita: fino a sei/otto mesi di vita, quando c’è ancora una buona produzione di estrogeni (di riflesso a quelli accumulati nel grembo materno) tanto che nell’ambiente vaginale persiste una discreta produzione di glicogeno e un buon numero di lattobacilli, sufficienti a mantenere il pH acido, intorno al 4.5.
L’età prepubere: dagli 8 mesi fino alla pubertà, quando s’interrompe di fatto la produzione di estrogeni e la mucosa s’impoverisce di glicogeno e di seguito di lattobacilli. L’ambiente vaginale non riesce più a mantenersi acido e il pH si fa neutro (7). È un momento delicato in cui la difese (i lattobacilli) scarseggiano e siamo più vulnerabili: aumenta il rischio di vaginiti e infezioni.
L’età fertile: quando con la pubertà ricomincia la produzione di estrogeni e di conseguenza anche quella di glicogeno sprigionato dalle cellule, il pH ritorna acido stabilizzandosi circa a 4/4,5 tanto da consentire la ricomparsa dei lattobacilli che agiranno perché questa condizione acida a loro congeniale sia mantenuta costante.
La gravidanza: quando la produzione di estrogeni raggiunge il suo picco massimo. Sarà massima anche la presenza di glicogeno e di lattobacilli tanto che il pH acido oscillerà dai 3.5 ai 4.5. Il pH a 4.5 è un buon segno che la gravidanza procede per il meglio. Al contrario, se si segnano valori superiori è possibile vi siano rischi di aborto o di parto prematuro, è possibile cioè che sia in corso un’infezione batterica (che i lattobacilli siano stati attaccati massicciamente da batteri esterni tanto da rischiare una lesione delle membrane amniotiche).
La menopausa: quando la produzione degli estrogeni si fa via via irregolare, fino a che poi non cessa completamente, e tanto vale per la presenza del glicogeno e dei lattobacilli (che presto si fa nulla). Il pH tornerà neutro (7) riportando l’ecosistema vaginale più o meno alle stesse condizioni di vulnerabilità che aveva in età prepubere (si segna un assottigliamento della mucosa e una maggiore permeabilità alle sostanze irritanti).
Vediamo perciò come età differenti richiedano differenti attenzioni, soprattutto nell’igiene intima, tutte volte a proteggere al meglio l’integrità dei nostri tessuti e il benessere degli inquilini buoni che vi dimorano: è bene imparare a riconoscere i nostri punti (o meglio, i nostri momenti) deboli, quando cioè la nostra produzione ormonale non va come dovrebbe.
Teniamo presente che se ciò accade per tutte nei passaggi dell’età biologiche che abbiamo appena visto, per ognuna di noi (a testimonianza di quanto sia ben più avventurosa la nostra storia ormonale rispetto a quella degli uomini) per ognuna di noi, dicevo, la vita ha in serbo moltissime altre personali occasioni in cui questi squilibri tornano a manifestarsi.
Vediamo allora più in generale che cosa determina l’ambiente vaginale.
Se teniamo mente a quanto detto finora, ci sarà facile distinguere in quale misura esso dipenda:
1, dai prodotti biologici che provengono dall’interno dell’organismo (cellule che si sfaldano, sangue, ecc);
2, dai materiali che penetrano dall’esterno;
3, dai microrganismi che in esso si sviluppano per effetto dei primi due.
L’ecosistema vaginale è perciò segnato dall’equilibrio (dall’armonia, possiamo pure dire) dei seguenti fattori limitanti: i microrganismi che la abitano (tra cui il più importante abbiamo detto essere il lattobacillio), le sue caratteristiche fisiche (pH, viscosità, ecc), i processi biologici che naturalmente l’attraversano (produzioni ormonali e invecchiamento).
Ecco, ora non pensiamo che l’equilibrio di cui ho detto (l’equilibrio vaginale) sia tanto instabile, di quelli tanto delicati, per capirci, che basta quel famoso battito d’ali di farfalla a far precipitare tutto quanto (no, la teoria del caos lasciamola da parte per ora, e stesso valga per gli inutili allarmismi che questa pur fascinosa teoria si reca appresso).
Mi spiego: se pensiamo che la flora batterica normale nelle donne sane in età fertile conta circa 10 milioni di batteri per ogni grammo di tessuto, bè, possiamo capire che non è sufficiente la presenza occasionale di un qualche germe per alterare significativamente l’intero l’ecosistema.
No, la faccenda deve essere ben più invasiva.
Dobbiamo tenere presente che la flora batterica vaginale (normale a 10milioni per grammo, abbiamo detto), come ogni altro organismo in natura, ha come fine primo la sua stessa salvaguardia (e quella dell’ecosistema di cui è parte): di qui, ogni sua azione sarà mossa al mantenimento dell’habitat a lei più congeniale (in questo il pH acido, che è quello che più serve a lui, e anche alla vagina).
In queste condizioni (giocando in casa, diciamo – e volendola mantenere accogliente, questa casa) il lattobacillo si opporrà sempre con decisione ai microrganismi esterni di passaggio: si opporrà cioè a chiunque minacci quelle (per dirla come Häckel, o come wikipedia, fate voi) interazioni reciproche in equilibrio dinamico in corso tra la sua comunità (batterica) e l’ambiente (vaginale).
Capita tuttavia (raramente, ma capita) che questa opposizione, seppure strenua, non basti.
Capita che altri microrganismi abbiano la meglio sul lattobacillo, proprio perché l’habitat ove prosperava fino a quel momento, tutto a un tratto non gli è più congeniale, a seguito di uno grosso sconvolgimento esterno del pH acido.
Sappiamo che nella vita di tutte le donne ci sono particolari momenti, del tutto naturali, in cui il pH vaginale subisce bruschi tracolli rendendo vulnerabile (attaccabile) l’esercito dei lattobacilli:
la nascita, il ciclo, la gravidanza e la menopausa (per il resto della nostra vita in realtà si dimostra piuttosto stabile – il pH vaginale, intendo –, salvo piccoli aggiustamenti, risolti in poche ore, ad esempio a seguito di un rapporto sessuale, quando i residui di liquido seminale maschile inevitabilmente segnano delle variazioni nell’acidità dell’ambiente).
Certo, insieme a questi momenti naturali, c’è da tenere a mente un’altra serie di fattori (grilletto) che può sconvolgere il nostro pH, e di seguito il vigore della nostra flora batterica (quella buona, quella dei lattobacilli) e l’ecosistema vaginale tutto, in genere.
Fattori che posso essere:
1, fisici (l’aver subito radioterapie, l’introduzione avventata di corpi estranei, il freddo o il caldo eccessivo, e, sì, anche l’abbigliamento: pantaloni o calze strette, ad esempio, e il bendaggio occlusivo vulvare in generale, aumenta la temperatura e facilita la crescita dei funghi);
2, chimici (troppo zelo nell’igiene, l’uso esagerato di lavande, antisettici o spermicidi);
3, igienici (d’altra parte, chiaro che anche la scarsa pulizia rechi danno);
4, endocrinologici (squilibri ormonali, il drastico aumento o diminuzione di progesterone, androgeni o estrogeni);
5, microbiologici (fiacchezza in sé dei lattobacilli, presenza invasiva di altri batteri: coli, candida, gardnerella); coitali (eccessiva quantità di sperma, che ha pH basico a 7,6);
6, patologici sessuali (quando si contraggano malattie veneree);
7, alimentari (come ho già detto i disturbi alimentari, anoressia e bulimia, sconvolgono l’equilibrio ormonale, rimandandoci al punto 4, ma pure una semplice alimentazione scorretta può far male: troppi zuccheri o troppi lieviti, ad esempio, anch’essi sanno alterare il pH).
Comprendiamo quindi quanto l’ambiente vaginale sia delicato e mutevole – non drammaticamente, intendiamoci: possiamo capire che non basta certo un soffio di vento per alterarne l’intero l’ecosistema. Tuttavia l’attenzione, l’igiene e la cura che vi dedicheremo non può neppure prescindere dalla conoscenza (anche marginale) dei sui nemici più comuni.
Ad esempio:
Candidosi: la candida albicans è il fungo responsabile di quella che certamente è la più frequente tra le infiammazioni vaginali. Si contrae facilmente (le sue spore sono dappertutto) e a pH acido trova il suo ambiente ideale per moltiplicarsi, rimanendo però latente (in gravidanza –pH 3.5/5 – è comune la massiccia presenza delle sue spore). Solo quando il pH salirà e supererà il 5 le spore si attiveranno, penetreranno nelle cellule e daranno il via all’infezione vera e propria. Sarà perciò nostra buona cura, una volta verificata la presenza del fungo, mantenere il nostro pH acido (con particolare attenzione al periodo della gravidanza, quando la grande colonizzazione delle spore inerti non aspetta che una lieve anomalia –ad esempio un imprevisto innalzamento del pH dovuto a un trattamento antibiotico – per esplodere in infezione).
Vaginosi batterica: la più comune è data dall’azione del batterio della gardnerella che si insinua nelle cellule quando il pH sale sopra il 5. La scarsa presenza di lattobacilli (a pH > 5) rende difficile contrastarne gli effetti (le perdite vaginali e il caratteristico odore di pesce avariato). Anche in questo caso, una volta diagnosticata, sarà bene riportare il pH ai valori ottimali (4.5) perché i lattobacilli possano ristabilirsi e arginare l’infezione.
Trichomonas: si tratta di un protozoo trasmesso solo per via sessuale. Talvolta non dà sintomi (per diagnosticarlo è necessario il pap-test o il tampone vaginale) e agisce indisturbato con le stesse modalità della gardnerella (a pH > 5). E come per la gardnerella (e per la candidosi), per favorirne l’eliminazione, sarà bene stabilizzare a 4.5 il nostro pH vaginale.
Quanto alle altre note affezioni sessuali che ci possono colpire (clamydia, papilloma virus, hiv, herpes virus), c’è da dire che la medicina ad oggi non ha ancora associato la loro comparsa a particolari squilibri del pH (se non in minima e trascurabile percentuale).
Presa nota di queste avvertenze, bè, un po’ di buon senso dovrebbe bastare a farci prendere buona cura della nostra intimità.
A farci sapere quali siano le abitudini più giuste e l’igiene più corretta, tenendo sempre presente che gli obbiettivi di queste abitudini e di questa igiene sono:
1, il mantenimento del nostro pH fisiologico (4/4,5);
2, la conservazione e (quando occorra) il ripristino dell’attività dei lattobacilli e di tutti quei microorganismi che ci difendono.
Tuttavia, mi sento di lasciarvi (o ripetervi) qualche ultima nota: evitate l’uso di sapone per l’igiene intima, evitate l’abuso di qualsiasi detergente; evitate l’uso frequente di indumenti sintetici e salvaslip che non siano di cotone; evitate contaminazioni fecali mentre vi lavate (lavarsi e asciugarsi sempre dall’avanti verso il dietro); evitate l’automedicazione (dando retta, avventatamente, al passaparola di amiche); accertatevi di non essere allergiche a qualche sostanza in particolare (profumi o coloranti); consultate il medico (sempre) ai primi sintomi di irritazione.
Se poi, strenue ecologiste, seguaci di Häckel, non sapete resistere al fascino dei rimedi naturali, badate a documentarvi bene, e cioè sappiate che, per esempio: la salvia ha effetti antibatterici, antimicotici e antiossidanti; il timo è un battericida; la camomilla ha proprietà lenitive e decongestionanti; l’olio è un emolliente e a suo modo può compensare la secchezza provocata dai comuni detergenti.
Infine, vi raccomando: considerate che i detergenti ad azione antibatterica (per loro natura) tendono ad attaccare anche i lattobacilli (in definitiva sono batteri anche loro). Perciò usateli solo se vi sia grave rischio di (o sia già in corso una) infezione batterica esterna, o se vi siano stati prescritti specificatamente dal vostro medico, magari come terapia pre- e post- partum, oppure ancora, nel caso sia vostra abitudine frequentare assiduamente luoghi – diciamo – igienicamente promiscui (piscine o palestre, più che altro).
In linea di massima, con questi e pochi altri accorgimenti, il nostro ecosistema vaginale dovrebbe dirsi al sicuro. Quello di noi italiane per lo meno – dato che francesi e americane paiono ancora oggi ignorare quale sia l’oscura ragione per cui nei nostri bagni sia sempre presente quel certo curioso doppione del water, che chiamiamo bidet.