Per un’agricoltura più sana e sostenibile. La fattoria biodinamica di Antonella Manuli
Abbiamo finora parlato del contributo che le donne hanno dato all’economia agricola del paese, come buone amministratrici e spalla dei loro compagni spesso impegnati nei campi. E poi del loro contributo per un’agricoltura naturale e più sana. Però poche le donne al comando o imprenditrici agricole. Eppure le differenze di genere stanno mutando anche in questo settore grazie alle nuove tecniche e tecnologie che danno a tutti (anche se non forniti di grandi impianti muscolari) di impegnarsi in questo settore. C’è anche chi è tornato in Italia da un’istruzione internazionale dopo aver provato a dirigere le famose terme di Saturnia (il settore termale l’importanza del cosiddetto wellness tourism), si è reinnamorato delle proprie terre e territori e si è dedicato a questi.
E’ il caso di Antonella Manuli, imprenditrice cresciuta tra l’Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti, che dopo aver finito gli studi universitari in California, dove incontra e condivide i valori dell’Organic Movement, torna in Italia, e lavora in ambito revisione dei conti e finanza, prima di approdare in Maremma Toscana e seguire per dieci anni il Terme di Saturnia Spa Resort.
Nel frattempo, innamoratasi del territorio e delle sue originali caratteristiche ambientali, storiche e paesaggistiche, ricerca i terreni che oggi costituiscono la fattoria biodinamica La Maliosa che produce vini naturali, olio evo e miele. Con l’agronomo e ricercatore Lorenzo Corino ha implementato il progetto vitivinicolo a partire dal 2013, consolidando e sviluppando insieme a lui delle tecniche agronomiche e fortemente innovative per una sempre maggiore sostenibilità delle produzioni vitivinicole e olivicole, ora codificate con il nome di “Metodo Corino”.
Collabora ora con Lorenzo Corino in numerosi progetti di divulgazione culturale e formazione, tra i quali come editor del libro “Vigne, Vino, Vita” e come co-autore del saggio “La biodinamica vegetale, il futuro del vino naturale”, pubblicato da Fondazione Istud – Mondadori Università.
Come è cominciata la tua avventura?
Conoscevo molto bene il territorio perché vi ho lavorato un lungo periodo a partire dai primi anni ’90 e colpita dalle caratteristiche naturali e ambientali della Maremma collinare incontaminata e selvaggia, ho deciso di cercare dei terreni adatti a un progetto completamente basato sulla sostenibilità che ne valorizzasse le caratteristiche. I lotti di terreno sono stati acquisiti in diverse fasi tra il 2006 e il 2009, una ricerca non facile in quanto cercavo una vigna vecchia che mi potesse dare indicazioni sulla storia vitivinicola locale.
Come mai è incontaminato?
Per condizioni climatiche ottimali e per l’assenza di “pressione” turistica e abitativa. E’ una zona molto siccitosa che non ha mai avuto paludi come sulla costa che in passato fu bonificata. Usiamo infatti tecniche che ci permettono di utilizzare l’acqua presente e le risorse già attive nel terreno senza usare prodotti chimici di sintesi.
Come hai realizzato questa fattoria La Maliosa?
Ho cercato terreni che fossero adatti a perseguire il mio progetto. Il primo lotto l’ho acquistato dopo 4-5 anni in cui ho scandagliato palmo a palmo il territorio. Su questi terreni insisteva appunto una vigna vecchia di circa 50 anni, abbandonata ormai da 10: la nostra “vigna madre”. Su di lei abbiamo costruito tutto il nostro progetto vitivinicolo, sia per identificare i germoplasmi storici, sia utilizzandone le marze per innestare i nuovi vigneti da noi impiantati successivamente. Le vigne vecchie sono ormai una rarità in Toscana, in quanto nel secondo dopoguerra sono state spesso estirpate per lasciare il posto a vitigni internazionali che davano una maggiore produttività e sono più adatti alla meccanizzazione del vigneto. Noi invece le abbiamo mantenute e curate anche se hanno rese inferiori. Abbiamo una piccola produzione artigianale, facciamo tutto a mano: nelle annate buone a regime produrremo al massimo 40.000 bottiglie. Attualmente vendiamo principalmente all’estero, Giappone, Cina, Danimarca, Canada, dove sono molto sensibili alla salubrità delle produzioni.
E producete anche olio?
Sì, abbiamo più di 3600 ulivi, tutte cultivar autoctone, tra le quali una molto antica con cui produciamo il nostro CRU, chiamata Leccio del Corno, vincitore di diverse menzioni in concorsi nazionali ed internazionali.
Ma come mai tu donna hai deciso di cimentarti in questo settore?
Perché una donna non può lavorare in agricoltura? Anzi ce ne sono molte, anche se i miei lavoranti agricoli sono tutti uomini E se all’inizio poteva esserci una certa diffidenza ora apprezzano il nostro sistema naturale di lavorare ed arrivano anche molte richieste tramite passaparola.
Hai figli e tuo marito collabora?
Ne ho 2 un maschio di 20 anni ed una femmina di 14… Per ora troppo piccoli per decidere che professione fare nel futuro. Mio marito invece si occupa di branding.
Ci sono molte donne toscane che lavorano in agricoltura, vero?
Sì, probabilmente perché le donne sono delle buone custodi e gli uomini invece pensano più spesso all’immagine o al reddito immediato. La donna avendo poco da perdere paradossalmente ha più libertà decisionale, e si cimenta spesso in imprese che richiedono tempo per avere risultati e lo fanno anche con molta creatività.