Avevo pensato di consigliarvi alcuni film da visionare in occasione del 25 Novembre, ma di fronte alle numerose notizie lette negli scorsi giorni, ho deciso di commentare quanto sta accadendo insieme a voi. Ma è una ferita che di continuo si riapre quasi ogni giorno.
– 21 Novembre 2019: a Colico, Lecco, una donna denuncia il marito (dal quale si stava separando) per aver organizzato contro di lei uno stupro di gruppo. Pare che anche il figlio della coppia, un bambino che frequenta le scuole elementari, subisse maltrattamenti da parte del padre.
– 23 Novembre 2019: la giovane Ana Maria Lacramioara viene ritrovata senza vita nelle campagne tra Balestrate e Partinico. Ad ucciderla è stato l’uomo con il quale la ragazza aveva una relazione. Lei aveva rivelato di essere incinta e di aver bisogno di denaro. Aveva detto all’uomo di essere disposta a rivelare la relazione alla moglie, e questo – insieme alla gravidanza – le è stato fatale. È stata colpita alla nuca e poi accoltellata.
– 23 Novembre 2019: una ragazza di 21 anni viene violentata fuori dalla discoteca Old Fashion di Milano. Lo stupratore viene arrestato a Lucca, e si scopre che aveva alle spalle diversi altri reati. Il GIP dispone per lui non il carcere ma gli arresti domiciliari.
Potrei continuare questo elenco, ma risulta doloroso a me scriverlo, e sarebbe doloroso per tutti voi leggerlo.
Ed è una ferita che di continuo si riapre quasi ogni giorno, ogniqualvolta un nuovo caso di femminicidio o di violenza sessuale viene annunciato da un telegiornale o viene letto su un quotidiano. In un articolo del 19 Novembre, La Repubblica ci dà alcuni dati relativi all’anno 2018. Lo scorso anno si sono registrati cinquemila casi di violenza sessuale e 142 sono state le donne uccise (incremento dello 0,7%). 94 donne sono invece state uccise nei primi dieci mesi di quest’anno. La fonte è il rapporto Eures “Femminicio e violenza di genere in Italia”.
Vorrei soffermarmi su un dato a parer mio molto significativo: solo il 4,7% delle vittime si è rivolto a sportelli di primo aiuto o centri antiviolenza. Il 13,2% delle vittime ha dichiarato di non sapere niente sull’esistenza di questi strumenti di sostegno a donne che subiscono maltrattamenti e violenze. Eppure ogni anno si svolgono moltissimi eventi e marce per svegliare l’attenzione della politica e della società civile. Qualcosa non sta funzionando. Sicuramente non funziona il ritardo della politica (il Ministro Gualtieri ha annunciato solo ora l’arrivo del decreto per attivare il fondo a favore degli orfani di femminicidio…era ora!), non funziona la condizione di isolamento e solitudine nel quale ancora oggi molte piccole associazioni e centri antiviolenza vivono, con la conseguenza di non poter arrivare a tutte le donne che hanno bisogno di aiuto.
Successivamente, è stato pubblicato il report della Polizia di Stato che ha delineato un quadro più attuale sul fenomeno: ogni giorno 88 donne subiscono violenze in Italia, una ogni 15 minuti. Nel 60% dei casi, l’autore della violenza è un ex partner. Nell’82% dei casi, chi commette il reato possiede le chiavi di casa della vittima.
Sembra che quindi chi ci vuole distruggere sia sempre qualcuno in cui erroneamente riponiamo la nostra fiducia.
E purtroppo si fatica ad attuare un cambio di rotta prima di tutto culturale. E siamo sempre al punto di partenza. Poco si fa nelle scuole, poco si fa nei centri di aggregazione giovanili, poco si fa – in sostanza – per prevenire la violenza e per crescere nuove generazioni più consapevoli e sane. Poco si fa per calmare il clima di odio verbale e fisico che in Italia permea ogni tipo di dibattito.
Perché il punto è anche questo, si possono mettere dei cerotti e curare a fatica delle tremende ferite fisiche e dell’anima, ma dovremmo essere molto più attenti a fare in modo che certe ferite non si formino più.
Dunque, avrei voluto parlarvi di altro. Suggerirvi dei film da vedere, o dei libri da leggere, ma di fronte a dei dati così sconcertanti e ad un tale bombardamento di notizie la voglia di consigliare film si è spenta per strada. Nulla è cambiato. Donne continuano a morire, figli continuano a diventare orfani o ad essere testimoni di una violenza che resterà nella loro memoria per sempre.
Questo mi riporta alla mente uno dei motivi per i quali ho scelto di proseguire il mio percorso di formazione e diventare educatrice. Il cambiamento culturale passa davvero attraverso l’azione quotidiana. Non voglio con ciò sminuire l’impegno denso di una giornata di marcia, ma col passare degli anni e a seguito di un impegno attivo verso le donne vittime di violenza mi rendo conto che marciare non basta più. Bisogna che si agisca nel mondo con una visione a lungo raggio. Occorre stare accanto ai bambini che hanno subito direttamente e indirettamente atti di violenza, bisogna andare tra i giovani e insegnare loro a distinguere fra una relazione sana ed una che non lo è. Bisogna aiutare le donne vittime di violenza a sperare ancora nel futuro. Bisogna educare al rispetto reciproco, al rispetto delle differenze e della pari dignità di ogni individuo. Nessuno è proprietà di nessuno. Dobbiamo essere liberi di poter diventare le donne e gli uomini che desideriamo essere.
E poi, cara politica “se ci sei batti un colpo”.