L’autismo non è una malattia, ma un modo di essere, un diverso modo di crescita. Ne parliamo con Luisa Sordillo, avvocata, scrittrice ma soprattutto madre di tre figli, di cui uno con autismo. Ma lei si affretta ad aggiungere che è orgogliosamente madre di tutti e tre nello stesso modo.
Ci puoi parlare della tua esperienza o di quella di cui hai trattato nel tuo libro ”Voce di sale”?
Vivere quotidianamente l’autismo non è semplice. Non solo e non tanto per l’autismo in sé, ma per la diffidenza e la mancanza di conoscenza e competenza che sono intorno. L’avere un figlio con una disabilità fa insorgere immediatamente negli altri sentimenti di pena e compatimento e la consapevolezza di essere sfuggiti ad una disgrazia. La disabilità, è vero, cambia la vita non solo a chi la disabilità la vive in prima persona, ma anche agli affetti che lo circondano. Tuttavia non è esclusivamente fonte di brutture e dolori. Il mondo della disabilità ha tanto da insegnarci, prima fra tutti una nuova e più profonda scala di valori della vita.
Mio figlio ora ha 20 anni e dunque l’autismo ho imparato a conoscerlo bene, tanto da indurmi ad affrontare la tematica in un libro “Voce di sale”, edito dalla Iacobelli nel giugno del 2019. Ho scelto di scrivere un romanzo e non un’autobiografia per diverse ragioni. Per poter offrire al lettore una visione più ampia rispetto alla mia singola esperienza e soprattutto perché volevo arrivasse ad un numero di lettori maggiore, tanto da ricomprendere non solo chi l’autismo lo vive ma soprattutto chi ancora non ne ha dimestichezza. Ed ho cercato di farlo con una storia avvincente e nella forma letteraria che maggiormente permette al lettore un’immedesimazione. Preciso che le parti in cui si racconta in maniera diretta dell’autismo fanno riferimento a fatti reali e non sono frutto della mia fantasia.
E’ la storia di una donna, architetto, moglie e madre, e della sua vita, scaraventata all’aria quando ad uno dei suoi gemelli viene diagnosticato l’autismo. E’ un percorso di crescita, di metamorfosi, di coraggio e di resilienza. E’ una grande storia d’amore.
Come è partita? Quali sono le difficoltà incontrare?
La diagnosi di autismo è arrivata all’improvviso, nel 2006, quando mio figlio aveva già quasi 7 anni. Dunque molto tardiva rispetto alla prassi. L’autismo si manifesta solitamente entro il terzo anno di età, ma occorre fare una precisazione doverosa. Si deve parlare più correttamente di autismi o di spettro autistico, perché si ricomprendono varie sfaccettature di autismo, con differenti livelli di difficoltà. Solitamente sono le forme più gravi ad essere diagnosticate prima.
Le difficoltà che quotidianamente si incontrano sono molteplici. In primo luogo proprio l’impatto con la società è irto di ostacoli. Non siamo ancora pronti all’accoglienza e all’integrazione di persone che differiscono dagli schemi comuni. E gli autistici se ne distaccano largamente, soprattutto perché hanno disturbi comportamentali, talora importanti. Vengono solitamente definiti bizzarri, proprio perché appaiono stravaganti: possono essere verbali e non verbali e, nel primo caso, parlano spesso da soli, con un linguaggio non conforme a quello della cosiddetta normalità. Sottolineo che con questo termine si deve intendere la maggior parte di persone, dunque soggetti differenti solo numericamente e non qualitativamente.
Gli autistici spesso sfarfallano le mani e hanno stereotipie, gestuali e verbali. Ciò vuol dire che ripetono comportamenti e frasi, talora apparentemente prive di senso. Posso essere ipercinetici o, al contrario, decisamente apatici. Talora sono autolesionistici o aggressivi, ma semplicemente perché non hanno strumenti più adeguati per manifestare il proprio disagio e le difficoltà.
Gli autistici non hanno amici e le famiglie finiscono per perdere i propri. In una solitudine che soffoca.
La formazione specifica degli operatori di settore è ancora, per molto margine, carente. Lo Stato non forma insegnanti di sostegno specializzati e diverse sono ancora le lacune nella conoscenza di questa condizione. Perché l’autismo non è una malattia, ma un modo di essere, un diverso modo di crescita. Gli autistici hanno canali recettivi e comunicativi differenti e dunque bisognerebbe imparare a comunicare con loro, per ridurre le distanze.
Come hai pensato di risolverle?
I genitori non possono fare miracoli da soli. Ma, come molti altri familiari, mi sono reinventata. Ho dovuto lasciare il mio lavoro e mi sono rimboccata le maniche. Ho letto tanto, ho studiato, ho partecipato a corsi di formazione a pagamento. Ho imparato a conoscere mio figlio e a comunicare con lui, a comprenderlo. E ad amarlo sempre più. Ho imparato ad essere insegnante, logopedista, psicologa, amica. Ho dovuto provare a colmare le lacune del sistema. Ma non sono un’eroina, sono semplicemente una madre che ha dovuto ridare vita al figlio per una seconda volta. Per tentare di regalargli un futuro degno di essere vissuto. Non è semplice e le paure e gli errori sono tanti. Ma si va avanti, perché si deve fare.
La tua parte emotiva ne ha risentito? E tuo figlio?
La mia vita ha subito un contraccolpo. Inizialmente una durissima battuta d’arresto. L’autismo arriva come uno sparo, provocando ferite gravissime. Poi però lo spirito di sopravvivenza e l’enormità dell’amore genitoriale ci spingono a rialzarci, leccarci le ferite e rimetterci in piedi. Più forti e coraggiosi, perché il bene da difendere è preziosissimo. Non nascondo che comunque ci si annulla, ci si isola, si investe in nuove attività e in nuovi progetti. Spesso completamente da soli. Si devono riorganizzare i sogni. In una famiglia l’autismo altera tutti gli equilibri, perché ogni situazione di sofferenza produce un cambiamento profondo. E si dimentica spesso che chi ne soffre di più è sicuramente l’autistico. Perché dentro l’autismo c’è una persona: un bambino, un ragazzo o un adulto che prova sentimenti come la “normalità”, soffre e gioisce, ama e ricerca l’amore come ciascuno di noi.
Difficile programmare la vita per un figlio diverso?
Difficile programmare la vita di ciascun figlio. Quella di un figlio “diverso” lascia ancora di più con il fiato sospeso, crea pensieri molesti di notte, induce a preghiere e speranze in ogni momento. C’è tanto da lavorare per pianificare il futuro di un figlio con disabilità, proprio perché c’è ancora tanta strada da fare per una sua integrazione ed inclusione sociale. Non mera tolleranza o accettazione, ma accoglienza della sua differente ricchezza.
Come viene recepita dalla società? I diversi sono isolati o sei riuscita a creargli un gruppo solidale?
La solitudine è la barriera più alta con cui fare i conti. La mancata conoscenza di questa condizione crea diffidenza e talora timore. E dunque allontanamento. Ecco perché è necessario parlarne, ancora e ancora. Con mia enorme tristezza, per quanto ci abbia provato in modi diversi, non sono mai riuscita a creare rapporti di amicizia reali. Gli amici degli autistici sono sovente i familiari strettissimi e fittiziamente delle persone retribuite per trascorrere del tempo con loro. E alla fine del rapporto di lavoro non rimane traccia di affetto e amicizia. C’è qualche ragazzo più fortunato, ma mediamente la solitudine ingoia senza pietà.
Leggere e scrivere è stato difficile impararlo?
Come dicevo l’autismo si presenta in maniera variegata. Non c’è un autistico uguale all’altro, sia per il diverso grado di difficoltà e sia perché ricordo che si tratta di persone e ognuno di noi è diverso dall’altro per carattere, abitudini, ambiente, inclinazioni. Mio figlio ha un autismo ad alto funzionamento per cui non ho avuto grandi difficoltà ad insegnargli a leggere e a scrivere. Lo abbiamo fatto a casa, con pazienza e tempi un po’ più lunghi, escogitando sistemi talora personalizzati in base alle sue caratteristiche comunicative. Motivazione, pazienza e conoscenza: tre armi vincenti per insegnare di tutto.
Ci sono specialisti di autismo, personale specializzate o hai dovuto fare da te?
Nel campo dello spettro autistico si brancola ancora spesso nel buio. La competenza vera è merce rara. E talora costosissima. Oltre al fatto che ci sono molti lestofanti che paventano una competenza che non hanno e che può far guai, oltre che portarti via denaro. Bisogna informarsi bene, questo è l’unico consiglio che posso dare ai genitori che approcciano per la prima volta il “mercato” dei sapienti dell’autismo. E’ giusto però sottolineare e riconoscere il valore e l’impegno di alcuni medici, operatori ed insegnanti che hanno fatto della loro professione una missione e che dunque si spendono ogni giorno per il bene degli autistici e delle loro famiglie.
Qual è la loro più grande qualità?
La verità e la purezza. Sono incontaminati e trasparenti come l’acqua. Non conoscono l’ipocrisia, la falsità, la menzogna. Non tradiranno mai la fiducia e non faranno mai qualcosa solo per ricevere un plauso. In loro l’essere e l’apparire combaciano alla perfezione. In questo sono davvero “diversi” dalla normalità!!!!