I ricordi ai affollavano numerosi nella mente, come se non avessi voluto mandarli via. O forse erano troppo forti e belli che era difficile farli sparire.
Il vento freddo di Mosca quell’anno era rimasto impresso nella mia memoria come una sferzata di gelo. Ricordavo anche che a nulla servivano guanti, sciarpa e cappello calzato sugli occhi. La tempesta di neve s’infiltrava dappertutto. Avevo bisogno di un riparo. Non sapevo se cercare di entrare in un albergo o in uno dei pochi negozi sulla strada. Alla fine optai per il sottopassaggio che congiungeva i due lati della strada e che ero obbligata a fare frequentemente per andare al Museo Puskin dove studiavo per la mia tesi di laurea.
Scesa nel sottopassaggio lo trovai affollatissimo di gente di tutte le tipologie: studenti, casalinghe, uomini che andavano al lavoro, poveracci che da noi chiameremmo barboni.
Ma anche bei ragazzi moscoviti vestiti alla moda di quei tempi. Ne scorsi uno da lontano, biondo con un pizzetto appena accennato. Mi superò con passo veloce e poi tornò indietro, quasi ad aspettarmi. Mi rivolse la parola in russo ”Sei straniera?” Dissi di sì e cominciammo un breve dialogo mirato a sapere se volessi cambiare i miei dollari in rubli. Certo che volevo, a quei tempi quotazione ufficiale del rublo era sopravvalutata ed il cambio in nero era una cosa ordinaria di tutti i giorni. Ma potevo fidarmi di lui? Mi dette appuntamento nello stesso punto per il giorno dopo.
Uscendo dal sottopassaggio pensai che avrei voluto farci anche due chiacchiere col bel moscovita, se non altro per esercitare la lingua, se non avesse avuto fretta di scappare via, forse per non essere visto dalla polizia locale. Mi riservai un approccio più approfondito per il giorno dopo ed uscii dal sottopassaggio per andare al luogo di studio alla biblioteca Pushkin. Una volta uscita mi guardai alle spalle perché mi era sembrato di essere seguita. Forse era solo una mia paranoia causata dal senso d’insicurezza e di smarrimento di fronte ad un pericolo immaginario: era la prima volta che valutavo di fare un cambio ”in nero” .
Il giorno dopo mi premurai di andare all’appuntamento con una compagna di studio, senza spiegarle troppo. Le dissi solo che volevo comprare dei biglietti per andare al vedere un balletto al Bolshoj e che dovevamo recarci lì per tempo per vedere se qualcuno lo vendeva all’ultimo momento perché rinunciava. I biglietti costavano poco (non come da noi dove alla Scala riuscivi a spendere una fortuna) ma era difficile trovarli perché quelli che riuscivano se li accaparrano.
La mia amica Lisa venne volentieri e non fece troppe domande. Una volta nel sottopassaggio incrociammo il bel moscovita biondo accompagnato da un moretto, più basso e giovane di lui.
Mi apostrofò con un ”Pokà” (ciao in russo) ed aprì il suo zainetto di tela usurata. Si sincerò che avessi con me i soldi da cambiare e mi allungò una busta. Poi si girò e fece per andar via. Pensai ..o adesso o mai più. Allungai il viso e feci finta di chiedergli informazioni su dove potevo trovare biglietti per il Bolshoj. Mi fece cenno di seguirlo e risalimmo in superficie spuntando proprio vicino al celebre teatro. Non sapevo cosa dirgli nel mio ”russo primitivo” ma lui mi prese la mano per tirarmi verso di lui ed il suo amico.