Breve riflessione sugli effetti del Decreto Fioramonti sulla chiusura di alcuni indirizzi di università telematiche.
Risale al 23 Dicembre 2019 la firma di un decreto che, qualora diventasse operativo, potrebbe cambiare il volto dell’educazione telematica. Il decreto porta la firma dell’ex Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, e i corsi di laurea incriminati sono afferenti l’area di psicologia, pedagogia (e la triennale in Scienze dell’Educazione L-19) e delle professioni sanitarie.
È vero, mi interessa da vicino. Proprio l’anno scorso ho scelto di immatricolarmi per poter conseguire il titolo di Educatrice, e così lavorare in contesti affini ad alcuni dei miei più grandi interessi. E sì, ho scelto un’Università telematica, affrontando il pregiudizio di molte persone. Pregiudizio che altrove, all’estero, non esiste più da tempo o non è mai esistito. Cito solo alcuni esempi per farvi capire di cosa parlo: Open University, Stanford University, University of London, University of Liverpool, Harvard. Tutte queste Università offrono corsi online e hanno acquisito una certa fama, oltre alla fiducia di molti giovani e meno giovani nel mondo. La scelta di un’Università telematica non dipende dalla voglia di “comprare esami”, quanto più da opportunità mancate nella vita e ritmi frenetici che spesso impediscono di frequentare tradizionali lezioni. Inoltre, vi sono persone che – a causa del proprio stato di salute – non possono fisicamente permettersi di spostarsi da casa o da un ospedale.
Posso parlarvi della mia scelta: ho conseguito nel 2016 una Laurea Magistrale tradizionale presso l’Università degli Studi di Milano, specializzandomi in tutela comparata di diritti umani e non credendo minimamente che avrei avuto bisogno di tornare con la testa sui libri. Avevo un progetto chiaro nella mia testa: un lavoro full-time, una ritrovata vita sociale, interessi a cui dedicare tempo.
Dopo un anno all’estero e diverse esperienze lavorative poco appaganti, mi sono resa conto che, senza ulteriori titoli, molte delle strade che speravo di poter intraprendere sarebbero state sbarrate.
Vi lascio immaginare lo stato d’animo. La consapevolezza di voler riprendere a studiare unita al senso di responsabilità da 28enne che sa di non poter smettere di lavorare dall’oggi al domani.
E così ho scelto di ricominciare da una telematica, guadagnandoci moltissimo da ogni punto di vista.
Non sono qui per difendere le telematiche ad ogni costo: è indubbio che vi siano atenei che necessitano un adeguamento a standard qualitativi più alti. Tuttavia, vi sono motivi per i quali consiglierei a chiunque di scegliere una didattica a distanza. Innanzitutto, la possibilità di riascoltare le lezioni ogni volta che lo si desidera. Mi è capitato di non cogliere tutte le sfumature di un discorso al primo ascolto, ma nessuno mi avrebbe negato l’opportunità di riascoltarlo quando ne avessi avuto voglia.
Inaccettabile è poi la questione legata al rapporto studenti-professori. Potendo fare un confronto, vi garantisco che non trascorrevo più ore a parlare con i miei docenti di quante non me ne servano o non ne usi ora. Se ho bisogno di fare una domanda o di sciogliere un dubbio, ci sono tutor disponibili a dare risposte tramite blog tematici, lezioni in sincrono o messaggi privati.
Da un punto di vista dei contenuti, si studia e tanto. Ci si stanca e ci si addormenta sui libri, ci si confronta con i colleghi su Whatsapp e si cerca di smorzare la tensione prima di un esame.
Alcuni studenti non dedicano ore sufficienti allo studio? Le Università tradizionali non sono esenti da tale problema. La motivazione, la passione e la dedizione non dipendono dalla modalità di frequenza delle lezioni o dalla struttura fisica di un ateneo. Queste qualità appartengono a chi ha un obiettivo e a chi è disposto a fare dei sacrifici per raggiungerlo.
Lasciando da parte, ora, le mie impressioni personali e la mia testimonianza, vorrei solo manifestare il mio disappunto verso una manovra che spinge l’Italia indietro e che rischia di ledere il diritto allo studio. Non mi interessa cercare una polemica con l’Ordine degli Psicologi, che avrà le sue ragioni per muovere guerra contro i corsi di laurea online. Mi interessa capire cosa spinga un Ministro dell’Istruzione a dissolvere un’agenzia educativa che è figlia della nostra epoca. Siamo palesemente e inesorabilmente parte di una rivoluzione tecnologica e digitale. Spendiamo la gran parte delle nostre giornate su Internet e non riusciamo a non rimanere affascinati dagli ultimi modelli di cellulari e di computer. Non ci guardiamo quasi più in faccia e cerchiamo partner grazie a delle app. Abbiamo svenduto la nostra privacy sui social e acquistiamo prevalentemente su siti di e-commerce.
E volete dirmi che il nostro problema è un corso di laurea online, che anzi offre opportunità di studio alternative, favorendo così la crescita personale e l’autorealizzazione?
Ritengo che ci sia molto lavoro da fare, e sicuramente alcuni atenei online dovrebbero essere degli osservati speciali, ma questo vale per tutte le strutture digitali nelle quali viviamo ogni giorno.
A me e a tanti colleghi sarà data l’opportunità di laurearsi perché questo nuovo decreto non sarà retroattivo e porterà ad esaurimento i corsi già avviati, tuttavia resta l’amaro in bocca per quanti non saranno altrettanto fortunati da poter scegliere come e dove studiare.
Perché alla base della libertà personale c’è la facoltà di scegliere, e tolta quella cosa ci rimane?