Non possiamo più abbracciarci, darci la mano come segno di saluto o di pace, dobbiamo rinunciare anche al bacio fraterno e amicale. Il corona virus ci impone, attraverso i decreti legge, di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro e noi dobbiamo rispettare queste regole per non diffondere l’epidemia.
Sappiamo che tutto ciò avrà una fine, si spera il più presto possibile, ma nel frattempo dobbiamo rinunciare alla nostra spontaneità tutta italiana di gesticolare per non invadere quella parte di noi che la prossemica definisce “sfera intima”. Noi italiani abbiamo l’usanza di toccare il nostro interlocutore, per sottolineare l’importanza del discorso gli tocchiamo il braccio, gli prendiamo la mano, tutto per stabilire un contatto umano più vivo. Siamo un popolo non solo di santi, poeti e navigatori, ma anche di gesticolatori e toccatori e va bene così. È la nostra indole, certi comportamenti ci appartengono da troppi anni per poterli modificare in pochi giorni.
Come affermano in molti, la situazione attuale ci cambierà, non credo sia vero; penso invece che questa condizione ci possa far riflettere sulle relazioni con gli altri per instaurare rapporti più profondi e meno legati alla simpatia del momento. Se non posso toccarti, ti guarderò negli occhi con maggiore intensità, se non posso toccarti cercherò di dialogare con te, se non posso toccarti ascolterò con maggiore attenzione le tue parole. E torna lo strumento fondamentale della pratica filosofica: il dialogo che è ascolto e scambio. Un meraviglioso allenamento ci attende in questi giorni, che siano ore in cui si possa sfruttare al massimo l’emergenza per trasformarla in opportunità e non in un motivo di distruzione delle nostre relazioni.
Se ci dicono che cambieremo non dobbiamo crederci anche perché per cambiare è necessario un buon numero di anni, il cambiamento delle abitudini richiede una lunga e lenta trasformazione, non dimentichiamolo.