Alessandra Spadino, redattore e saggista barese. Ha tenuto corsi all’università di editoria e sul cinema di Pasolini.
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Da quanto tempo sono in casa?
Pur abitando in una città che non ha avuto un numero alto di contagi (Bari), ho rispettato dall’inizio di marzo una quarantena rigida, da allora sono uscita solo una volta. Non posso dire che la cosa non mi stia pesando ma penso che il nostro comportamento debba avere una priorità etica e cerco di resistere. D’altra parte stare chiusi in case confortevoli è poca cosa rispetto a
chi è costretto a lavorare quotidianamente in trincea mettendo a rischio la propria salute e, talvolta, la propria vita.
Come hai distribuito le tue giornate? Cosa hai privilegiato nel tempo che ti resta libero?
Nonostante tutto, le giornate passano velocemente anche perché senza l’aiuto delle nostre colf, il lavoro domestico ricade sulle nostre spalle, prendendo non poco tempo. Siamo in casa in 3: io, mio marito e mia figlia che dopo una laurea in architettura presa lo scorso ottobre allo Iuav di Venezia, aveva appena avviato il suo primo incarico professionale in uno studio di Berlino dove si stava occupando di un progetto per la Biennale di Venezia. Ma in seguito all’esplodere dell’epidemia la Biennale è stata rimandata e lei è rientrata in
Italia. Il futuro dei nostri ragazzi è la cosa che più mi preoccupa in questa circostanza.
La solitudine ti stressa?
Devo dire che la presenza di mio marito e di mia figlia attenuano il disagio dell’isolamento. Lo stare in casa tanto tempo ha avuto un duplice effetto: da un lato mi ha consentito di dedicarmi a cose piacevoli come la lettura, vedere dei bei film, studiare un po’ di inglese, sperimentare pietanze nuove in cucina, intervallare le attività con una mezz’ora di ginnastica, scambiare idee sui social con amici, dall’altro inevitabilmente mi ha privato del piacere di incontri anche apparentemente di poco conto fatti per strada, delle camminate al sole con le amiche
sul nostro bel lungomare barese, del cinema, del teatro, degli incontri culturali in particolare con una associazione di cui faccio parte, ‘Donneincorriera’ che è sempre foriera di nuovi stimoli e incontri e viaggi significativi. Quello che tuttavia trovo più pesante è la mancanza di quei piccoli contatti fisici, strette di mano, abbracci, sorrisi che oggi mi appaiono un nucleo così prezioso delle relazioni umane. Gesti che facevano parte delle nostri rapporti, soprattutto, forse, per noi del Sud.
Le mascherine ti danno la sensazione di proteggere te o gli altri?
La vita con le mascherine non è facile, temo che abituarsi a temere il contatto con l’altro possa portare a un progressivo distacco anche psicologico con il nostro
prossimo…
Cosa vorrei fare a emergenza finita?
Una lunga corsa in riva al mare, ho bisogno di vedere l’azzurro e sentire la salsedine sulla pelle. E abbracciare a lungo e con forza quelli che amo, e che non posso vedere, in particolare i miei fratelli
lontani ora intrappolati in un altrove che sembra non concedere spiragli di avvicinamento.