un racconto di Lucia Tilde ingrosso
Il telefono squilla quando sto per iniziare una riunione particolarmente noiosa.
“Ciao, come stai?” mi chiede la mia amica Sveva.
“Bede, ba un po’ di fredda!” cerco di tagliare corto.
“Dillo a me: ho appena consegnato un pezzo, sto andando a fare la spesa e poi devo passare a ritirare le camicie del comunista in lavanderia”.
Sto per commentare qualcosa, quando non riesco a trattenere un sonoro starnuto: “Etcì!”
“Sicura di stare bene?” insiste la mia amica, a cui far da mamma a sua figlia evidentemente non basta.
“Bedode!”
“Oddio, che voce: sembri la centralinista di un telefono erotico”.
“Uh, grazie!”
“Marta, non era proprio un complimento!”
“Sodo solo un bo’ raffreddada!”
“Ma stai facendo qualcosa per curarti?”
“Tipo Vicks VapoRub o suffumigi?”
“Marta, da quando eravamo piccole noi, la medicina ha fatto qualche passo in avanti!” replica la mia amica, con quel che di pedanteria che un po’ mi dà sui nervi.
“Dod ho voglia di imboddirmi di medicine” protesto.
“Non è necessario! Ho io la soluzione che fa per te: la grotta di sale!”
“?”
“Non la conosci? E’ una stanza tutta piena di sale in cui si fa una specie di aerosol a base di cloruro di sodio, che è un antibatterico e anti-infiammatorio naturale le cui proprietà sono note da millenni. E’ così che ho risolto la rinite allergica di Delfina”.
“Ba dai!” protesto, anche se debolmente.
La mia diffidenza non fa che corroborare la vix (o era vis? Non è che il latino me lo ricordi poi così bene) declamatoria della mia amica del cuore: “Il sale ammazza virus e batteri. Di sale è ricco il Mar Morto e non a caso si chiama così”.
Spero che non conti di convincermi con questa immagine di totale desolazione.
E intanto la mia amica prosegue: “Studi medici condotti all’estero hanno appurato che i lavoratori delle miniere di sale non hanno mai accusato malattie polmonari o delle vie respiratorie”.
“Bella forza: neanche gli operai degli altiforni mi risulta abbiano mai sofferto di reumatismi, ma non per questo noi…”
“Uffa, Marta: quando ti metti di traverso sei proprio insopportabile!” sbotta Sveva. Alché capisco di avere un po’ esagerato.
Che cosa mi costa provare? “Sono andata in una grotta di sale” suona anche bene. E di sicuro farei schiattare d’invidia quella “sotuttoio” della nuova commerciale, che si crede chissacchì e invece non sa un tubo.
“Ok” concedo alla fine.
“Allora prenoto per domani alle quattro?” mi incalza la mia amica.
Le farei notare, pur cortesemente, che le quattro si trovano nel bel mezzo di una giornata lavorativa. Almeno quella di chi lavora full time e non, invece, telelavora a tempo parziale dal salotto di casa. Ma temo che, facendolo, darei la stura a una serie di esternazioni ineleganti e noiose sul fatto che, alla fine, le mamme part time sono quelle che portano sulle spalle il destino dell’umanità intera.
“Ok” acconsento, pensando anche ai miei 90 giorni di ferie arretrati che non trovo mai il modo di godermi.
Alle quattro meno un quarto del giorno successivo mi faccio diligentemente trovare di fronte al portone dell’indirizzo indicatomi. La sera prima, intasata in ogni ordine di via respiratoria, mi sono un po’ impasticcata e ora sto meglio. Non abbastanza, però, da permettermi di bigiare l’appuntamento con la mia amica.
Nel frattempo ho un po’ fantasticato su questa grotta di sale: un luogo misterioso e un po’ magico, nelle viscere della terra, in cui torni in contatto con il tuo vero io.
Sveva arriva qualche minuto dopo, in sella alla sua scassatissima Graziella. Ci salutiamo, affrettatamente ma non per questo meno affettuosamente, e infiliamo il portone. Attraversiamo un bel cortile e poi entriamo da una porticina. C’è una piccola hall arredata con puff colorati e mobili dell’Ikea.
“Carino, no?” mi chiede la mia amica, già in ansia da prestazione.
“Be’, non male” replico evasiva, prendendo tempo.
In un piccolo vestibolo ci togliamo scarpe e giacconi, quindi ci viene incontro una giovane donna, abbastanza carina ma non trendy come mi sarei aspettata, Cristina. Dopo un saluto cordiale, ci infila in testa una cuffietta di plastica. Inorridisco e sto per dire qualcosa che stroncherebbe sul nascere la benché minima possibilità di un rapporto civile con lei, quando Sveva, che mi conosce da una vita, mi assesta un pizzico sul fianco. Abbozzo un sorriso falso e taccio.
“Prego, accomodatevi” e la giovane donna apre la porta. Sono incuriosita dalla luce soffusa e dalla musica soft ed entro di slancio. Ma il piede si incaglia contro un piccolo dislivello (topicco, in milanese; inciampo in italiano).
“Attente al gradino…” ci sta avvisando Cristina, mentre io mi prendo in mano l’alluce dolorante.
“Poteva dirlo prima!” mastico tra i denti.
La porta si chiude alle nostre spalle.
Prima di tutto, non è affatto una grotta, ma solo una banale stanza quadrata, neanche tanto grande. Le pareti sono incrostate di sale e una generosa quantità dello stesso è sparpagliata al centro. Tutto intorno ci sono delle sedie a sdraio che sembrano molto comode. L’unico essere umano presente è seduto sul fondo, indossa la cuffietta d’ordinanza, è seminascosto da una copertina di pile verde piuttosto cheap e presenta un’inquietante protuberanza. Sveva e io ci accomodiamo su due sedie vicine.
Noto che c’è anche uno schermo: bene, magari trasmettono qualche filmato interessante. Il mare, un video di Michael Bublè, cose così. E invece noto con delusione che sullo schermo stanno scorrendo le immagini di Paperino che insegue Cip e Ciop.
In compenso, la musica e le luci hanno su di me un immediato effetto distensivo. Chiudo gli occhi.
“Lo senti il sale?” mi chiede a un certo punto la mia amica.
Mi sembra che siano passati venti secondi e invece siamo qui già da venti minuti.
“Se respiri a fondo, avverti il salato in gola” continua Sveva.
Ci provo ed è proprio così! E mi sento anche naso e gola più liberi. Comincio a pensare che la mia amica per una volta abbia ragione, quando l’essere con la protuberanza (una perticona che potrebbe essere svedese) si muove in maniera inconsulta. E dalla copertina verde salta fuori un esserino mostruoso che comincia a urlare, dimenarsi e lanciare in aria manciate di sale.
“Che carino!” esclama Sveva.
La guardo come se il cloruro di sodio le avesse dato alla testa.
Subito dopo, la porta si apre facendo entrare una frotta di bambinetti urlanti che subito si uniscono al mostriciattolo.
Tutti insieme si mettono di buzzo buono nell’emettere suoni inutile e spostare il sale da una parte all’altra della stanza. Il che manda a pallino tutti i miei buoni propositi di relax.
“Che tesorucci, eh?” mi domanda Sveva con aria ebete. Che cosa ci trovi in questi nanetti molesti non mi è chiaro.
“L’haloterapia fa bene soprattutto ai bambini” mi spiega. Il che giustifica i giochi sparpagliati in mezzo al sale e i cartoni animati che continuano a girare sullo schermo. Adesso Paperino sta tagliando l’albero in cui Cip e Ciop hanno nascosto le loro noccioline. La vicenda sembra entusiasmare allo stesso modo grandi e piccini. E’ proprio vero, diventare genitori ha lo stesso effetto di un acido: brucia le cellule del cervello!
Mi guardo intorno: devo ammettere che le mamme presenti, cuffietta a parte, hanno tutte un certo stile. Qui si vede anche bella gente, mocciosi a parte. Ma di certo non è un posto che fa al caso mio. Non si adatta per il cucco di classe. Qui magari becchi anche uomini di un certo livello, ma sono già sposati e qui portano i bambini con il cimurro. Pardon, con il catarro.
Quando usciamo, ringrazio prima Cristina e poi Sveva. Ma a nessuna delle due sfugge il mio sottinteso. E il mio sottinteso è che, qui, io non ci metterò mai più piede.
Quella smorfiosa del commerciale ha accusato il colpo. Le grotte di sale non sapeva neanche che cosa fossero. “Ideali anche per la pelle e contro disturbi dell’umore” insisto io, per farla sentire in difetto. “Pensa che riproducono fedelmente il microclima esistente nelle miniere di sale di Wieliczka, in Polonia, dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco!” dico.
Lei sbianca, a corto di argomenti. Mi incammino per tornare al mio ufficio, quando mi raggiunge la sua vocetta impostata e nasale: “E tu l’hai provato il fish pedicure?”
Naturalmente so di che cosa si tratta. Ne ho sentito parlare per la prima volta già anni fa, ai tempi del mio viaggio a Bali con il mio ex (quello che era anche il mio capo, aveva 20 anni più di me e una famiglia di troppo). Quando poi però le vasche piene di quei pesciolini (i garra rufa si chiamano) le ho viste dal vivo per strada, non ho trovato il coraggio di metterci i piedi dentro.
Mi giro e la guardo con aria di sfida: “Sì, certo! Già anni fa a Bali”. Non è vero, ma di certo lei non può saperlo (a meno che non se la intenda con il mio ex).
Lei rimane qualche attimo in silenzio. E poi: “Ma hai provato anche il centro di Milano?”
“Il centro di Milano?” non posso esimermi dal ripetere. Da quando il fish pedicure si fa anche a Milano? Perché nessuno mi ha avvertito?
“E’ aperto già da un bel po’. Strano che una avanti come te non ci sia ancora stata” riprende, insinuando non si capisce bene che cosa.
“In effetti avevo giusto in agenda di prenotare. Grazie per avermelo ricordato!” e me ne vado, elegante e regale sul mio tacco dodici, senza neanche lanciarle un’ultima sdegnata occhiata.
Chiamo subito il centro, che con Google ci ho messo un attimo a trovare.
Per fortuna, c’è posto. Evidentemente la voce non si è ancora sparsa. Meno male. Al momento di dare nome e numero di cellulare, il che equivale a firmare con il sangue la prenotazione, ho una piccola esitazione. L’idea di mettere i piedi in una vasca piena di pesciolini famelici non mi ha mai sorriso.
Perché dovrei farlo ora? Sto per riattaccare, vigliaccamente, quando mi balza davanti agli occhi l’immagine della mia collega: non posso permettere che l’abbia vinta.
Do nome e numero senza battere ciglio e poi aggiungo: “Prenotazione per due”. Sveva verrà con me, anche se ancora non lo sa.
Il giorno dopo la passo a prendere con la mia Smart rosa griffata Hello Kitty.
La mia amica salta a bordo con un balzo. Per tutto il viaggio mi subissa di domande, ma io sono incrollabile nel custodire il mio segreto.
“Per ringraziarti di avermi introdotto nel favoloso mondo delle grotte di sale – spero che il mio tono ironico non le sfugga – voglio farti scoprire qualcosa anch’io!”
“Oh, che bello!” esclama lei scioccamente. Il mio tono ironico le è totalmente sfuggito.
Arriviamo a destinazione. E’ subito chiaro che si tratta di un centro estetico. Sveva mi fissa perplessa.
“Lampada, manicure, messimpiega?” spara a casaccio. Liquido le sue patetiche illazioni con un gesto della mano e la invito a segurimi.
La reception è minuscola e arredata in rosa confetto. L’uomo al banco si presenta come François, ma sfoggia un accento di Bergamo bassa. A consultare il suo registro ci impiega svariati secondi, anche se l’unico nome segnato oggi è il mio.
“Fish pedicure per due!” afferma con enfasi.
Io annuisco con vigore e intanto, con la coda dell’occhio, spio la reazione della mia amica. Ma Sveva si mostra impassibile.
Seguiamo François in una stanza dall’aria pulita ma leggermente angusta. Al centro troneggiano tre vasche trasparenti in cui sguazzano dei pesciolini dall’aria inoffensiva. Direi anche simpatica, se amassi questo tipo di animale.
“Eccoli, i nostri piccoletti!” afferma l’uomo, affettato.
“Che pesci sono?” si informa Sveva.
“I garra rufa, dei pesci mediorientali di acqua dolce, diffusi in Turchia, Siria, Giordania…”
“E che ci fanno qui?”
“Li abbiamo importati legalmente da allevamenti in Turchia, senza alcun trauma: gli animalisti devono stare tranquilli!” e in coda aggiunge una risatina, come se avesse appena fatto una battuta divertente.
Sveva lo fulmina con lo sguardo: “E che ne è del loro habitat naturale?”
“Lo abbiamo riprodotto perfettamente: la temperatura delle vasche è di 23 gradi!” risponde prontamente il francese de’ noantri.
“Come se bastasse quello… E che cosa gli date da mangiare?” prosegue Sveva, battagliera.
Io e il tizio ci scambiamo un’occhiata di intesa. “Ma la sua amica non sa nulla?” mi domanda lui.
“No, in effetti: è una sorpresa!”
A seguire la spiegazione: i garra rufa si cibano della pelle morta ed è per questo motivo che vengono utilizzati per il pedicure.
“Io dovrei mettere i piedi nella vasca e farmeli mangiare da questi piccoli piranha?” sbotta la mia amica.
Detta così, in effetti, la cosa sembra parecchio curiosa. Io stessa sono a un passo dal desistere, anche se così perderei la faccia, visto che sono stata io a portarla qui.
“Non preoccupatevi – si affretta a rincuorarci François – non hanno denti, ma solo piccole ventose. Ed è con quelle che vi strappano brandelli di pelle morta”.
L’assenza di denti è una consolazione, ma i brandelli di pelle morta non sono esattamente il discorso di vendita che avrei usato io.
“Saranno anche un centinaio per vasca” prosegue Sveva, osservando i pesci con occhio critico.
“Trecentoventi!” esclama François di rimando.
“Ma hanno abbastanza spazio vitale?” prosegue Sveva.
Da quando in qua è diventata anche una paladina dei diritti degli animali?
Il tizio annuisce.
“Be’, dai, è economico” piazzo io, per cambiare discorso.
Sveva si volta verso di me e mi guarda come se le avessi proposto di ballare la Polka nuda in piazza Duomo.
“Come? Diamo da mangiare ai pesci e ci fanno pure pagare?”
A quel punto, comincio a sospettare che con lei non sia cosa.
“Marta, se tu pensi che io metta piede…” inizia Sveva.
“Be’, però io nella tua grotta di sale ci sono venuta…” replico, stizzita.
Lei alza gli occhi al cielo. E io capisco, definitivamente, che tra lei e il fish pedicure non è scattata la scintilla.
Così, senza fiatare, mi tolgo calze e scarpe. I garra rufa (ma che nome è? Viene da pensare più a una birra o a un rapper) mi fissano con l’acquolina in bocca. Sveva mi fissa invece con il terrore negli occhi: “Marta non vorrai mica? Le infezioni, le malattie…”
Esito. E chiedo a François: “Mica mangeranno pure lo smalto?” Sono reduce da un recente e costossimo pedicure estetico comprato però a prezzi stracciati con Groupon.
Lui annuisce con aria complice: “Tranquilla. Però dovrei lavarle i piedi prima…”.
“I miei piedi sono pulitissimi!” replico sdegnata.
Tranquilla non lo sono granché, ma sento di non avere altra scelta. Chiudo gli occhi e immergo i piedi. Sento subito un contatto: un formicolio, uno sfarfallio, un solletico. Apro gli occhi e vedo gli avidi pesciolini banchettare intorno ai miei piedi.
Vorrei tirarli fuori scappare mille miglia lontana. Ma Sveva mi prenderebbe in giro per anni. E la mia collega trendy si farebbe beffe di me.
Più dello schifo vale lo chic. Dopo un po’, ci faccio anche l’abitudine. Poi, quando dieci minuti dopo tiro fuori i piedi, me li sento morbidi e lisci.
“Vedrà che anche la microcircolazione è riattivata!” mi assicura François, mentre pago .
Io annuisco, ancora incapace di catalogare l’esperienza vissuta.
“Quando fisso il prossimo appuntamento?” mi chiede poi lui.
Rimango qualche istante indecisa su che cosa rispondere, poi la mia amica mi trascina via.
“Bye bye garra rufa!” esclama Sveva con tono sarcastico.
Una volta in strada, mi prende a braccetto e comincia a ridacchiare: “Un pedicure con i pesci che ti smangiucchiano la pelle morta: quando glielo dirò, il comunista non riuscirà a crederci!”.
Lucia Tilde Ingrosso – Giornalista professionista nella redazione di Millionaire. Giallista, autrice della serie dell’ispettore Rizzo (La morte fa notizia, A nozze col delitto, Io so tutto di lei, Nessuno, nemmeno tu), in procinto di diventare una fiction. Scrittrice rosa (Uomo giusto cercasi) e umoristica. Scrive anche con il marito (Milano in cronaca nera e 101 cose da fare in gravidanza e prima di diventare genitori). Ha sempre molti progetti e poco tempo. Vive a Milano.