Dalla sindrome della capanna allo stress per l’uso delle mascherine, dalle somatizzazioni agli effetti psicologici e relazionali del distanziamento fisico, un ritratto della gente comune alle prese con il ritorno alla vita nel post confinamento.
Sabato, 6 Giugno 2020 presso il Caffè Letterario a Roma ho condotto un approfondimento psicologico sul tema del ritorno alla socialità dopo il confinamento dal titolo: Rincontrarsi, la fase 3 tra emozioni vincoli ed opportunità. Da che si è potuto uscire di casa ed hanno riaperto i locali come Il Caffè Letterario, struttura molto frequentata da studenti e teatro di Eventi culturali ed artistici di vario genere, ci si è subito accorti di quanto fosse difficile per la popolazione, più che ritornare ad una vita che somigliasse pallidamente a quella di prima della pandemia, letteralmente uscire di casa.
I primi dati relativi all’emersione dall’isolamento forzato ci hanno restituito la fotografia di un paese attraversato dalla paura: il 25% degli intervistati dichiarava il timore di contrarre il virus, il 39% temeva il contatto ravvicinato, il 41% era spaventato dal prendere i mezzi pubblici e solo l’8% si sentiva sicuro nell’uscire di casa.
Per questo ho pensato che potesse essere utile organizzare un incontro gratuito col duplice scopo di incoraggiare le persone ad incontrarsi nuovamente, rispettando tutti i criteri di sicurezza, e di far loro esprimere le proprie emozioni consentendogli di porre domande e di dialogare con un esperto circa il difficile periodo che abbiamo attraversato a causa della Pandemia da Covid 19, nell’ottica di incamminarci verso il futuro ancora incerto che ci attende.
Né la direzione culturale del locale né io ci saremmo aspettati un dibattito tanto partecipato e commovente, segno evidente della necessità delle persone di trovare risposte ai loro dubbi, di raccontarsi e attribuire un senso a ciò che hanno vissuto e stanno sperimentando in questa situazione eccezionale.
Varie domande hanno riguardato la tendenza di figli, genitori, amici e conoscenti dei presenti a non uscire di casa, la cosiddetta sindrome della capanna, una costellazione di reazioni e sintomi collegati ad uno stato prolungato di separazione dagli altri rilevato per la prima volta durante il periodo della corsa all’oro in America in cui i cercatori si isolavano per lunghi periodi in capanne e mostravano una grande difficoltà a riadattarsi alla vita sociale, sperimentando vissuti di ansia e manifestando sfiducia verso gli altri, ostilità e rifiuto.
La sindrome della capanna assume caratteristiche ed ha spiegazioni diverse a seconda della fascia d’età in cui si manifesta.
Tra gli anziani il permanere tra le mura domestiche ha assunto la valenza rassicurante di protezione dal virus, al quale hanno pagato il tributo più alto, nonchè di difesa psicologica dalla presa d’atto che molte delle attività cui erano abituati saranno o sospese o drasticamente ripensate alla luce dei nuovi standard di sicurezza che prevedono il distanziamento fisico.
Un numero significativo di adolescenti, complice anche la chiusura delle scuole e dei locali di divertimento di massa, ha procrastinato l’uscita da casa dedicandosi alle relazioni virtuali e crogiolandosi nel protettivo quanto facilitante ambiente familiare.
In un paese sempre più povero di opportunità educative esperienziali e lavorative nonché caratterizzato da un sistema educativo marcatamente iperprotettivo che facilitando eccessivamente i ragazzi, li rende fragili e dipendenti, si corre il rischio di lasciarli scivolare nella condizione in continuo aumento degli Hikikkomori, ovvero di quei giovani che si ritirano dalla vita sociale e dal rapporto con i familiari rinchiudendosi in camera loro. Questo rifiuto radicale delle relazioni e del mondo esterno ha lo scopo di bypassare le sfide evolutive cui i ragazzi dovrebbero rispondere e che invece vengono evitate perché vissute come insopportabili pressioni ambientali.
Come cominciare ad aiutare chi presenta chiari segni di sindrome della capanna?
Dipende dall’età, le persone anziane devono essere in primo luogo fatte oggetto di affettuose premure e di un ascolto attento; dopodiché con una guida amorevole e graduale andranno accompagnati alla riconquista di una normalità anche se diversa da quella che hanno lasciato prima del confinamento. Va loro trasmesso con grande garbo che per costruire la nuova realtà che ci e li aspetta c’è bisogno assolutamente del loro prezioso contributo.
Con i ragazzi è importante non abdicare al ruolo educativo ed orientarli verso la strutturazione di una routine che non li faccia cadere nell’apatia e non li consegni al pericoloso circolo vizioso abbattimento inattività-rinuncia, prostrazione-inattività-evitamento etc. Inoltre è necessario, qualora abbiano timore di uscire, concordare una esposizione graduale alla situazione temuta al fine di sbloccare la situazione.
Per tutti vale la regola che non si può rinunciare a vivere per paura di ammalarsi e che visti i risultati positivi del confinamento in termini di contenimento del contagio possiamo, dobbiamo tornare, rispettando le misure di sicurezza, ad una nuova quotidianità che costruiremo tutti insieme.
Circa gli ausili di sicurezza, molte persone si sono dichiarate stressate dal loro utilizzo ed anche turbate da come ostacolino la visione degli altri rendendo difficile la comunicazione.
Alcuni hanno manifestato un significativo disagio nel mantenere il distanziamento fisico che è stato del resto percepito da parte della popolazione come intollerabile tanto da essere all’origine dell’interruzione di molte relazioni durante la quarantena, come se l’impossibilità di viverne la fisicità le privasse di qualunque interesse.
Il tema del corpo ha via via occupato sempre più spazio nell’incontro attraverso le domande in cui i partecipanti hanno riferito numerose somatizzazioni del disagio psicologico che hanno vissuto.
Per una Psicoterapeuta che interviene sul sistema mente corpo quale io sono (Bioenergetica – Anima e corpo), il senso di estraniamento da sè, la prostrazione o al contrario l’eccessiva tensione, i dolori erratici, le difficoltà respiratorie rappresentate, non sono state una sorpresa, anche perché all’origine di molte delle richieste di aiuto ed intervento specialistico che ho ricevuto durante la quarantena.
C’è da sottolineare che già prima che il Covid 19 s’annunciasse, investendo il mondo come un cataclisma, il rapporto con il corpo della popolazione era tutt’altro che sereno, come rarefatte, superficiali ed insoddisfacenti del resto, venivano vissute le relazioni tra le persone.
Il sistema di vita occidentale ha separato l’uomo dalla natura alienandolo da se stesso e dal suo essere natura. Questo meccanismo è alla base anche della sindemia globale e della attuale pandemia come ho descritto con dovizia di particolari nel mio articolo “La cura ai tempi del Coronavirus”.
Le economie neoliberiste che si fondano sull’iniziativa privata e basate sulla competizione, vedono i cittadini fondamentalmente come consumatori che sono indotti a condurre delle vite insane, frenetiche, dominate dalla solitudine, in cui è disincentivata la connessione con la madre terra che ci sostiene e ci nutre ma anche con noi stessi, con i nostri veri bisogni che sono quelli di un contatto empatico con gli altri volto allo scambio e alla collaborazione connotati da reciprocità ed affettività.
E’ una società bulla quella che si crea caratterizzata da profonda separazione tra le persone e connotata nell’individuo da una profonda scissione nel sistema mente corpo: le persone vivono nella testa e rifuggono dal sentire con tutta una serie di ricadute psicologiche e somatiche.
Del resto un corpo da cui l’anima è fuggita (insieme al sentire) in un sistema dominato dal profitto, diventa soltanto una merce che deve essere esibita, modificata, migliorata, offerta e consumata.
E’ evidente dunque cosa ci sia all’origine del crescente disagio sociale, educativo, relazionale, psicologico, ambientale, sanitario ed economico dell’essere umano che naturalmente ora sta esplodendo complice la pandemia da Covid 19.
Sembra un disastro eppure la crisi sanitaria ci ha messo di fronte all’errore, alla responsabilità dei potenti della terra e dell’uomo in generale nell’ aver creato o alimentato un sistema di vita fatuo, insano, ingiusto ed infelice.
L’attento auditorio concordava che è proprio da qui che saremmo dovuti ripartire, da questa presa d’atto che l’uomo allontanandosi dal suo essere natura e dalla sua istintiva ed adattiva propensione allo stabilire legami con i suoi simili in armonia con l’ambiente, ha smarrito se stesso.
Ciò che abbiamo vissuto, si spera ci faccia comprendere l’urgenza di rientrare in noi stessi attraverso la connessione con i nostri bisogni più autentici, sia corporei che emotivi.
Diviene cruciale, in tal senso, ricollocare al centro delle relazioni l’affettività attraverso cui leggere e dare valore alla confidenza e al contatto fisico che sono da considerare un dono e non una ovvietà scontata.
Attente e piene di domande, le persone presenti, collocate a distanza di sicurezza, si andavano via via rilassando con lo snodarsi del dialogo e si guardavano tra loro, scoprendosi emozionate, curiose, compartecipi e connesse. Ho visto tanti occhi lucidi e ho sentito pronunciare da più parti la frase: che bello rivedersi, stare in mezzo agli altri ad ascoltare, interrogarsi e a parlare.
Ed è stato come se i presenti intravedessero, al termine di questo spazio condiviso, l’opportunità che le cose potessero tornare ad essere non come prima, ma meglio di prima, proprio incontrando gli altri, sentendosi, immedesimandosi e accogliendosi vicendevolmente con comprensione profonda per la comune vicenda umana: il più grande degli abbracci per il quale non vi è necessità di tocco.
2 commenti
Carissima Dott.ssa Alexia Di FIlippo ho avuto il privilegio di essere presente il 6 giugno in occasione del suo intervento. Sono stata tra quelle persone commosse per tutto ciò che ci ha donato quella sera: spiegazioni, risposte a tante domande, rassicurazioni, soluzioni per i nostri ragazzi o genitori anziani ma soprattutto per noi stessi! Abbiamo seguito con attenzione ogni Sua sfumatura, ogni sua analisi, abbiamo seguito il suo sguardo che si è posato su ognuno di noi anche se eravamo tantissimi! E’ riuscita a coinvolgerci in un’ondata di emozione quando ha recitato le parole del testo di Battiato “E ti vengo a cercare” con la musica finale. E’ stato e sarà un ricordo indimenticabile, una sferzata di vita ed un inno alla vita che DEVE continuare!
Ho vissuto – dopo tanto tempo – una serata bellissima in compagnia di amici in un contesto di sorrisi, grazie al Suo immenso impegno. Ancora grazie dal cuore!
Gent.ma Gabriella,
apprezzamenti come questi mi restituiscono l’utilità e la bellezza della mia professione, nonchè l’opportunità di questo ciclo di incontri gratuiti che ho deciso di condurre, terminato il lockdown, proprio per dar modo alla popolazione, traumatizzata da quanto abbiamo vissuto negli ultimi mesi, di dare voce ai propri dubbi e alle paure, interagendo con me e rincontrandosi gli uni con gli altri.
Ringrazio, nella sua cortese persona, tutti i partecipanti per le emozioni condivise, la disponibilità al dialogo e la fiducia riposta nella mia persona.
E’ stata un’esperienza talmente coinvolgente che il Caffè Letterario mi ha chiesto di replicarla in seguito e naturalmente la aspetto a braccia aperte.