Riportiamo volentieri il resoconto della prima assemblea di Matria Puglia (della quale faccio parte anche io, sebbene fuorisede)“Dalla Puglia, Terra Madre che accoglie, 100 donne lanciano una Piano Operativo per la ripresa del Sud Italia e del Mediterraneo, per riattivare i settori più colpiti dalla crisi COVID-19 e combattere quel divario di genere che si è evidentemente acuito”. Ha partecipato anche tra gli altri/e, il premier italiano Giuseppe Conte.
Con il sostegno di Nuova Fiera del Levante e il patrocinio e il contributo organizzativo di CIHEAM Bari, l’84^ edizione della Campionaria Internazionale Generale ospita la prima Assemblea globale di Matria Puglia.
Attraverso gruppi di lavoro intersettoriali (in presenza e on line) donne del mondo della Politica, dell’Economia e della Finanza, delle Imprese, del Terzo settore, del Sindacato dell’Istruzione e della Ricerca, della Scienza, dello Spazio, dell’Arte, della Cultura, dello Spettacolo, dell’Informazione, della Comunicazione, delle Organizzazioni governative e della società civile, ho invitato 99 donne a connettersi con me per impegnarsi ed esprimersi su questioni in cui la loro leadership è cruciale.
In questo momento storico in cui il divario di genere è pericolosamente diventato una emergenza sociale, Matria Puglia (movimento che dal 2019 ha cominciato ad aggregare donne pugliesi nel Mondo) desidera farsi promotore di un percorso attraverso cui generare dialoghi, reti solide, proposte paritarie, utili a costruire una ripresa più inclusiva in cui i leaders del cambiamento dei Sud del Mondo – sia donne che uomini – possano essere ispirati a rimodulare modelli e azioni.
A livello internazionale, la leadership delle donne e la piena partecipazione alle economie e alle società, sono fondamentali per guidare un futuro sostenibile, per riconoscere e rispondere alle diverse esperienze delle donne le cui voci sono messe a tacere dalla povertà, dal razzismo, dalla violenza e dall’ingiustizia.
Le donne e gli uomini devono unirsi per spezzare questo silenzio.
Il rischio che una intera generazione di donne – particolarmente le native del Sud Italia e del Mediterraneo – perda la speranza, è purtroppo molto concreto. E questo momento storico di ricostruzione ci richiede un impegno concreto.
fondatrice Matria Puglia
MATRIA PUGLIA
PRIMA ASSEMBLEA MEDITERRANEA
PREMESSA
Con questo processo partecipativo che ha coinvolto 100 donne pugliesi impegnate in ogni settore socio-economico Matria Puglia vuole far dono al Paese, partendo dalla Puglia e da Bari dell’impegno appassionato di donne sensibili e competenti che credono nella possibilità per questa regione di farsi non soltanto portavoce ma anche spinta per quei territori che si affacciano sul Mediterraneo e che legittimamente chiedono centralità in Europa.
Il divario di genere non è affatto superato, lo abbiamo visto anche nei comitati per la ripartenza, ai quali le donne nei mesi scorsi non sono state chiamate a partecipare. Una dimenticanza grave per almeno due motivi: primo, non si può escludere la metà della popolazione dai tavoli in cui si discutono le politiche che segneranno gli anni a venire; secondo, le donne hanno pagato il prezzo più alto durante il lockdown, con un’occupazione resa più precaria dalla situazione contingente e una dedizione a tempo pieno alla cura dei figli, della casa, dei genitori anziani, dei disabili.
La voce delle donne si è fatta allora più forte così che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riconosciuto questa mancanza restituendo, in parte, uno spazio necessario non soltanto alle Donne ma all’intero Paese.
Non c’è infatti ripartenza senza lo sguardo, la visione delle donne, spesso assenti in quelle posizioni di vertice che possono invece offrire soluzioni necessarie ed ormai improcrastinabili affinché l’Italia tutta ed il Mezzogiorno in particolare possa finalmente dirsi un Paese moderno ed avanzato.
Chiediamo allora l’impegno, oggi, 2 ottobre 2020 al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, di garantire il 50% di presenza delle donne in ogni organismo decisionale con l’intesa di ritrovarci fra un anno in occasione della prossima edizione della Fiera del Levante per valutare insieme lo stato di attuazione.
I TAVOLI DI PARTECIPAZIONE
- Governance
- Il Mezzogiorno e il Sistema produttivo
- Politiche internazionali e Sud del Mondo
- Impresa sociale, culturale ed Economia circolare
- Welfare, Lavoro, Lotta alla povertà e Connessioni territoriali
- Scuola, Educazione, STEM, Ricerca e Politiche Giovanili
- Innovazione, Attività produttive e Start Up
- Sanità, Salute, Qualità della vita
- Culture, Turismo e Sport
- Diritti, parità ed eliminazione delle violenze e delle differenze
SINTESI AREE TEMATICHE DEI TAVOLI DI PARTECIPAZIONE
Governance
Scriviamo un programma dal basso di un Sud capace di interfacciarsi con i piani nazionali, europei e internazionali ed affermare la leadership femminile.
Innanzitutto, partendo dal basso, è necessario chiarire un concetto fondamentale: per condividere appieno le esperienze reciproche e per poterle utilizzare nel modo migliore, è necessario appoggiarsi non solo alle esperienze dirette e personali (fucine di saggezza), ma dare ambito e spazio anche alle competenze. Meglio ancora se specifiche e relative ai temi da affrontare e risolvere.
Significa, nella fattispecie, conoscere ed aver studiato le criticità del territorio e le sue potenzialità per incastonare il bisogno locale con i contesti nazionali e globali.
In questo momento storico in cui si sta scrivendo il futuro della nostra Nazione tramite il Piano per il cosiddetto “Recovery Funds”, ancora una volta la presenza femminile è molto sottostimata. La maggior parte degli esperti selezionati (almeno in campo accademico) è composta da uomini. E così non va. Anche perché una visione al femminile, nella gestione del futuro del nostro paese, potrebbe sicuramente giovare a tutte ed a tutti anche grazie alle capacità sviluppate da noi donne nel vivere e programmare il quotidiano con un’abitudine alla “multisettorialità” ed alla “pluridimensionalità”.
La politica e il dialogo politico sono sempre stati un elemento essenziale nelle dinamiche legate alla cooperazione allo sviluppo, ma l’uguaglianza di genere non è stata ben integrata in queste discussioni. Sullo sfondo di una serie senza precedenti di crisi mondiali segnate da insicurezza finanziaria, ambientale ed economica, le opportunità per promuovere il dialogo sulle politiche di sviluppo non sono mai state così grandi e al tempo stesso la necessità di instaurare questo dialogo si fa sempre più pressante.
Il dialogo politico sull’uguaglianza di genere e sui diritti delle donne offre un mezzo per valutare, affrontare e migliorare la condizione delle donne e delle ragazze. Plasmare gli atteggiamenti delle persone e le decisioni politiche attraverso il dialogo a favore dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne è fondamentale per l’emancipazione delle donne, per liberare il loro pieno potenziale e per il raggiungimento di una crescita economica sostenibile e di uno sviluppo per tutti.
I partenariati di sviluppo inclusivi basati sull’apertura, la fiducia, il rispetto e l’apprendimento reciproci come principi fondamentali, costituiscono la base di un’efficace cooperazione allo sviluppo. Il dialogo che mira a influenzare i risultati dello sviluppo verso il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne può essere considerato dialogo politico.
Il dialogo politico sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne aiuta a creare una comprensione condivisa delle questioni, delle prospettive e degli approcci specifici di un paese per la promozione concreta dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne.
I partner per lo sviluppo stanno inevitabilmente facendo una scelta politica quando scelgono – o scelgono di non – affrontare la parità di genere. Portare una prospettiva di uguaglianza di genere nella politica e nel dialogo politico a livello nazionale è essenziale per garantire che significative opportunità di finanziamento (ad esempio fondi per il cambiamento climatico) giovino allo stesso modo a donne e uomini e che le loro rispettive esigenze e punti di vista siano presi in considerazione.
Riconoscere il ruolo e l’influenza degli squilibri di potere sul comportamento degli attori è essenziale per il successo o il fallimento del dialogo sull’uguaglianza di genere a livello nazionale.
Un tipo di dialogo “consapevole del potere” può aiutare a correggere le asimmetrie di potere tra uomini e donne e ad attuare atteggiamenti e approcci verso il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne. Un approccio globale e inclusivo al dialogo sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne integrerà un quadro completo del contesto politico (istituzioni, attori politici, discorsi), incluso il modo in cui le reti di persone lavorano o resistono al cambiamento delle politiche.
Il 2020 segna il 25 ° anniversario del Processo di Barcellona che arriva in un momento di grandi sconvolgimenti per la regione Mediterranea e il mondo, con il COVID-19 che ci dimostra, in maniera inequivocabile, la necessità della cooperazione internazionale, come strumento imprescindibile per agire in maniera concreta e produrre cambiamenti tangibili sulla vita delle persone. La pandemia da COVID-19 non è solo un problema di salute.
In questo contesto, una strategia che adotti il suddetto approccio dovrebbe mirare all’emancipazione delle donne nella sfera sociale, politica ed economica, alla creazione di posti di lavoro, all’avanzamento di carriera e alle opportunità di inclusione economica per donne e giovani, allo sviluppo sostenibile e alle azioni per il clima nel contesto delle sfide alla sicurezza alimentare/ idrica/energetica e della dimensione “genere” della migrazione.
E’ davvero così difficile immaginare il 50% equamente diviso tra uomini e donne per ogni affidamento, incarico da parte di un ente pubblico? E perché non puntare alla stessa percentuale anche per le commissioni, i comitati scientifici e/o tecnici all’interno delle società partecipate e replicare il tutto anche per gli incarichi di assistenza e consulenza legale conferiti all’esterno? Non sarebbe poi così difficile, ne siamo sicure.
A noi dunque la possibilità di proporre soluzioni pratiche, realizzabili, efficaci, con ricadute puntiformi. Come tanti pixel che vanno a determinare uno schermo, così la governance “anche” al femminile contribuirà a rendere alto il livello di risoluzione dell’immagine ovvero della visione.
Il Mezzogiorno e il Sistema produttivo
Il Mezzogiorno ha bisogno di fare sistema e di fare impresa.
Cooperazione e competizione sono le nuove sfide?
Quando si parla di Mezzogiorno d’Italia spesso si è portati a pensare che sia la parte meno produttiva del paese. Questa erronea e parziale valutazione ha generato per molti anni dei preconcetti, facendo dimenticare la capacità estremamente manifatturiera del Sud.
La Campania, ad esempio, è uno snodo produttivo fondamentale per i brand del lusso. In particolare nelle province di Napoli e Caserta, vengono prodotte borse, scarpe, cinture e portafogli per le griffe internazionali. Buona parte dello sviluppo del territorio è stato favorito all’avvento dell’alta velocità ferroviaria ed il potenziamento dell’aeroporto di Capodichino che hanno reso molto più semplice il raggiungimento delle fabbriche per gli ispettori delle firme che hanno, il più delle volte, la sede in Toscana ed in Lombardia. C’è però un collo di bottiglia che si fa fatica a risolvere ed è quello della mobilità interna. Una volta arrivati alla stazione ferroviaria o all’aeroporto non ci sono collegamenti da e per le zone produttive. Questo implica dover utilizzare autoveicoli propri: soluzione adottata anche da chi lavora nelle aziende.
La manifattura italiana deve dunque ripartire dalla manifattura meridionale e sviluppare qui tutti i poli strategici di scambio: porti, aeroporti, treni veloci e migliori collegamenti interni.
Altri strumenti utili potrebbero essere una defiscalizzazione adeguata per chi rientra con le proprie produzioni dall’estero e decide di produrre qui, con l’obbligo di non poter andare via alla fine degli incentivi; il censimento della filiera produttiva ed una seria vigilanza su di essa; l’apertura di scuole istituzionali e professionali che diano una vera possibilità alle giovani ed ai giovani di studiare e poi intraprendere percorsi di alternanza con le aziende del territorio.
A tale proposito, la cooperazione è la forma d’impresa che valorizza maggiormente il lavoro delle donne, per la sua innata capacità di mettere al centro le persone prima del profitto.
Al Sud una cooperativa su due è amministrata da under 50. Tra le cooperative femminili 4 su 10 hanno una leadership rosa con meno di 50 anni, Il movimento cooperativo conferma di essere uno strumento di integrazione dei più giovanie delle più giovani nei territori e nelle categorie sociali in cui generalmente si riscontrano maggiori difficoltà a fare impresa, ossia nel mondo femminile.
Il mondo della cooperazione ha contribuito e contribuisce a migliorare le condizioni di lavoro delle donne. Le cooperative hanno costruito strumenti e formule per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ed in generale per il benessere delle persone nei luoghi di lavoro, da cui le donne hanno tratto vantaggio.
Bisogna continuare a lavorare sulla strada della costruzione di un welfare dalla parte delle donne e, d’altra parte, alla valorizzazione del contributo femminile come componente irrinunciabile per raggiungere più elevati livelli di competitività e di responsabilità sociale del sistema paese ed in particolare del Mezzogiorno.
In un contesto economico, in cui vacilla il modello di sviluppo fin qui perseguito, si aprono grandi spazi per i contenuti ed i valori di cui è portatore il sistema cooperativo, che mettono al centro la persona, la dignità del lavoro, il protagonismo delle comunità, la sostenibilità ambientale.
Il Mezzogiorno ha bisogno di ripartire dalle fabbriche e dalle cooperative al femminile. Lo Stato deve aiutare le imprenditrici a sentirsi parte di questa rinascita e costruire così un futuro migliore.
Il Sud ha davvero bisogno di donne, di tanta fiducia e -soprattutto- di importanti investimenti.
Politiche internazionali e Sud del Mondo
Ripensare il Mediterraneo attraverso nuovi modelli di sviluppo:
economia digitale, verde e blu
Il 2020 segna il 25 ° anniversario del Processo di Barcellona che arriva in un momento di grandi sconvolgimenti per la regione Mediterranea e per il mondo, sullo sfondo di una serie senza precedenti di crisi mondiali segnate da insicurezza economica, ambientale e sociale.
In questo contesto, reso ancora più complesso dalla pandemia da COVID-19, le politiche di sviluppo ed in particolare la cooperazione internazionale, si sono trovate a confrontarsi su temi sempre più pressanti ed urgenti.
La pandemia da COVID-19 non è solo un problema di salute. È uno shock profondo per le nostre società ed economie e le donne sono spesso coloro che pagano il prezzo più alto di questi sconvolgimenti, specialmente nelle aree del mondo già colpite da povertà, fame, insicurezza economica e politica, migrazioni.
Il dialogo politico sull’uguaglianza di genere e sui diritti delle donne offre un mezzo per valutare, affrontare e migliorare la condizione delle donne e delle ragazze. Plasmare gli atteggiamenti delle persone e le decisioni politiche attraverso il dialogo a favore dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne è fondamentale per l’emancipazione delle donne, per liberare il loro pieno potenziale e per il raggiungimento di una crescita economica sostenibile e di uno sviluppo per tutti.
A tal fine il dialogo politico deve riconoscere ed essere consapevole delle dinamiche di potere e di leadership, intervenendo – ove necessario – a migliorare asimmetrie di potere tra uomini e donne attraverso un approccio globale e inclusivo sull’uguaglianza di genere.
In questo contesto, una strategia che adotta il suddetto approccio dovrebbe avere come punti cardine:
l’emancipazione delle donne nella sfera sociale, politica ed economica,
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la creazione di posti di lavoro,
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l’avanzamento di carriera e la creazione di maggiori opportunità di inclusione economica per donne e giovani,
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la promozione di azioni per far fronte ai cambiamenti climatici in un contesto di sfide sul piano della sicurezza alimentare/ idrica/energetica,
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l’inclusione della dimensione di genere nelle politiche sulla migrazione.
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Prevedere delle azioni concrete per l’inclusione delle donne negli organi decisionali
Ma la partita di “rilancio” del ruolo delle donne e della parità di genere, non passa soltanto attraverso il dialogo politico, ma anche attraverso la creazione di nuovi modelli di sviluppo.
Infatti, è dall’integrazione della Blue Economy con la Green Economy che si può partire per declinare quella domanda di innovazione a sostegno del lavoro femminile per lo sviluppo dei
territori del Mezzogiorno e non solo e per ripensare il Mediterraneo attraverso nuovi modelli di sviluppo: economia digitale, verde e blu.
Declinando acquacoltura ed impresa blue-green, scopriamo che innovare la tradizione della filiera mare significa: creare nuove opportunità di coltivazione, nuovi posti di lavoro ed un ambiente più vivibile.
Impresa sociale, culturale ed Economia circolare
Proposte inclusive e sostenibili per un piano di investimenti che accompagni la transizione ambientale e che rafforzi il valore aggiunto dell’impresa culturale e sociale.
Non si può amare quanto non si conosce. E non si può investire in ciò che non si ama, in cui non si crede. Della Puglia i più hanno una visione così parziale e banalizzante da essere monca. Certo, ci sono litorali presi d’assalto ogni estate da turismo predatorio. E ci sono pure i trulli di Alberobello nella Valle d’Itria, dal 1996 Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Non dovevano durare, dovevano poter essere distrutti velocemente, caratteristica inopinata ma geniale in questo caso per una struttura abitativa. Oggi hanno piscina e prati orlati di ulivi preziosi, sono diventati oggetto di investimento finanziario.
Questa regione ci è madre dal punto di vista storico, culturale e anche paleoantropologico. Accorgercene, a livello collettivo e non selettivo, può far cambiare prospettiva sulla percezione generale delle risorse di questa terra. Miti e infinite pagine di historia magistra convergono nel restituirci l’immagine di una terra assai diversa dal parco giochi estivo a poco prezzo cui siamo stati avvezzi.
L’inveterata abitudine a considerare la Puglia come terra di emigrazione verso luoghi più ricchi di risorse nonché meta stagionale vacanziera ci ha fatto dimenticare la dimensione materna e generativa di questa regione. Investendo nelle università, che furono immense e pioniere nella nuova organizzazione sociale, i giovani non saranno costretti alla continua emorragia che ormai ha raggiunto punte statistiche da esodo biblico.
Occorrono investimenti in formazione e dotazione tecnologica all’altezza di questi tempi, tanto problematici quanto suscitatori di soluzioni ingegnose: come quelle che hanno visto nascere i trulli, perfetta analogia di economia circolare.
La Puglia è lievito madre nell’incavo delle nostre braccia. Facciamone pane, incrementiamo un turismo più rispettoso e diversificato nel territorio, scrigno di biodiversità e meraviglie preistoriche e artistiche, di tradizioni sapienziali e culinarie che meritano di essere origine ed avvenire protetto.
In Puglia seppur siano stati fatti notevoli progressi culturali per migliorare il territorio in questo ambito specifico, rimangono però delle lacune che non permettono una grande visibilità e il potenziale della nostra terra perché molti sono i creativi che hanno da raccontare e soprattutto evidenziare situazioni e luoghi. Bisogna svolgere un ruolo fondamentale di promozione alla ricerca di talenti, creare più spazio ai pugliesi pertanto sarebbe molto interessante strutturare una piattaforma web dove si possa inserire tutto ciò che viene prodotto in Puglia oltre l’artigianato, inserendo tutti coloro che con la propria creatività evidenziano i luoghi e le persone. Ci sono personaggi che hanno valorizzato la propria città, il proprio luogo di appartenenza e sono totalmente ignorati perché la divulgazione passa attraverso sistemi complessi.
Abbiamo valori e convinzioni che sono dentro di noi. In essi c’è l’impegno all’azione nel rispetto della morale e delle leggi. Non possiamo limitarci alla rappresentanza degli interessi e all’azione di parte. La società cambia. L’economia si innova. Dobbiamo stare dentro il cambiamento. Siamo una comunità in cammino. Ricca, variegata che si muove nello spazio e nel tempo. Dobbiamo rivolgerci a tutte ed a tutti valorizzando abilità e talento inespressi. Premiando merito e capacità ovunque risiedano, specialmente tra le donne. Non solo tra le donne.
Welfare, Lavoro, Lotta alla povertà e Connessioni territoriali
Orientamenti per politiche a sostegno delle famiglie e contro la povertà a partire da quella educativa delle bambine e dei bambini, la conciliazione vita-lavoro, le politiche attive del lavoro, la lotta contro ogni discriminazione.
Viviamo in un mondo non equo, dove le donne non nascono libere con gli stessi diritti e la stessa dignità degli uomini. La cultura patriarcale è ovunque, evidente e nascosta, nelle consuetudini e nel linguaggio e non permette di guadagnare la parità tra donne e uomini: parità di diritti, parità salariale, parità di opportunità. Il World Economic Forum ed UN Women ci ricordano che nel 2020 ancora in nessun paese al mondo le donne hanno davvero gli stessi diritti ed opportunità, la stessa sicurezza, la stessa libertà di crescita che hanno gli uomini. Le donne non sono una minoranza, rappresentano metà della popolazione mondiale, con il diritto di essere la metà di tutto.
Le tecnologie della quarta rivoluzione industriale ci permettono di essere sempre connessi e questo rappresenta una occasione unica per le donne di tutto il mondo: possono accedere a dati, informazioni e conoscenze per darsi voce, visibilità e rappresentanza. Le tecnologie sono strumenti di libertà, autonomia e democrazia che possono velocizzare in modo esponenziale il raggiungimento della parità e dell’equità da parte alle donne a livello globale.
Il Femminismo 4.0, basato sulle tecnologie digitali, deve portare tutti, uomini e donne, a credere in un mondo migliore. Le donne si devono far avanti, gli uomini devono combattere le discriminazioni esistenti. In tutto il mondo ci sono donne che stanno innescando trasformazioni profonde nel mondo lavorativo, economico, scientifico e politico. Donne che si uniscono in sorellanza e si sostengono per mantenere saldo ogni piccolo passo guadagnato. Donne che sanno che la strada è lunga, e che solo con il supporto degli uomini è possibile arrivare ad un mondo di pace e libertà per tutte e tutti.
Da tutte le indagini e le ricerche, emerge ancora oggi un’Italia spaccata in due, con disuguaglianze non solo tra donne, bambini e bambine rispetto alla popolazione di sesso maschile, ma soprattutto una disuguaglianza di genere. Si tratta purtroppo di disuguaglianze strutturali che con gli effetti della pandemia si sono accentuate anche di più. La disuguaglianza più evidente e che non si riesce a scalfire più di tanto è quella del lavoro. Ed è veramente assurdo che possa esserci un divario così accentuato Nord, Centro e Sud del paese.
Si tratta, purtroppo di disuguaglianze strutturali che con gli effetti della pandemia si sono accentuate anche di più. La disuguaglianza più evidente e che non si riesce a scalfire più di tanto è quella del lavoro. Ed è veramente assurdo che possa esserci un divario così accentuato Nord, Centro e Sud del paese.
Ogni anno, inoltre, registriamo donne che si dimettono dal lavoro a seguito di maternità perché non riescono a conciliare tempi di lavoro con i tempi di vita. Da tutte le indagini e le ricerche, emerge ancora oggi un’Italia spaccata in due, con disuguaglianze non solo tra donne, bambini e bambine rispetto alla popolazione di sesso maschile, ma soprattutto una disuguaglianza territoriale tra Nord e Sud del Paese che naturalmente acuisce ancora di più la disuguaglianza di genere.
E mentre il Nord e il Centro-Ovest riescono ad assicurare anche buoni e/o sufficienti livelli di inclusione per donne e popolazione under 18, garantendo condizioni di vita che si avvicinano a quelle di altri paesi europei, la parte meridionale dell’Italia si sta allontanando sempre di più.
E se divario di genere nell’istruzione si è progressivamente ridotto nell’arco dei decenni, fino a cambiare segno: oggi le donne tendono ad essere più scolarizzate degli uomini. È infatti meno probabile che abbandonino precocemente gli studi e che ripetano l’anno scolastico. Inoltre raggiungono più spesso della media un’istruzione di livello terziario, universitario o superiore. Ma anche in questo caso la crescita ha avuto un andamento molto differenziato tra le diverse aree del paese.
C’è anche una forte disparità tra nord e sud nei servizi per la conciliazione via lavoro. Infatti, non sempre né dappertutto sono garantiti nidi e servizi per la prima infanzia di qualità e a costi accessibili (dovrebbero essere gratuiti). La Puglia che pure ha investito moltissimo in servizi per la prima infanzia tra il 2005 e il 2015 portando le strutture per la prima infanzia da 80 a 699, restituisce un indicatore del 19,9 che è certamente il valore più alto del Sud, ma ancora distante dal Centro nord che ha invece una copertura di quasi il 32%.
Un altro aspetto interessante che potrebbe essere preso in considerazione è la contrattazione aziendale di 2 livello che spesso integra misure importanti di welfare aziendale e di conciliazione vita lavoro. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica per sede legale delle aziende che hanno depositato le 48.457 dichiarazioni, il 78% è concentrato al Nord, il 16% al Centro il 6% al Sud. La Puglia registra 162 contratti aziendali di 2 livello. Su questo, dunque, si potrebbe lavorare molto.
Un altro tema interessante da approfondire potrebbe essere lo smart working (che però in questi mesi di pandemia è stato soprattutto home working). Da qui la necessità anche nel dopo pandemia di utilizzare ancora lo smart working, ma con una diversa organizzazione del lavoro. Il vero smart working è quello che sposta quote di responsabilità organizzativa sul lavoratore, abbinando la modalità di rendere la prestazione per obiettivi, per risultati, anziché per il tempo passato in un luogo di lavoro.
L’inclusione finanziaria è il punto di partenza contro le disuguaglianze e le discriminazioni, e l’Educazione Finanziaria aiuta ad abbattere quelle barriere sistemiche che escludono da una vita sociale attiva. Le attività progettuali che si dovranno sviluppare di formazione e informazione, scandite nella triplice articolazione “Sensibilizzare – Informare – Formare”, si pongono l’obiettivo di fornire degli strumenti di analisi e di attivare il pensiero critico per sviluppare comportamenti consapevoli e stili di vita positivi e sani. A queste modalità operative, si affiancheranno azioni di carattere più sistemico finalizzate a potenziare il confronto e lo scambio di buone prassi tra gli attori istituzionali e territoriali coinvolti nel progetto, rafforzando il tal modo la programmazione e l’attuazione di politiche sociali ad alto impatto, in grado di proporre strategie efficaci per una fattiva
riduzione della povertà educativa. Tra queste azioni, che sono responsabilità di leader di governo e aziendali e del terzo settore, sono fondamentali quelle che favoriscono la partecipazione economica delle donne e dei giovani.
La povertà educativa è definita da Save the Children come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Le bambine ed i bambini con genitori di livello socio economico più alto, già all’età di 3 anni, hanno accumulato un sostanziale vantaggio in termini educativi e di sviluppo rispetto ai coetanei provenienti da situazioni familiari più svantaggiate.
La prima infanzia rappresenta un periodo cruciale nella vita delle persone. Il ritardo nell’acquisizione di tali competenze nei primi anni di vita è difficilmente colmabile. Lo svantaggio in termini educativi e di sviluppo aumenta nel tempo. Per questa ragione sono necessarie politiche di cura ed educative per la prima infanzia che possano contribuire, assieme ad altre politiche di welfare e di sostegno alla genitorialità, a interrompere il circolo vizioso della trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza.
Per investire sulle prossime generazioni e promuovere l’integrazione nel mercato del lavoro delle donne, occorre spezzare questo circolo vizioso, costruendo una rete nazionale di servizi educativi 0- 2 anni, per assicurare entro il 2023, in tutte le regioni, l’accesso di almeno il 33% dei bambini, e raggiungere, entro il 2027, l’obiettivo ambizioso, ma possibile, del servizio educativo zero-sei quale diritto esigibile per tutti.
Il sostegno all’occupazione delle madri, quindi, appare uno strumento cruciale per contrastare la povertà delle famiglie e in particolare dei figli. Ma l’insufficienza delle politiche di conciliazione, insieme al persistere di modelli culturali di genere ancora rigidi e asimmetrici, rende difficile essere occupate proprio alle madri. Ciò è particolarmente vero nel Mezzogiorno, dove è più concentrata la povertà in generale e quella dei bambini e ragazzi. Alla luce di questi dati, non possiamo rassegnarci a squilibri crescenti che erodono le basi del futuro comune. E’, invece, necessario pensare ad un rilancio delle politiche di sostegno alla genitorialità e di affermazione dei diritti dei bambini e dei giovani. In questa ottica, quindi, occorre potenziare le misure a favore delle famiglie e dell’infanzia attraverso strumenti che siano non occasionali e disorganici, ma stabili nl tempo e integrati sia sul piano economico che rispetto ai servizi dedicati alla cura, all’educazione e alla socialità dei bambini.
Proposta: secondo il Ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, le risorse per il Sud potrebbero ammontare a 140 miliardi di euro. È dunque questo il momento, per chiedere per tutto il Sud, un Piano Straordinario per il lavoro delle Donne. Un Piano che tenga dentro i bisogni reali delle donne innanzitutto, perché ci sono le donne con figli, ma anche le donne single, le donne separate, le famiglie senza figli, le donne disabili, le donne immigrate, le donne vittime di violenza maschile. Un Piano che tenga conto delle donne dipendenti, delle libere professioniste, delle imprenditrici, non solo delle grandi aziende, ma anche le artigiane, le imprenditrici del piccolo commercio. Un Piano che pensi a quali misure mettere in campo per far rientrare al lavoro le donne che si dimettono a seguito di maternità e nel contempo favorisca con misure adeguate le carriere delle donne. Un Piano che si occupi di servizi (che devono essere gratuiti) e misure per la condivisione tempi di vita, tempi di lavoro e tempi per sé. Un Piano che tenga conto delle Nuove Economie e le incentivi -green, blu, silver, sharing economy- e delle STEM.
E contemporaneamente chiedere la valutazione di impatto di genere per tutte le misure che saranno previste. È chiaro che se la gran parte dei finanziamenti va verso le infrastrutture (che pure sono importanti) ciò significherà avvantaggiare soprattutto l’occupazione maschile, se invece chiediamo all’Economia un cambio di passo affinché si metta al centro “la Cura” che riguarda soprattutto le persone, ma anche le città, i territori, le periferie, l’ambiente, avremo dato una grande svolta economica.
Contro un’economia maschile che ci ha portato al disastro, proporre una care revolution che metta al centro la felicità interna lorda e un sistema economico capace di soddisfare i bisogni di tutti. “Prendersi cura, di sé e degli altri, è il primo passo per un radicale cambio di prospettiva: la reciprocità e la dipendenza consapevole dall’altro/a sono l’antidoto più sovversivo all’individualismo. Per una vita buona.
Scuola, educazione, stem, politiche giovanili
Un paese moderno e che guarda al futuro mette al centro l’educazione per il benessere delle future generazioni.
La Scuola che vogliamo contribuire a costruire per le Famiglie dei Paesi dell’area euromediterranea, con particolare attenzione alla Scuola italina, è una Scuola autenticamente democratica ed in linea con le Scuole dei Paesi del Centro e del Nord Europa.
Pertanto incentiva modelli di organizzazione scolastica che prediligono il tempo prolungato con il pasto condiviso (mensa scolastica) e l’erogazione (ove necessario) del servizio di trasporto scolastico per TUTTI i bambini e le bambine, le ragazze ed i ragazzi di ogni ordine di Scuola, dal nido alla Scuola secondario di secondo grado.
La Scuola, luogo di benessere e centro di una Società che garantisce pieni e pari diritti fra uomo e donna è una Scuola attenta ai tempi di conciliazione vita-lavoro (Work-life balance) che rientrano tra le politiche attive del lavoro previste per attuare il “Pilastro Europeo dei Diritti Sociali”.
I divari fra Nord e Sud del nostro Paese come tra i Paesi del centro e del Nord Europa e quelli della fascia mediterranea è profondissimo in merito alla presenza di un tempo scuola prolungato e quindi dei relativi servizi ad esso connesso. In Puglia e nella città di Bari il 90% delle realtà scolastiche non prevedono il tempo prolungato.
E’ necessario intervenire su carenze logistiche, strutturali, economiche al fine di sviluppare delle progettazioni strategiche e puntare ad una Scuola che offra sostegno a tutte le famiglie, senza distinzioni e che educhi tutti gli studenti ad una dimensione sociale più ampia e consapevole.
In Puglia negli ultimi 10 anni più di un bambino su 4 è in povertà relativa ovvero non può fruire di beni o servizi in rapporto al reddito pro capite medio; ci sono sempre meno nascite, aumentano gli accessi agli asili nido (+1.6%) ma solo il 6,5% minori va al nido. Aumenta la spesa sociale per famiglie e minori che sale a 104 euro pro capite. Diminuiscono i minori che abbandonano la scuola (-6,4%) ma crescono i NEET (+3.7%).
Nella regione Puglia il 60.4% delle scuole non ha il certificato di agibilità. I
In uno scenario già così difficile la pandemia ha portato ad un ulteriore balzo in avanti della povertà minorile. All’incremento della povertà economica corrisponderà un incremento altrettanto consistente di quella che Save the Children definisce povertà educativa, ovvero della condizione che priva i bambini delle possibilità di apprendere, sperimentare, far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Povertà educativa già molto diffusa nel nostro Paese, prima dell’emergenza. Se si guardano ad esempio i dati
sulla dispersione scolastica, la percentuale di Early School Leavers si attesta, in Italia, intorno al 14% da circa 5 anni. Inoltre, circa un quarto degli studenti di 15 anni non raggiunge le competenze minime in matematica, lettura e scienze, misurate attraverso i test OCSE PISA, con differenze sostanziali, dovute alla condizione economica delle famiglie e al territorio di residenza. Quasi la metà degli adolescenti di 15 anni, infatti, che provengono da nuclei familiari appartenenti al quintile socioeconomico più basso, non raggiungeva le competenze minime in matematica (40,6%), in lettura (42%) e in scienze (38,3%). Tra i coetanei appartenenti al primo quintile, con condizioni socioeconomiche nettamente migliori, tale percentuale scende a circa un decimo. La povertà educativa non riguarda solo la scuola, ma tutte le sfere di crescita dei bambini e degli adolescenti. Occorre dunque considerare che i bambini e i ragazzi con l’emergenza non hanno subìto esclusivamente una pur grave perdita nell’apprendimento e nelle competenze scolastiche, ma sono stati anche privati delle possibilità di interazione con i coetanei, del gioco, del movimento4 . L’Italia dei bambini è fatta di tante Italie diverse e in alcune aree del Paese – periferie di grandi città, aree interne, zone con alti tassi di disoccupazione, aree ad alta densità criminale – si sommano molti fattori di svantaggio. Sono le zone dove si registra il più alto tasso di povertà minorile, di dispersione scolastica, di coinvolgimento dei giovani nelle reti di criminalità. Paradossalmente, proprio in queste aree i servizi socioeducativi e culturali sono più carenti: mancano scuole a tempo pieno, mense, biblioteche, centri ricreativi, spazi per il gioco e per lo sport. La crisi legata al Covid19 oggi rende ancora più acute queste diseguaglianze territoriali. Chiediamo5 che il Piano Nazionale promuova la resilienza delle comunità locali attivando un investimento mirato sui territori più deprivati per trasformarli in aree ad “alta densità educativa”. Lo si potrà fare attraverso una progettazione partecipata che parta dai soggetti istituzionali territoriali e dalle comunità locali, mettendo in campo resilienza, risorse e creatività, per ridisegnare gli spazi educativi, l’ambiente urbano e la rete dei servizi e delle opportunità a partire dai diritti dei bambini, degli adolescenti e delle loro famiglie. Chiediamo che in queste aree ad alta densità educativa si sperimentino anche meccanismi premiali e di incentivazione per gli investimenti di carattere culturale, ricreativo e sportivo.
Il modello di riferimento per la realizzazione del programma potrà essere quello già sperimentato per altri programmi europei su base territoriale. In questo caso, la selezione dei territori che beneficeranno del progetto – non solo periferie urbane, ma anche aree interne ed aree particolarmente colpite dalla criminalità organizzata – e la definizione delle linee di investimento (in termini di infrastrutturazione, di riqualificazione ambientale e sociale e di servizi) avranno come punto di riferimento strategico la riduzione delle diseguaglianze nell’offerta educativa, formale e non formale, e la promozione dell’offerta culturale.
Nel nostro Paese, in 10 anni, la copertura dei servizi per la prima infanzia pubblici (asili nido e servizi integrativi) è rimasta invariata. Occore con urgenza recuperare queso gap mettendo in campo, soprattutto per il Sud le seguenti scelte:
Sostenere e potenziare una offerta educativa di qualità garantendo l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia a tutti i bambini e le bambine, con una progressiva estensione del servizio, anche attraverso l’attivazione dei Poli zero-sei anni, da qui al 2027;
Assicurare un impegno nel non ridurre l’offerta di tempo pieno a scuola e, al contrario, assicurare un progressivo ampliamento del tempo scuola su tutto il territorio nazionale, colmando i divari territoriali oggi presenti;
Tenere aperte le scuole durante tutta la giornata, soprattutto nei territori più deprivati, con una offerta educativa scolastica ed extrascolastica, nell’ottica dell’implementazione dei Patti Educativi di Comunità promuovendo innanzitutto la partecipazione attiva dei genitori;
Garantire il mantenimento ed il rafforzamento del servizio di refezione scolastica, anche al fine di fronteggiare l’aumento della povertà minorile, e l’accesso gratuito al servizio a tutti i minori in condizioni di povertà certificata come livello essenziale delle prestazioni sociali per l’infanzia. Investire le risorse del PON Istruzione per tutto l’anno scolastico 2020/2021, allo scopo di rimuovere le diseguaglianze economiche nell’accesso alla scuola con la fornitura di kit scolastici, dei libri di testo, la frequenza gratuita ad attività educativa extracurricolare pomeridiana;
Promuovere la didattica aperta :Adottare modelli di didattica aperta, incentrati sul lavoro a piccoli gruppi e l’attività laboratoriale, favorendo la collaborazione con le realtà educative e culturali del territorio;
Continuare ad investire in Politiche Educative che non escludano le donne dai percorsi di formazione tecnico-scientifica.
Oggi, in tempo di Pandemia, occorre dunque un deciso intervento strategico per proteggere i bambini e gli adolescenti da un doppio rischio: da una parte l’aumento della povertà minorile, legato all’impoverimento delle famiglie e, dall’altra, l’aumento della dispersione scolastica, esplicita ed implicita e della povertà educativa. E’ necessario puntare sulla Scuola, perché è quello il luogo dove si combatte in prima linea la battaglia contro la povertà educativa, il luogo dove garantire il diritto ad una educazione di qualità per tutti.
Una Scuola che dovrà però essere diversa: più sicura, più accogliente, più inclusiva e soprattutto resiliente, in grado di far fronte alle crisi presenti e future. Il diritto ad una educazione di qualità per tutti non può che partire dalla prima infanzia, cruciale per lo sviluppo cognitivo, socio-emozionale e fisico delle bambine e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze.
Innovazione, Attività produttive e Start Up
L’innovazione a sostegno del lavoro femminile per lo sviluppo dei territori del Mezzogiorno
C’è uno spazio, segnato dalla differenza di genere, che può e deve appartenere alle donne: è l’innovazione ed in particolare l’innovazione digitale. In Italia le donne studiano più degli uomini, ma fanno meno carriera. Non è uno stereotipo: è la realtà delle statistiche.
Facciamo cadere le barriere verso le donne e verso le donne ultra quarantenni che – dopo aver dato alla famiglia- vogliono tornare ad essere produttive nella società. Spalanchiamo le porte alle competenze.
Partendo dal titolo “100 donne per il Sud del mondo” il primo pensiero è che ci sia da rimboccarsi le maniche perché i problemi sono ancora tanti e in maggioranza irrisolti, sia in Italia che al Sud, dove continuano a mancare gli stimoli giusti per la crescita.
Il divario di genere non è affatto superato, lo abbiamo visto anche nei comitati per la ripartenza, ai quali le donne non erano state chiamate a partecipare. Una dimenticanza grave per almeno due motivi: primo, non si può escludere la metà della popolazione dai tavoli in cui si discutono le politiche che segneranno gli anni a venire; secondo, le donne hanno pagato il prezzo più alto durante il lockdown, con un’occupazione resa più precaria dalla situazione contingente e una dedizione a tempo pieno alla cura dei figli, della casa, dei genitori anziani, dei disabili. Ci sono volute le forti proteste, amplificate dai social, organizzate dal gruppo #datecivoce perché il Presidente Conte se ne accorgesse. Si è detto che le donne erano state dimenticate perché assenti nelle posizioni di vertice. Purtroppo è vero: nel famoso soffitto di cristallo si è aperta qualche crepa, ma è ben lungi dall’essere infranto. Eppure i numeri confermano che la presenza delle donne nei consigli di amministrazione fa aumentare i profitti, dimostrano che sanno individuare meglio i bisogni del mercato e coglierne le opportunità.
Tuttavia il problema dell’occupazione femminile non va letto solo pensando alle poche posizioni manageriali, ma nel suo complesso: in media, in Italia lavora meno del 50% delle donne (al Sud va ancora peggio, con il 32,2%, come negli anni Settanta). Troppo poche le lavoratrici, e soprattutto con il maggior numero di contratti precari. Nel 2019 il 73% delle donne ha lasciato il lavoro, quasi sempre (80%) per la difficoltà di conciliarlo con le esigenze dei carichi familiari.
Si parla molto di competenze trasversali, sempre più richieste dai datori di lavoro. Chi più delle donne –amministratori delegati di “aziende familiari” – ne è naturalmente dotato? Le donne hanno un tasso di riuscita negli studi superiore agli uomini e con voti migliori; tuttavia, nel lavoro hanno una retribuzione inferiore in media del 34%, a parità di mansioni. Perché non si riesce a superare questo squilibrio di genere che non ha cause biologiche, bensì sociali e culturali?
La disparità di genere è ritenuta erroneamente un tema femminile, invece è anche maschile, è di tutti, riguarda la società nel suo insieme. Il primo passo per superare quelli che sono definiti inconscious bias –ovvero quei pregiudizi inconsci che fanno parte del nostro bagaglio culturale e che ci condizionano pesantemente nei comportamenti e nelle scelte – va fatto in famiglia. È qui che bambini e ragazzi vanno educati alla parità, pur nelle rispettive differenze; è qui che bisogna andare oltre gli stereotipi.
Lo sviluppo di startup innovative poggia su basi tecnologiche, e la mancanza di competenze in materie STEM è un elemento che penalizza le prospettive femminili sia per l’assunzione di ruoli decisionali che per la creazione di nuovi business. In più, le imprenditrici devono affrontare molti più ostacoli degli uomini, a cominciare dall’accesso ai finanziamenti, anche se di fatto le nuove imprese fondate da donne generano maggiore redditività.
Tra gli incentivi a sostegno dell’occupazione femminile c’è lo smart working. Il lavoro agile rimodula i rapporti fra lavoratore e datore di lavoro. Non si tratta di lavorare da casa con un computer e la connessione, è molto di più. Serve un cambio culturale da entrambe le parti: da un lato l’abitudine al controllo lascia spazio a un rapporto di fiducia, dall’altro si impara a lavorare per obiettivi assumendo maggiore responsabilità. Misurare le performance in base al raggiungimento degli obiettivi di fatto non vincola più il lavoro alla presenza in ufficio. Con il lavoro agile la persona è al centro: si ribadisce l’importanza del capitale umano e della sua formazione lungo l’arco della vita, si restituisce valore al tempo e alla vita personale. La libertà dai vincoli spazio-temporali, la cosiddetta “normalità ibrida”, un mix di fisico e virtuale, consente di alternare la presenza tra casa e ufficio: un elemento che gioca a favore delle donne.
Perché questa opzione entri sempre più a far parte della nuova normalità bisogna digitalizzare le aree interne e superare il digital divide. Un problema, purtroppo, molto forte nel Meridione d’Italia. Formazione, digitalizzazione e banda ultralarga sono la chiave per l’innovazione e per il decollo dell’Italia: incoraggiare e sostenere le donne imprenditrici che creano lavoro significa promuovere lo sviluppo del Sud e quindi di tutto il Paese.
In Italia c’è un’altra zavorra che ostacola il decollo femminile: la carenza, soprattutto al Sud, di infrastrutture (ad esempio asili o centri di assistenza per anziani) che aiutano le donne che vogliono entrare (o rientrare) nel mercato del lavoro. Serve quindi introdurre misure che rendano possibile coniugare l’impegno lavorativo con le esigenze familiari delle donne.
Gli studi della Banca d’Italia come del World Economic Forum confermano, dati alla mano, che dare lavoro alle donne fa crescere l’economia. Soprattutto al Sud, dove resistono di più i pregiudizi contro il lavoro femminile. Proprio al Sud innovazione, formazione e lavoro delle donne possono diventare l’indispensabile fattore di crescita. Certo, servono investimenti, ma per una volta impariamo a guardare lontano, agli innumerevoli vantaggi economici e sociali che deriverebbero da questi essi. L’Italia crescerà e sarà forte solo se cammina tutta insieme.
Ci piacerebbe che si facesse largo un nuovo pensiero, capace di creare nuovi linguaggi attraverso diversi sistemi di comunicazione.
Sanità, Salute, Qualità della vita
Quali strategie per affrontare in maniera efficace le emergenze sanitarie?
La salute umana è strettamente correlata all’alimentazione, alla salute degli animali e dell’ambiente e allo stile di vita che si conduce.
La donna, madre di famiglia, gioca un ruolo fondamentale in ambito salute e qualità di vita dei suoi cari e della società. Educarla con informazioni e azioni mirate alla prevenzione limiterebbe l’insorgenza di malattie e ridurrebbe l’impatto sociale ed economico che queste ultime generano.
Sviluppare buone abitudini alimentari con alimenti sani, naturali, integrali, in stagione seguendo una dieta mediterranea è fondamentale. Il nostro sistema immunitario è ubicato per il 70% nell’intestino: quindi la nostra salute dipende in primis dalla salute del nostro intestino che ospita circa 2 kg di batteri, nostri alleati. Una cattiva alimentazione indebolisce il microbiota intestinale favorendo una disbiosi che influisce negativamente sul sistema immunitario.
La sfida è di incrementare la speranza di vita attiva intervenendo sulla sorveglianza dei regimi alimentari.
Negli ultimi cento anni la speranza di vita alla nascita nei Paesi occidentali è quasi raddoppiata. Si stima che nel 2050 la popolazione over-65, a livello globale, sarà costituita da 1,9 miliardi di persone. A precedere la perdita dell’autonomia nella persona anziana è lo “stato di fragilità”, una condizione multifattoriale reversibile che se precocemente intercettata e trattata anche con interventi dietetici mirati a favorire un invecchiamento attivo riduce il “gap” tra durata della vita (lifespan) e durata della vita in salute (healthspan).
L’invecchiamento è un processo causato dal progressivo accumulo di danni a carico del DNA, delle cellule, degli organi e dei tessuti di tutto l’organismo, dovuto al fallimento dei meccanismi di riparazione cellulari. L’accumulo di questi danni causa un progressivo declino di molte funzioni fisiologiche e delle strutture vitali dell’organismo Il modello alimentare e lo stile di vita adottati possono notevolmente influenzare lo stato infiammatorio dell’organismo e quindi influire sullo stato di salute dell’individuo nelle varie fasi della vita.
Per sviluppare un regime dietetico che sia efficace per raccogliere la sfida “incrementare la speranza di vita attiva, cioè numero medio di anni di vita libera da disabilità attesi intervenendo sulla sorveglianza dei regimi alimentari” occorre saper riconoscere i cibi che contengono componenti bioattivi con effetti positivi per la salute, la prevenzione e il trattamento delle malattie, che possano essere etichettati come alimenti funzionali o utilizzati per isolare i componenti stessi da formulare come nutraceutici. Lo scopo è invertire il paradigma che lega il “cibo cattivo” alle malattie e introdurre il concetto che scegliendo e trasformando opportunamente i cibi ci si “cura mangiando”. Il ruolo della Nutraceutica diventa quindi decisivo per chi vuole conoscere nel dettaglio cosa succede veramente quando ci alimentiamo, quali principi si attivano e con quali conseguenze reali sulla nostra salute.
Le differenze di genere nella cronicità e nelle policronicità sembrano favorire le donne, così come la minore scolarità e basso status socioeconomico rappresenta un outcome peggiore nel paziente con policronicità.
Le scuole dovrebbero poter contare sul contributo delle professioni sanitarie, in una logica orizzontale, funzionale, inter-compartimentale. Ad esempio, si potrebbero integrare stabilmente le attività didattiche con incontri tra i diversi professionisti sanitari e gli studenti, al doppio fine di, da una parte, formare cittadini più consapevoli e responsabili nei confronti della loro salute e del Ssn e, dall’altra, fornire dei riferimenti fisici qualificati a cui i bambini e i ragazzi potrebbero rivolgersi in caso di dubbi o necessità di carattere sanitario.
Istruzione e Sanità sono due pilastri portanti del nostro stato sociale; è evidente la necessità di potenziarli, migliorandone l’integrazione.
Le professioni sanitarie si fondano e giustificano sulle competenze che possiedono e che mettono a disposizione del sistema; competenze acquisibili frequentando con profitto appositi percorsi formativi. È proprio sulle competenze che si deve ragionare e investire, magari aprendo gli studi anche alle cosiddette pratiche per il benessere integrale (Yoga/Reiki/Thai Massage/Ayurveda).
Culture, Turismo e Sport
Borghi straordinari, beni culturali dal valore inestimabile, tradizioni della civiltà contadina sono elementi di un sistema produttivo in evoluzione. Come valorizzare il contributo femminile nell’organizzazione di questi settori?
Le donne rappresentano una componente fondamentale nell’economia della cultura, dello sport, del turismo e dell’accoglienza, spesso con soluzioni originali e proposte innovative per supplire alle carenze di un settore che in Italia non esprime ancora tutto il suo potenziale. Valorizzare il contributo femminile vuol dire tornare alle radici con l’approccio delle nuove tecnologie, attraverso progetti e soluzioni nuove. Per questo abbiamo stilato un “decalogo anomalo”, costituito da nove punti che riassumono le nostre proposte di linee guida per il rilancio di questi settori.
Il decimo punto resta vuoto, aperto alla propositività, al dialogo, al confronto.
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Scegliere sempre “People & Planet first”: supportare una visione etica e sostenibile del business culturale e turistico, incoraggiando le imprese che scelgono collaboratori e fornitori locali e optano per un modo di fare impresa di qualità. Favorire e affiancare progettualità che puntano al “riutilizzo creativo” etico e sostenibile, nei territori regionali all’abbandono ed istituzionalmente trascurati.
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Insegnare l’arte del fare: Incoraggiare piani di formazione attiva e dinamica a supporto della presenza femminile nell’imprenditoria, tanto a livello executive quanto su tutta la supply chain del valore del comparto; incoraggiare la formazione di giovani
donne, creando una rete di supporto per la realizzazione di stage e tirocini e l’acquisizione di certificazioni di settore.
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Fare ciò che si può con quel che si ha dove si è: favorire l’imprenditoria creativa contro lo spopolamento dei borghi dell’entroterra, finanziando anche interventi specifici per sostenere l’imprenditorialità femminile nel Sud Italia.
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Diventare ambasciatori di bellezza: creare un nuovo sistema di controllo sull’utilizzo/destinazione dei fondi ministeriali ed europei a cui le Regioni ed enti para-regionali attingono ogni anno. Ogni regione sarebbe rappresentata a livello nazionale da due Ambasciatori culturali territoriali, a tutela del buon e sensato utilizzo di fondi ed opportunità di sviluppo.
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Interpretare il viaggio come un processo emotivo: progettare nuovi percorsi di viaggio che valorizzino l’approccio emotivo alla cultura e all’arte; con percorsi nei musei e nei siti archeologici caratterizzati da un approccio psicologico e immersivo.
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Ritornare alla natura: organizzare azioni urgenti per la biodiversità a favore dello sviluppo sostenibile, mettendo l’ambiente al primo posto della ripresa economica post-Covid, ad esempio con attività sportive nella natura, cicloturismo, trekking, cammini, itinerari bio-slow, per bambini e famiglie, dove la natura si racconta nel cibo salutare, imparando a valorizzare le eccellenze della nostra regione, con proposte e percorsi cadenzati nel rispetto delle stagioni e delle colture
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Ripartire dal piccolo, per arrivare al grande: supportare e stimolare il lavoro nei singoli territori, ripartendo dagli abitanti, dalle piccole associazioni sportive e culturali, rendendo il cittadino non solo protagonista ma anche competente.
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Avvicinare il grande al piccolo, con progetti multisfaccettati e collaborativi che portino grandi nomi dell’arte, della cultura e dello sport agonistico sui territori, per lavorare e formare le giovani promesse locali, per accrescere la visibilità e la rappresentanza femminile in questi settori.
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Costruire reti visibili tra cultura, storia, arte, natura, ad esempio con itinerari che mettano in connessione realtà e imprese che lavorano su aspetti diversi del territorio.
Diritti, parità ed eliminazione delle violenze e delle differenze
Il Sud e il gap di democrazia di genere, il Sud delle migrazioni dei talenti femminili, il Sud della cultura patriarcale ancora radicata.
Il ruolo della politica, dell’Informazione e della Comunicazione.
Un’idea di “femminismo” che coinvolga prima di tutto gli uomini, e non una cerchia ristretta di donne. Parlare di violenza di genere tra sole donne è inutile e deleterio.
Si impone quindi una grande riflessione sull’humus ove attecchisce la violenza, partendo dalla disparità dei generi e dal contrasto agli stereotipi, essenziali per far emergere e centralizzare il ruolo delle donne nelle varie attività. Ed a proposito di stereotipi si pensi all’importanza del ruolo della scuola, del linguaggio ivi utilizzato che tarda ad imporsi come linguaggio di genere.
Bisognerebbe dunque chiedere con insistenza la rivisitazione dei testi per adeguarli ad un linguaggio di genere e stravolgere quelli che, ancora oggi, sono considerati ruoli fissi sia in casa che a scuola e successivamente nel mondo del lavoro. A proposito di quest’ultimo dovremmo prevedere progetti con linguaggi semplici per portare tutti a comprendere, per esempio, che le molestie comportano una invasione dello spazio, della libertà e del corpo altrui. All’interno delle aziende si dovrebbero poter fare dei corsi di formazione su questi aspetti e far comprendere che non è l’abito a determinare atteggiamenti di prevaricazione, ma trattasi di azioni violente che nulla hanno a che fare con la lunghezza della gonna. Spesso i sex offenders sono attratti da donne che vestono in modo impeccabile. Bisognerebbe esplicitare la grammatica dell’approccio: le molestie vengono agite da uomini che non sanno come avvicinare le donne.
Limitare la divulgazione di messaggi pubblicitari che sviliscono la figura femminile e comunicano una serie di valori etichettabili come sessisti. Gli stereotipi di genere si insinuano nel linguaggio, nei media, nello sport, influenzando le scelte personali, politiche, educative. Lavorare per una comunicazione rispettosa della parità e delle differenze è uno strumento per promuovere e sostenere un cambiamento culturale. Il linguaggio nasce in una determinata cultura ma ha il potere di modellarla sua volta, in un fluido divenire. Fino a che punto la pubblicità può determinare modelli di vita, ideali, stereotipi e ruoli di genere? È noto a tutti che la pubblicità sia lo specchio della società in cui si vive e che ne rappresenti, pertanto, le idee e i valori più comunemente condivisi e diffusi. Analizzando i contenuti attualmente proposti da alcune campagne pubblicitarie, qualcuno potrebbe sollevare dei dubbi sulla direzione che la nostra società stia prendendo. In un periodo in cui una grave questione sociale quale il femminicidio e la violenza sulle donne riempie tristemente tutte le prime pagine dei giornali, una buona parte dell’opinione pubblica continua ad accettare la divulgazione di pubblicità che sviliscono la figura femminile e passano una serie di valori etichettabili come sessisti. Ma quando una pubblicità può essere definita sessista? Qual è il limite da non superare? In realtà, sarebbe più corretto parlare di più forme di sessismo: esso può variare dalla mera mercificazione del corpo della donna, riducendola a puro oggetto del piacere maschile,
alla stereotipizzazione del ruolo che le donne ricoprono nella società, siano queste madri e casalinghe o segretarie d’ufficio. Esistono poi tipologie ben più serie, il cui obiettivo di partenza è proprio quello di scandalizzare lo spettatore. Questi messaggi abbondano di doppi sensi, allusioni sessuali e donne sottomesse o addirittura rese schiave, completamente assoggettate alla volontà e ai desideri dell’uomo.
Le analisi sul consumo indiretto di informazione sulle piattaforme social, come Facebook e Twitter, d’altra parte, hanno dimostrato che le fake news si diffondono più velocemente e diffusamente rispetto alle notizie verificabili. In questo contesto, sempre più frequentemente si assiste a vere e proprie campagne di disinformazione che utilizzano narrative imperniate sui ruoli di genere, la parità di genere e l’orientamento sessuale per polarizzare il dibattito pubblico, minare la coesione sociale e diffondere paura e timori incontrollati. Queste narrative sono poi combinate con riferimenti alla religione, all’etnia o all’emigrazione per amplificarne l’impatto.
D’altronde, sono ormai numerose le ricerche che dimostrano come donne e ragazze siano esposte alle nuove forme di manipolazione dell’informazione di violenza online in maniera decisamente superiore rispetto agli uomini. Gli attacchi possono assumere diverse forme: dalle minacce, all’utilizzo di foto o immagini pornografiche, alle proposte o commenti osceni o inappropriati, al furto di identità. Fino a vere e proprie forme di disinformazione, mis-informazione e mal-informazione.
E poiché la disinformazione genera più traffico e maggior ritorno pubblicitario, le società che gestiscono il mercato pubblicitario online (tra queste anche Google e Amazon) promuovono, sempre più spesso, i marchi dei propri clienti anche sui siti di disinformazione, compresi quelli che diffondono una narrativa di genere tossica.
Il ruolo della politica, dell’Informazione e della Comunicazione:
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Promuovere l’educazione sulle relazioni, la sessualità e la parità di genere conformemente agli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità anche nell’uso dei social e degli strumenti di comunicazione online.
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Promuovere l’analisi e la ricerca sulla dimensione di genere della disinformazione, allo scopo di comprendere in che modo i ruoli di genere, le norme sociali e i temi controversi in materia di genere siano strumentalizzati dalla disinformazione.
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Garantire che i programmi già esistenti di sensibilizzazione sulla disinformazione e di media education comprendano sempre riferimenti e spunti sulle dimensioni di genere della disinformazione.
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Promuovere, anche attraverso la collaborazione tra istituzioni e organizzazioni del terzo settore, specifici programmi di formazione per le ragazze e le donne appartenenti alle categorie più esposte: attiviste dei diritti umani, donne in politica, giornaliste, blogger, donne appartenenti a minoranze e donne con disabilità.
Tutte queste iniziative dovrebbero essere portate a sistema all’interno del Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne – coordinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Tanto più che l’uguaglianza di genere costituisce un principio orizzontale per tutte le aree di intervento di questi fondi e che nella programmazione 2014-2020 meno dell’1% delle somme disponibili è stata destinata alla realizzazione effettiva di tale principio.
Ci sono molti motivi per non rivedere, ma abrogare i Decreti Sicurezza in vigore da troppo tempo. Non vale la regola che “qualcosa di buono c’è”, che somiglia molto a “ha anche fatto cose buone”.
I Decreti vanno a minare quello che è l’Art.3 della Costituzione Italiana, che dovrebbe rimuovere quegli ostacoli che impediscono a tutte e tutti di avere pari opportunità. I decreti vanno invece a piazzare ostacoli – in particolare in questo momento di emergenza sanitaria, mettono a repentaglio anche la salute pubblica. Le strette sulle residenze, indipendentemente dalla nazionalità della persona – puoi esser un senza fissa dimora brianzolo come uno originario della Liberia, ma senza residenza non hai lo stesso accesso alla sanità – puoi avere un medico di base, puoi accedere solo alla sanità pubblica in Pronto Soccorso, non puoi inserirti nelle graduatorie per avere un alloggio popolare, il diritto all’istruzione, garantito per legge anche a chi ha genitori in attesa di un permesso o irregolarmente soggiornanti sul territorio, è minato da questi decreti. Chi non ha la residenza infatti non ha diritto ai libri scolastici che sarebbero gratuiti per le scuole primarie, non ha la possibilità di fare l’ISEE che comproverebbe la impossibilità di pagare la tariffa più alta per mensa (e in alcuni casi scuolabus).
La maggior parte dei fondi europei che dovrebbero essere destinati all’accoglienza vengono dirottati sulla creazione di questi centri di detenzione qui in Italia, sul finanziare accordi con paesi terzi come la Libia, con i loro centri di detenzione ancor più simili ai lager. Aver ratificato gli accordi con la Libia, dopo aver saputo che li avevano stretti con gente come Bija, riconosciuti come i maggiori trafficanti di uomini, persone che si arricchiscono sulla pelle di chi è costretto a utilizzare rotte come il mediterraneo, per migrare.
Ci vuole una rivoluzione anche nelle parole. Parole ostili che vengono usate e che purtroppo stanno cominciando a far parte del lessico giornaliero di tutte e tutti noi – per esempio chi perde il lavoro è un disoccupato, chi ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro e viene licenziato non può diventare di colpo un clandestino, uno che commette un illecito, uno che deve lasciare il paese, una persona che non può più garantire alla propria famiglia, alla figlia o al figlio nati o cresciuti in questo paese, di diventare legalmente quello che già sono – italiane e italiani.
Fino ad oggi l’Italia è stata fra i pochi paesi europei a non avere una legge per proteggere le persone della comunità LGBTQ+, sigla che indica persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e ulteriori orientamenti. L’ Arcigay, la principale associazione italiana per i diritti degli omosessuali, segnala l’incremento dei casi di violenza conto omossessuali, transessuali e lesbiche. Serve mettere un freno a ripetuti atteggiamenti discriminatori non più tollerabili.
L’antirazzismo non è uguale al No al razzismo. Questa consapevolezza arriva dal grido di dolore degli afrodiscendenti che da anni provano a raccontarci che il razzismo è presente nella nostra società più di quello che si possa pensare. Non c’è bisogno di subire un atto violento per poter dire: quello è un razzista, o non solo. Il razzismo silenzioso è quello pregno di stereotipi e preconcetti che i razzializzati vivono e subiscono ogni giorno della loro vita. E’ dentro le pieghe della nostra cultura e difficile da estirpare. Gli stereotipi inconsapevoli sono armi che sparano, ma chi le impugna non sente il rumore, né il rinculo. Non c’è n’è cattiveria n’è violenza repressa solo grande ignoranza Ed è per questo che abbiamo bisogno di una vera rivoluzione culturale, che parta dai libri di testo e arrivi allo studio del periodo colonialista nelle scuole. Abbiamo bisogno di una nuova narrazione dove l’italiano non venga più raffigurato come una persona con la pelle bianca. Abbiamo bisogno di rappresentare attraverso i media, il cinema, la pubblicità la realtà della società fatta di varie etnie, qui la necessita di significare tutti i ruoli sino ad oggi designati solo ai bianchi. Questa rivoluzione culturale azzererebbe le discriminazioni rendendo la pelle nera importante quanto avere gli occhi azzurri. I nostri figli saranno gli adulti e i leader del futuro, aiutiamoli a prendere le oro vite in mano con forza e decisione senza doversi difendere quotidianamente o dover essere giudicati solo per il fatto di essere neri.
APPENDICE:
Sosteniamo la proposta di legge regionale indirizzata alla Regione Calabria per la costituzione di un fondo di solidarietà e urgenza per le donne vittime di violenza di genere e violenza domestica e i loro figli. L’iniziativa è partita dal comitato, nato pochi mesi fa, a sostegno di Maria Antonietta Rositani, la donna bruciata viva in strada dall’ex marito Ciro Russo e sopravvissuta alle fiamme.
Il testo della proposta di legge è stato ispirato dalla dolorosa storia della signora Rositani. La donna si trova ancora ricoverata in ospedale dopo più di 450 giorni e i suoi familiari, seppur con molte difficoltà, stanno cercando in ogni modo di restarle accanto.
Sono moltissime le spese che devono sostenere le donne vittime di violenza e le loro famiglie, e soprattutto non si esauriscono nell’immediato. Per i risarcimenti l’iter è molto complesso e il sistema sanitario nazionale copre solo le spese per le cure mediche imminenti.
Infatti il sistema sanitario nazionale paga le spese per le cure e gli interventi necessari in una fase iniziale, mentre le successive visite, le terapie riabilitative o gli ulteriori accertamenti vengono pagati autonomamente dalle donne. Il risarcimento di queste spese arriverà solo a posteriori, solo a determinate condizioni e con tempi spesso lunghissimi. Da qui la necessità di un fondo che possa essere utilizzato per tutti gli interventi chirurgici e le cure mediche necessarie, che sia subito operativo e risponda alle esigenze di chi deve allontanarsi urgentemente dal nucleo familiare e far fronte a spese immediate.
La proposta di legge chiede poi un’azione che non si rivolga solo alla donna colpita dalla violenza, ma anche ai figli minori e ai familiari.
Proprio a questo scopo il fondo dovrebbe servire a garantire la copertura delle spese per la fuoriuscita della donna ma anche dei propri figli dalla situazione di violenza; la stipula di convenzioni con le strutture ricettive per ridurre le spese di soggiorno dei familiari, nei casi di donne che abbiano subito gravi forme di violenza e debbano trascorrere lunghi periodi di degenza in ospedale; interventi a tutela dei minori per il completamento del percorso scolastico.
In Italia, i fondi pubblici destinati al Piano Nazionale Antiviolenza vengono gestiti a livello regionale, spesso con gravi ritardi nell’erogazione delle risorse finanziarie, a causa di vincoli di bilancio e complessi procedimenti amministrativi.
L’iniziativa è stata fortemente sostenuta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, dal Coordinamento delle camere minorili della Calabria, dalle forze di polizia, dal Tribunale per i minorenni e da molte altre associazioni
Allo stesso modo il giudice del tribunale dei minori, Patrizia Surace, e il questore Maurizio Vallone, hanno sottolineato la necessità di operare a livello preventivo e legislativo, perché non si può pensare che le vittime denuncino e poi vengano abbandonate lungo percorsi così complessi.
Secondo il Rapporto sulla violenza di genere del Consiglio regionale della Calabria, la Regione è la seconda a più alto indice di femminicidio in Italia in rapporto alla popolazione femminile, (0,35 donne uccise all’anno ogni 100mila donne residenti), preceduta solo dal Trentino, mentre il 26 per cento delle donne della regione hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita.
Bari, 2 Ottobre 2020
Fiera del Levante