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di Andrea Zennaro
Nel febbraio del 1936 il Fronte Popolare vince le elezioni in Spagna. Le elezioni del 1936 sono contrassegnate da un’affluenza altissima e inaspettata, data dal fatto che per la prima volta votano anche gli anarchici, maggioritari nelle regioni industriali del Nord. Nel governo siedono addirittura quattro ministri anarchici. Una figura di spicco del governo locale catalano è quella di Andreu Nin, membro del Partito operaio di unificazione marxista (Poum) e amico di Mika e Hipo già da Parigi e Berlino. Difficile che agli anarchici interessi governare o delegare governanti, tantomeno con il consenso di Stalin: il senso di questo voto si può spiegare con la speranza che dalla vittoria elettorale scaturisca una rivoluzione sociale. E questa non si fa attendere.
17 febbraio 1936. Il Fronte Popolare vince le elezioni in Spagna
Alla notizia della vittoria tutta la Spagna antifascista scende nelle strade. Quando il governo decreta la liberazione dei prigionieri politici, la popolazione apre le carceri e libera anche i prigionieri comuni; quando il governo espropria alcune delle terre dei latifondisti, la gente le occupa e istituisce comuni agricole; quando il governo chiude le scuole ecclesiastiche, vengono prese d’assalto anche numerose chiese. Sotto il governo del Fronte Popolare si registrano gli scioperi più partecipati che la Spagna abbia mai visto. Tutta la Spagna è in subbuglio ma non quanto al Nord: in Catalogna le bandiere rosse e nere della Confederazione nazionale del lavoro-Federazione anarchica iberica (Cnt-Fai) sventolano ovunque, a Barcellona le fabbriche sono occupate dai collettivi operai e acqua, cibo, luce e gas sono distribuiti da comitati gestiti dal sindacato. La rivoluzione è già cominciata e la situazione sociale non è più gestibile: i latifondisti e le famiglie ricche scappano in Inghilterra, la Chiesa è spaventata, non solo le famiglie nobili ma anche la classe imprenditoriale ha paura di perdere tutto. Il Partito socialista operaio (Psoe) e il Partito comunista spagnolo (Pce), filosovietici, si mostrano molto prudenti, mentre il Poum, indipendente da Mosca, appoggia la rivoluzione.
Su pressioni della Chiesa, dell’aristocrazia terriera e dell’alta borghesia imprenditoriale, a luglio i soldati di stanza a Ceuta insorgono contro il governo sotto la guida del generale Francisco Franco. La maggior parte dell’esercito obbedisce a Franco, mentre solo una minima parte difende il governo legittimamente eletto. Quando nelle città spagnole arriva la notizia della rivolta reazionaria nell’esercito, la popolazione insorge con più rabbia di prima. I sindacati Cnt, anarchico, e l’Unione generale dei lavoratori (Ugt), comunista, consegnano le armi alla popolazione per organizzare la resistenza.
Stalin fiuta nella situazione spagnola un’ottima occasione per imporre la propria linea e mettere definitivamente un punto alle spinte rivoluzionarie dell’Europa occidentale: aiuta il governo spagnolo in cambio di dettarne la linea. Il Komintern organizza le Brigate Internazionali, una formazione militare che combatte con la Repubblica, ma ad alcune condizioni intrattabili. Per questo i compagni e le compagne di Mika e Hipólito sono scettici fin da subito sull’intervento sovietico in Spagna, anche se lei in un primo momento sembra ottimista, o realista: per cacciare il fascismo servono le armi e il governo repubblicano non può farcela da solo.
In Spagna Mika e Hipólito si arruolano nelle milizie del Poum. Sono conosciuti e stimati in quanto antifascisti di cui ci si può fidare, in un contesto in cui nessuno si fida di nessuno e comunisti diversi non fanno che attaccarsi a vicenda: in particolare, le donne vicine al Poum sono considerate dal Komintern “le puttane dei trozkijsti”. Il ruolo delle donne nelle varie milizie spagnole è emblematico e molto significativo: dal momento che molti dei gruppi che combattono contro Franco sono sorti spontaneamente tra la popolazione, la disciplina militare è stata abolita insieme al saluto alla divisa e alle gerarchie, i capi sono eletti con delega revocabile e gli ordini sono discutibili, le donne spesso imbracciano le armi e sono trattate al pari degli uomini. Soltanto le Brigate Internazionali ripristinano il saluto, la divisa, la gerarchia fissa e una ferrea obbedienza, e permettono alle donne solo di lavare le divise degli uomini, cucinare e curare i feriti ma non di combattere. Con il passare dei mesi il governo impone a tutte le milizie di tenere le donne lontane dal fronte, altrimenti niente rifornimenti di armi viveri e munizioni: le armi vengono da Mosca ed è Mosca a decidere insindacabilmente a chi consegnarle e a chi no.
Ad agosto del 1936 la compagnia di Mika e Hipólito è inviata nella missione pericolosa di riprendere il castello di Atienza occupato dai franchisti: gli ordini sono chiari, il Poum apre il fuoco, poi il grosso lo faranno le Brigate Internazionali con armi migliori. Hipólito è in prima fila che guida il gruppo, Mika rimane indietro a preparare la tenda del pronto soccorso, si sa che Atienza è un luogo difficile. In lontananza si sentono spari, raffiche, esplosioni, forse nemiche, la loro milizia non ha così tante armi. Dopo ore di strenuo combattimento la milizia è costretta a ritirarsi: i rinforzi promessi non sono arrivati, delle Brigate Internazionali neanche l’ombra. Ma Hipólito non torna. Colpito da un obice fascista, è uno dei primi morti in Spagna. Superato il momento di disperazione, è Mika a prendere il suo posto di comandante. È la prima donna a guidare un esercito, anche se non si tratta di un esercito regolare e riconosciuto. Ora ha una responsabilità enorme nei confronti degli uomini e delle donne che da lei dipendono e in lei ripongono la loro fiducia per la vittoria politica e per l’incolumità fisica: è una responsabilità politica e militare ma anche umana e morale. È vedova ma sente su di sé la forza del marito da non dimenticare e da portare avanti. Non avrà rapporti con nessun altro uomo, il suo amore e il suo corpo rimangono consacrati a Hipólito, così come il suo nome rimarrà per sempre Mika Etchebéhère. L’amore che dà ai suoi miliziani è diverso, è materno e asessuato, da loro è vista come una madre o una sorella e non come una qualunque donna, un essere angelico e non erotico, indipendentemente dal suo aspetto fisico, anche perché molti suoi combattenti hanno sì e no sedici anni. Il suo essere donna non è mai nascosto né ostentato, è accettato come cosa normale. Ma in presenza di giornalisti o membri di altre milizie non mancano mai domande sul loro rapporto con una comandante donna, sul dormirci insieme senza che nascano desideri sessuali. Eppure basta poco, il sorriso di un altro comandante e un istante di intimità appena sfiorato, perché Mika si rimproveri come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e si interroghi su se stessa e sul rapporto con il mondo maschile che la circonda. È in nome di Hipólito o della Rivoluzione o del suo ruolo che lei non può permettersi di desiderare un altro uomo? Cosa sono per lei quegli uomini, gelosi delle attenzioni che ricevono da lei? Figli, fratelli, compagni, estranei, deboli, fragili, goffi, gentili… E che cos’è Mika per i suoi uomini? Una mamma, una guida, una sorella, una compagna, una comandante o una donna dura e pura, austera e casta, cui si perdona il suo sesso nella misura in cui non se ne avvale? Passando da moglie del comandante a vedova e comandante lei stessa, il suo ruolo è cambiato.
Insieme alle armi, l’Urss invia in Spagna anche i commissari della Čeka, la polizia politica sovietica, capeggiati da Ercole Ercoli, pseudonimo del presidente del Komintern Palmiro Togliatti. Misteriosa figura di spicco della Čeka in Spagna è Andreij Kozlov, responsabile dei servizi segreti presso il fronte di Madrid, dove Mika combatte. Egli parla spagnolo e tedesco con accento russo e il nome di Mika Etchebéhère non gli è nuovo. Con l’arrivo dei commissari della Gpu, la polizia segreta sovietica, parte una campagna diffamatoria nei confronti del Poum e degli anarchici: l’accusa che viene rivolta loro dalla stampa stalinista è che la rivoluzione sociale indebolisce alle spalle il governo con lo scopo di favorire la vittoria di Franco. L’Internazionale infanga la reputazione del Poum, che starebbe remando contro il governo repubblicano, ma non dice una sola parola sul Fronte Popolare francese, di cui fa parte anche il Partito comunista francese membro dell’Internazionale stessa, che non interviene in difesa di quello spagnolo. Andreij Kozlov dichiara esplicitamente e senza pudore che il Poum ha i giorni contati. Mika non può accettarlo, è rimasta fedele allo spirito spontaneo della Rivoluzione spagnola secondo cui chi vuole armarsi può farlo liberamente contro Franco e il resto è secondario: gli spagnoli non sono soliti tenere a freno la lingua se qualcosa non va né accettare ordini da estranei, il loro rapporto con la disciplina e l’organizzazione è l’opposto di quello che Mika e Hipólito hanno conosciuto in Germania.
Nel 1937 la Spagna è già cambiata rispetto all’anno precedente: il morale della popolazione è a terra, armi e viveri scarseggiano, le lotte tra rivoluzionari e stalinisti dissanguano il fronte antifascista e Franco avanza indisturbato. Nella Madrid assediata dalle truppe franchiste Mika guida la resistenza, ma in assenza dei rinforzi promessi la città è destinata a capitolare. I partiti socialista e comunista si fondono sotto l’ordine esplicito di annientare il Poum, la Čeka detiene il controllo della città, i giornali stalinisti confondono la popolazione, gira voce addirittura che i militanti del Poum siano agenti della Gestapo. Mika è in un albergo di Madrid per rilasciare un’intervista a Roger Klein, un giornalista francese che di lei ha stima, tanto che preferisce ascoltare lei, la cui fama gira l’Europa, piuttosto che il famigerato Quinto Reggimento, capeggiato dallo stalinista Vittorio Vidali, noto come fidanzato di Tina Modotti. L’idea di una donna comandante continua a sorprendere e a suscitare interrogativi e curiosità; l’attività militare di Mika riceve elogi del tipo «è un vero uomo!», incompatibili con il suo essere donna. È un’intervista gelida: dov’è il Fronte Popolare francese, che incrocia le braccia inerte davanti al massacro del suo fratello spagnolo? Mika rifiuta seccata la proposta di passare la notte lì scambiandola per un invito con secondi fini anziché per una protezione dalla Čeka che ha ormai invaso Madrid, ma uscita dall’albergo viene arrestata.
L’accusa formale è trozkijsmo e quindi tradimento del governo repubblicano. Ma in cella capisce chi è il responsabile dell’arresto: Ruvin Andrelevicius, che vedendola esclama di nuovo quella parola in russo, shlyuha, “puttana”, pronunciata la notte dell’incendio del Reichstag nel palazzo vuoto di Berlino in cui aveva tentato di “sedurre” Mika sotto il falso nome di Jan Well. Si chiama Jan Well a Berlino, Andreij Kozlov a Madrid e Ruvin Andrelevicius a Mosca, allora seminava zizzania tra i comunisti tedeschi e ora diffonde notizie false sul Poum, è al servizio di Stalin e ha una morbosa ossessione per Mika. L’agente della Gpu ci riprova, ottenendo lo stesso risultato di allora: non un calcio ma un eloquente sputo in faccia. Fallita l’arma la seduzione, Kozlov tenta di convincere Mika a passare dalla loro parte, sapendo quanto quella donna brillante gli potrebbe essere utile; ma l’intelligenza di Mika non vuole saperne di capitolare. Frasi del tipo «è necessaria l’obbedienza al Partito perché la Rivoluzione trionfi» su di lei non attecchiscono.
Intanto la scomparsa di quella donna fondamentale in battaglia si fa preoccupante. Il Poum è nemico delle Brigate Internazionali, ma la Cnt-Fai ha un seguito troppo vasto e il governo spagnolo non può rischiare un incidente diplomatico interno: sono le pressioni dei vertici della Fai che costringono la Gpu a rilasciare Mika in cambio della certezza che non tornerà al fronte. Poco dopo Madrid è persa, senza che le Brigate Internazionali l’abbiano difesa.
L’ultima battaglia, la più tragica e clamorosa, si svolge nelle strade di Barcellona, testimoniata dagli scritti di George Orwell. Lo scrittore inglese membro del New Labour Party (equivalente inglese del Poum) racconta varie battaglie che si potevano vincere ma sono state perse per il mancato supporto che le Brigate Internazionali avevano promesso. Il Poum è stato espulso dal governo locale catalano, Andreu Nin è misteriosamente scomparso nel nulla insieme a Katia e Kurt Landau, la polizia prerivoluzionaria è stata ricostituita ma gli anarchici sono ancora forti e occupano i principali centri logistici della città con l’appoggio della popolazione civile e del Poum. Quando il governo dà l’ordine di sgomberare la sede della compagnia telefonica su cui sventolano le bandiere rossonere, uno scontro a fuoco senza precedenti tra stalinisti e anarchici provoca alcune migliaia di morti. Gli anarchici vengono fucilati e il Poum dichiarato illegale dal governo comunista con l’accusa di “tradimento del governo e cospirazione con Franco”. Mika è rifugiata nel liceo francese di Madrid, da cui riesce a fuggire oltre i Pirenei: ora la Francia accoglie i profughi del Paese che non ha voluto aiutare. Insieme a lei decine di migliaia di iscritti al Poum lasciano la Spagna clandestinamente e da ricercati, tra loro lo stesso Orwell. In cambio del riconoscimento dell’Unione Sovietica, le potenze capitaliste devono a Stalin l’aver soffocato la Rivoluzione spagnola e l’aver regalato il Paese a Franco.
Nel 1939 Mika è in Francia. Ma pochi mesi dopo, con l’invasione tedesca, il suo cognome ebraico la costringe a fuggire nuovamente in Argentina. La foto dei tedeschi che sfilano a Parigi sotto l’arco di trionfo su cui sventola la svastica è un brutto colpo per l’antifascismo. Tornerà in Europa soltanto a guerra finita.
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Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.