Analizzando mole raffigurazioni femminili di Leonardo, si scorge un tratto che accomuna le tante protagoniste: l’essere “di”.
di Luisa Boscolo
Notoriamente catalizzatore di ipotesi, congetture e misteri, il nome di Leonardo da Vinci suscita, già soltanto nel pronunciarlo, l’immediato interesse. La sua biografia brulica di racconti, dicerie, interpretazioni, pettegolezzi, talvolta inesistenti.
Genio indiscusso del Rinascimento fu straordinario inventore e indagatore capace di cogliere reconditi particolari in botanica, anatomia e fisiognomica. Fu attento osservatore: i volti di donna che sfilarono dinnanzi al suo cavalletto hanno conquistato meritata immortalità.
Sono ben note le disquisizioni riguardanti l’illustre Monna Lisa, opera tra le più fotografate e ammirate al mondo, al limite del morboso.
Analizzando anche le altre raffigurazioni femminili, si scorge un tratto che accomuna le tante protagoniste: l’essere “di”. Pongo il “di”, volutamente, tra enfatizzanti virgolette.
Donne dai quieti volti che mostrano abiti ricercati, monili preziosi indossati per sottolinearne rango e nome, ma sempre identificate con il doveroso “di” aggiuntivo.
“Figlia di” e “futura moglie di” è Ginevra Benci, dolce fanciulla promessa sposa ad un vedovo molto più anziano della sua poco più che adolescente età.
“Favorita di” Ludovico il Moro è la Dama con l’ermellino individuata in Cecilia Gallerani, giovinetta esaltata nei versi del Bellicioni e tramandata ai posteri quale fugace amore del potente Sforza.
Fiamma d’amore del signore di Milano è La Belle Ferroniére, Lucrezia Crivelli , fiera e volitiva “madre di” un figlio nato dalla relazione palesemente vissuta.
E anche su quella Gioconda custodita gelosamente al Louvre occorre sottolineare come, anche in questo caso, si aggiunga l’enfatico “di”. E’ Lisa Gherardini per Vasari, ma soprattutto è “consorte di” Francesco del Giocondo, da cui il celeberrimo titolo che trasforma al femminile il patronimico del coniuge.
“Donne di” altri, ricordate dalla mano superba del pittore di Vinci con attributi unici: alla Gallerani pone in grembo un ermellino, riferimento sottile alla traduzione greca del lucente animale e rimando probabile al cognome della ritratta; alla Benci abbina uno sfondo di fitto ginepro, alludendo al nome che porta: lei è Ginevra, figlia dei Benci, banchieri in Firenze.
Separate, in un ambito soprannaturale, le Madonne leonardiane. Eteree ma carnalmente materne in ogni età ad esse attribuita: da quella più adulta e consapevole della Vergine delle Rocce, a quella adolescenziale e tenerissima della Madonna Benois, il cui viso tradisce un’infanzia appena superata.
Esiste un ulteriore universo femminile espresso dai lavori dell’artista toscano, gli studi di volti: disegni tracciati su carta preparata con tratteggi asciutti e precisi che restituiscono visi naturali, colti dal vero, come la Scapigliata, facente parte della collezione della Galleria Nazionale di Parma, che esibisce una scomposta acconciatura dai riccioli spettinati attorno ad un viso assorto la cui volumetria è accentuata dalle ombre stese a terra scura.
Volti di giovani donne libere dall’inquadramento familiare: riprese di tre quarti quali approfonditi ritratti di spalle che le inquadrano in un diretto colloquio visivo con l’interlocutore.
Emerge con evidenza il contegno spontaneo della Fanciulla della Biblioteca Reale di Torino, probabile studio per l’angelo della Vergine delle Rocce: pochi segni ma essenziali per porgere la pienezza delle gote, le palpebre leggermente abbassate in una meditata espressione di sguardo velato.
Inevitabile riflette su una donna forte e potente che spiccò nel panorama femminile di Leonardo: Isabella d’Este. Fu Determinata collezionista che ambiva possedere un lavoro del noto pittore, tanto da inseguirlo con cocciuta insistenza: una vicenda da raccontare a latere e fuori dagli ordinari contesti, utile per narrare la coerenza di una delle più colte donne di erudizione del Rinascimento.
Rimangono, unici nella loro sommessa bellezza, lontani dai parigini assalti fotografici, i visi genuini dei disegni: non solo donne, ma adolescenti o vecchi dalle bitorzolute facce. Sono frutto della ricerca del vero assoluto, della mimica facciale e dell’espressione del sentimento, lontani anni luce dal messaggio celebrativo a cui i ritratti, commissionati dai facoltosi uomini del tempo, dovevano rispondere.
Ma è nel delicatissimo volto della “Fanciulla” dei Musei Reali di Torino che scorgo l’attitudine leonardesca nel percepire l’universo femminile: raffinata e spontanea dote che svela la capacità del genio a captare l’intimo e a cogliere l’anima nel profondo.
Nata a Torino nel 1963 svolge la sua attività di divulgazione nei principali siti museali torinesi quale guida e operatrice culturale in ambito storico-artistico.
Si laurea in Lettere moderne ad indirizzo Storico presso l’Ateneo torinese nel 1994 e approfondisce le discipline in ambito conservativo conseguendo laurea in Operatore dei Beni Culturali a Ravenna, sede distaccata dell’Ateneo bolognese, nel 2009.
Presente sui social con interventi di scrittura d’approfondimento storico e narrazione artistica, vive il panorama culturale torinese e piemontese con passione e dedizione.