Saman non è l’altra. È una di loro, perché come loro aveva 18 anni, come loro sognava amore, inseguiva il “vago avvenir “ che in mente aveva, immaginava una vita tutta da venire, nonostante tutto, nonostante le montagne da scalar.
di Pina Arena
Uno degli ultimi giorni di scuola: il nostro tema doveva essere il doppio e il ritratto tra letteratura e arte, ma abbiamo parlato d’altro con la mia classe di diciottenni prossimi all’esame di Stato, già proiettati verso un futuro da disegnare per qualcuno, già tracciato per altri, che tutte e tutti immaginano e vogliono, com’è loro diritto che sia, felice e libero.
Abbiamo portato in classe Saman Abbas, la giovane pakistana barbaramente uccisa dai familiari.
Saman non è l’altra. È una di loro, perché come loro aveva 18 anni, come loro sognava amore, inseguiva il “vago avvenir “ che in mente aveva, immaginava una vita tutta da venire, nonostante tutto, nonostante le montagne da scalare. Una vita in cui una giovane donna può scegliere chi vuol essere, con chi condividere la propria strada, chi far uscire dalla propria vita. E, invece, a lei è andata diversamente.
È Lorenzo a osare un salto ardito: da Pirandello ad un doppio ritratto che compare su tanti giornali: in uno Saman indossa il velo islamico, è come irrigidita in una formalissima posa; nell’altro sorride con uno sguardo vispo e sornione, non è velata. “Sembrano due persone diverse- osserva- perché in uno dei ritratti diventa un’altra persona o personaggio”.
Mi guarda come a chiedere conferma. Guarda i suoi compagni.
Ascoltano attenti e silenziosi, osservando il doppio ritratto: in quelle foto accostate, osservo, ci sono due mondi che devono convivere nella storia e nel corpo di un’adolescente figlia di pakistani che vivono in Italia e in Italia portato la loro storia e la loro cultura, mentre Saman respira altra aria fuori casa, incontra ragazze e ragazzi che vivono un mondo e una cultura diversa.
Saman è vittima della sottocultura patriarcale che la sua famiglia porta con sé e alla quale risponde immolando la figlia, sacrificandola senza dubbio ed esitazioni, per mano di uno zio.
Ritorna così il tema del doppio e della maschera : lo zio portatore dell’onore della famiglia, lo zio esecutore del delitto della nipote.
“Perché lei l’ha seguito senza gridare, senza opporsi?-chiede Vittoria. “Si fidava o stavolta non poteva scappare” risponde Claudia.
Doppia è la faccia del patriarcato che accarezza chi obbedisce e si sottomette al suo desiderio e alla sua volontà mentre colpisce con la scure e l’ascia chi sfugge alla sue pietrose regole.
Pia vola altrove e osserva che di Saman sappiamo poco. Non sappiamo, ad esempio, per quanto abbiamo cercato notizie sui giornali, quale scuola avesse frequentato, quali studi avesse fatto.
Si parla solo della sua fuga da casa, dopo aver scoperto che sarebbe stata condotta in Pakistan per un matrimonio combinato con un anziano cugino; si parla della sua decisione di rientrare a casa, dopo aver denunciato la famiglia. Poi il nulla, anzi la certezza che siano stati i familiari ad ucciderla: gli uomini, lo zio ed i cugini, sono stati la mente ed il braccio del femminicidio, le donne, la madre per prima, le complici mute.
“Come Pia de’ Tolomei, no, come Piccarda, come Costanza … come tutte e tre” : è Alessia a rompere il silenzio mentre cerca sul testo i versi che le risuonano nella mente.
Ha ragione, come tutte e tre: anche Saman, ancora nel 2021, è vittima della cultura di quegli stessi uomini vili, al mal più che al bene usi, doppi, padroni e servi, schiavi anche loro di un pensiero che li vuole padroni, senza dare neanche loro possibilità di scegliere.
“Si, ma in una famiglia italiana non accadrebbe, lei era pakistana ” osserva Andrea.
Marta prende la parola: non ha risposte, ha una domanda: s’interroga sulla fatica e sul peso che Saman ha portato con sé, lei, ragazza disobbediente, ma non al punto da rompere il muro o alzarlo del tutto. È rientrata a casa, perché era quella la sua casa, erano quelli i suoi genitori e lei non poteva cambiarli. È fuggita , ma non sapeva cambiarli.
Alessia aprire un’altra strada: la famiglia di Saman era pakistana, ma viveva in un Paese in cui la violenza sulle donne è “pane quotidiano”. Mentre Alessia parla infervorata, li invito a cercare sui loro cellulari i dati sui casi di femminicidio in Italia negli ultimi due anni.
I numeri e la loro lettura non lasciano dubbi. La violenza sulle donne in Italia è cresciuta, fino a raddoppiare, nei due anni in cui le donne e gli uomini sono stati chiusi dalla pandemia nelle loro case. La casa , luogo di sicurezza, per tante è diventata il calvario e il patibolo. Chiuse in casa con uomini violenti, padroni, punitivi, per tante la casa è stata luogo di morte.
Sono cresciute le domande di aiuto , mentre i centri antiviolenza non riescono ad accogliere tutte le richieste, le forze di polizia non sanno mettere in sicurezza e l’Italia viene bacchettata da Strasburgo per l’inadeguatezza delle sue sentenze sui casi di violenza contro le donne.
Chiudiamo il cerchio e la domanda è sempre la stessa: come se ne viene fuori?
Ritorniamo ad invocare una cultura nuova contro la malefica zizzania del patriarcato.
Di questo disastro culturale, in Italia, nel mondo, ancora nel 2021, i responsabili non sono solo gli uomini che uccidono, ma anche le istituzioni, i governi, i corpi di polizia che non sanno rispondere in modo adeguato alle domande di aiuto; sono responsabili anche donne e uomini che non prendono parola e stanno a guardare.
È un problema culturale che chiede un impegno congiunto di tutte le parti, di ogni governo, di ogni tribunale, di ogni corpo di polizia, di ogni scuola, di ogni insegnante, di ogni cittadina e cittadino.
“Che siano gli uomini tutti a prendere la parola”: mi rivolgo ora ai miei alunni, cerco di leggere nei loro sguardi.
Qualcuno abbassa gli occhi pensoso. Qualcuno stringe le labbra assentendo. Qualcun altro fa cenno di sì. Qualcun altro non si muove neanche.
Suona la campana. La lezione è finita.
Vittoria è l’ultima ad uscire, mi guarda pensosa mentre raccatta le sue carte e i suoi libri: “Prof, oggi Saman è stata con noi”. Mi saluta, va via anche lei.