Tre piani il primo film, diretto da Nanni Moretti, del quale non è anche autore.
Come spettatrice cinematografica della filmografia di Nanni Moretti, sono nata con Ecce Bombo (1977) e il personaggio di Michele Apicella. Mi accompagnavo ad una generazione di ex sessantottini (io un pò più giovane) che si riconoscevano nella ritualità e le ossessioni della loro generazione tratteggiati da Moretti con ironia e tratti comici.
Alzi la mano chi, tra i nati tra gli anni ’50 e ’60, non ha detto almeno una volta: “triste, sì, ma triste teatrale, mentre noi, siamo tristi squallidi”. E la ben più famosa frase cult “…giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose.”
Nel tempo, Moretti (come è normale che sia, tutti nel tempo siamo cresciuti e cambiati) ha cambiato più volte il meccanismo narrativo nei suoi film, conservando però quel filo di (auto) ironia riconoscibile e, per certi versi, rassicurante.
Questo è il primo film, diretto da Nanni Moretti, del quale non è anche autore.
Ho letto il libro dello scrittore israeliano Eshkol Nevo un pò di tempo prima che cominciasse a girare la notizia della trasposizione cinematografica che ne stava facendo Moretti. Non un capolavoro, a mio parere, ma un libro godibile con tre voci narranti che catturano e guidano il lettore nel racconto.
Anche nel libro, ambientato a Tel Aviv, l’autore distribuisce lo scorrere del tempo sui tre piani di un palazzo e descrive i personaggi delle famiglie che lo abitano utilizzando, nella struttura narrativa, le tre istanze freudiane: l’Es – assolutamente amorale, l’Io – che si sforza di essere morale, il Super-io – che può diventare ipermorale, e quindi crudele quanto solo l’Es può esserlo. (cit. Freud)
Nanni Moretti ha ambientato il suo film a Roma, in un condominio in Prati, quartiere della cosiddetta “Roma bene” all’interno del quale, distribuiti sui tre piani, si consumano i destini di un giovane uomo (Riccardo Scamarcio/ Lucio), una giovane donna (Alba Rohrwacher/ Monica) e una coppia di giudici (Margherita Buy/Dora e Nanni Moretti/Vittorio) con i loro demoni, le loro solitudini, le loro paure e i loro egoismi.
Moretti ha scelto di utilizzare l’ellissi narrativa facendo procedere il racconto in blocchi di 5 anni e, personalmente, questa brusca accelerazione mi ha dato una sensazione di perdita, nel senso che mi è rimasta la curiosità di sapere, cosa fosse successo ai personaggi strada facendo.
Quello che anche manca, a mio parere, in questo film, è la mancanza di ironia che Moretti è riuscito a mantenere, quasi fosse la cifra sua stilistica, anche nei suoi film più intimisti come “La stanza del figlio”.
I tempi narrativi mi sono sembrati abbastanza piatti, come pure l’interpretazione dei personaggi da parte degli attori che a me sono sembrati poco empatici. Inoltre, nel libro alcuni personaggi, come Giovanna, donna anziana che insieme al marito spesso fa da babysitter alla figlia di Lucio e Sara, è una pianista, la qual cosa attribuisce eleganza e spessore al personaggio piuttosto scialbo nel film di Moretti, ancorchè interpretato da una brava attrice.
E ancora Monica, che combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali, nel libro vede fuori della finestra un barbagianni (come animale ci fa simpatia), che probabilmente rappresenta lo spettro della follia ma nel film diventa un brutto corvo nero appollaiato sulla sedia abbastanza angosciante.
L’impressione è che Nanni Moretti abbia firmato la co-sceneggiatura e la regia di questo film come un compito assegnatogli che ha svolto con la consueta professionalità ma senza troppa convinzione, sensazione che trasmette.
Dunque di questo film, in conclusione, salvo la scena finale in cui tutti i personaggi del racconto, alla fine e nonostante le loro vicissitudini, si ritrovano davanti al portone finalmente orientati all’esterno e nel mentre si godono il passaggio dei ballerini del Tango illegal mandano, più o meno consapevolmente, il messaggio che nonostante tutto, dentro e al di fuori di quel condominio, la vita continua.
Un film da non perdere? No
Un film da vedere? Sì ma senza aspettarsi troppo.
Mi chiamo Maria Rosaria Ayroldi, all’anagrafe. Di fatto, dalla nascita mi hanno sempre chiamata Marisa. Sono nata a Molfetta (Ba) il 8/11/1955 e vivo e lavoro a Roma dal 1987. Laureata in Sociologia. Specializzata in “Editoria, giornalismo e Comunicazione” e in “Cittadinanza attiva, diritti, partecipazione femminile. Ho cominciato a lavorare nel settore della Prevenzione alla salute nel 1980 e sono stata funzionario in una Asl di Roma fino al 31 Luglio 2019, dove ho coordinato un settore della Prevenzione e Educazione alla salute. Negli ultimi due anni ho fatto parte del CUG Aziendale. Dal 1 agosto 2019 sono in pensione. Sono stata, per alcuni anni docente di Sociologia generale presso l’Università degli Studi di Tor Vergata.
Sono stata Consigliera delegata per i rapporti con i Media di A.N.D.E. Roma – acronimo che sta per Associazione Nazionale Donne Elettrici. Una delle più antiche, nata nel 1946. Da alcuni anni mi occupo di tematiche di genere e pari opportunità e sono autrice di articoli e pubblicazioni sulla parità di genere, rischio lavoro correlato, salute e qualità della vita.