La presenza salvifica di una donna nel film d’autore. Drive My Car diretto da Ryūsuke Hamaguchi, è un film tratto dell’omonimo racconto di Haruki Murakami, lo scrittore giapponese più celebre al mondo, i cui libri sono tradotti in cinquanta lingue diverse.
Drive My Car è anche una canzone del 1965 dei Beatles scritta da Paul McCartney con il contributo musicale di John Lennon.
Secondo McCartney, «l’espressione Drive My Car era un vecchio eufemismo blues per il sesso».
Cosa centri il film di Hamaguchi, con la canzone dei Beatles non saprei, né se si sia ispirato a lei, certamente anche per il film si può dire che è “un vecchio eufemismo blues per il sesso».
Drive My Car è un film del silenzio, è come l’Urlo di Munch.
Il regista Ryūsuke Hamaguchi, si affermò a livello internazionale nel 2015 col film Happīawā, della durata di 5 ore e interpretato da attori non professionisti, e con Dry my car 2021, che dura ben 3 ore ha guadagnato la Palma a Cannes 74° per la migliore sceneggiatura. Eppur con lui il tempo vola.
La lentezza, la maniera di filmare e il rapporto con le donne me lo fa avvicinare a Ingmar Bergman di “Sussurri e Grida”.
Anche ad altri Maestri del cinema ma le donne di Hamaguchi/Murakami, come quelle di Bergman, sono al Centro come forza della natura, come Creatrici dell’umanità e Sono e sanno di Essere finanche se non parlano.
Sentono.
Invece gli uomini per Hamaguchi/Murakami sono creature deboli molto dipendenti da noi donne, eterni figli non disposti a crescere fino a che grazie a noi riescono a capire. Ammirati e innamorati delle donne se capiscono il quibus finalmente crescono insieme.
Questa è la perfezione. Crescere e creare insieme nel bello e nel cattivo tempo.
In Drive My Car, Yûsuke Kafuku, un attore e regista che ha da poco perso, a causa di un’emorragia cerebrale, la bellissima moglie Oto, interpretata da Reika Kirishima, 49 anni, con la quale aveva un rapporto di grande intesa d’amore, sia per quanto riguarda il lavoro che di coppia, inconsolabile per la sua perdita, accetta di trasferirsi a Hiroshima per gestire un laboratorio teatrale.
Qui, insieme a una compagnia di attori e attrici che parlano ognuno la propria lingua (giapponese, cinese, filippino, e anche il linguaggio dei segni), lavora all’allestimento dello Zio Vanja di Cechov.
Abituato a memorizzare il testo durante lunghi viaggi in auto, Kafuku è costretto a condividere il piccolo spazio della sua Saab 900 turbo rossa, con una giovane Autista, Misaki di soli 22, interpretato da Miura Tōko.
Ryūsuke Hamaguchi, gioca quindi alternativamente dai grandi spazi del grande Teatro di Cechov al minuscolo spazio dell’abitacolo della Saab rossa di Yûsuke Kafuku, dove il silenzio tra lui e l’Autista Misaki è solo interrotto dalla voce di sua moglie Oto che lui aveva registrato quando lei le raccontava le sue sceneggiature, in dialoghi che si alternano a quelli dello Zio Vanja nel teatro.
Il suo è un gioco di rispecchiamenti tra Kafuku e Zio Vanja in cui si affronta la solitudine, la morte, la perdita, la paura e l’incapacità a aprirsi, capendo perfettamente il grido del silenzio indicato da Cechov, e come lui spinge tutti a guardarsi dentro.
Inizialmente riluttante, Kafuku poco alla volta entra in relazione con la ragazza Autista e con lei troverà un modo nuovo di considerare sé stesso, il proprio lavoro e il mondo che lo circonda. Con lei compie il viaggio interiore per scoprire aspetti di sé e dell’altra.
Così come Oto lo aveva “messo alla luce”, con Misaki, silenziosa e discreta, trova la forza di “rinascere” restituendo a sua volta il dono della vita all’Autista, colei che guida. Tra loro si crea un rapporto profondo sebbene di reciproche solitudini.
Al Teatro nel poter finalmente interpretare lo Zio Vanja, è avvolto nel linguaggio dei segni tra le braccia di Lee Yoon-a una attrice muta interpretata da Sonia Yuan, che prendendogli la testa tra le mani gli recita: ”non hai mai conosciuto la felicità, aspetta, ci riposeremo.”
L’insegnamento più alto del Maestro Hamaguchi/Murakami in Drive My Car però, è un finale positivo, perché ci porta a capire che ogni ferita anche la più profonda è sanabile, ma non da soli.
E per concludere alla maniera dei The Beatles:
“Baby, you can drive my car
baby, puoi guidare la mia macchina
And maybe I love you
E forse ti amo”
Giornalista, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità, esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Curatrice editoriale.