di Guglielmo Darbo
Qual è il finale più bello della storia del cinema? Quello più coinvolgente, romantico, quello che basta da solo a farti amare senza riserve un film, altrimenti non memorabile, quello che speri che le luci del cinema non si accendano subito a tradire la tua commozione?
Qualcuno suggerirà “Casablanca” con Bogart e Claude Raims, che si allontanano nella nebbia e Bogart: “Louis credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia…”, sì è bello, ma troppo virile, non fa al caso nostro; e come dimenticare Rutger Hauer il replicante di “Blade Runner”: “…e tutti quei momenti andranno perduti…nel tempo…come lacrime nella pioggia…è tempo…di morire”: è inarrivabile, ma non conta, è un “sottofinale” il film prosegue, seppur solo per poco.
Io dico “Come Eravamo” (The Way We Were) di Sidney Pollack: la bruttina – ma quanto affascinante – Barbra Streisand che fa volantinaggio contro la guerra del Vietnam e Robert Redford fascinoso WASP, accompagnato da una gelida bionda, che la scorge da lontano, l’incontro dopo anni, gli occhi di lei hanno un luccichio imbarazzato e poi la tangibile, rassegnata, amara consapevolezza di Redford (“tu non molli mai”) di avere buttato la propria vita per mancanza di coraggio, il tenero quasi doloroso abbraccio sullo sfondo di una New York autunnale e la splendida melodia cantata dalla Streisand…
A chi non è stato mai rubato il cuore?
E che c’entra con la musica? nulla, solo un artificio per dire, per converso, del più bell’incipit di una rock song (i finali non san di nulla: inutili dissolvenze o sordi colpi di batteria): è quello di “1959” di Patti Smith – ma badate il volume deve essere al massimo sennò non vale – rasoiate di chitarra sul primo batter di tamburo, l’altra chitarra a ribadire la melodia, poi Jay Dee Dougherty piazza lì la rullata più perfetta di sempre e…”Listen to my story…” inizia il racconto di Patti Smith, chitarre scintillanti a stendere un magistrale tappeto sonoro sul quale vola il fiato della eroina dei nostri giorni spensierati, che ci racconta di Tibet e persecuzioni con il consueto coinvolgimento e poi, non è più l’inizio è vero, ma come non adorare l’assolo di chitarra acustica così spiazzante in mezzo a tanto furore elettrico…
L’album è “Peace and Noise” (Arista 1997), non il più importante della Smith, sono lontani la corrosiva carica eversiva di “Horses”, con il fulminante primo verso di “Gloria”: “Cristo è venuto sulla terra a redimere i vostri peccati, non i miei”, i fasti di “Because the Night” universalmente conosciuta, ma il livello è sempre alto, la barra è ancora diritta e la musica scivola sull’onda, svelta e senza incertezze, coinvolgente come ai bei tempi e come, ancora, oggi.
Poi poco importa che guardiate Pollack o ascoltiate Patty Smith, in ogni caso non sarà tempo sprecato.
Guglielmo Darbo, avvocato, entra ufficialmente nella musica contemporanea il 10 giugno del 1967 quando, rotto il salvadanaio, acquista Sgt. Pepper’s, Lonely Hearts Club Band; consumato il disco sono nuovamente i Beatles a far volare la sua fantasia adolescente e poi Radio Lussemburgo, ascoltata come un cospiratore, nel silenzio della notte, ad aprirgli nuovi orizzonti: il rock lisergico dei Jefferson Airplane, con la bellissima Grace Slick che sollecita curiosità molto più terrene, Jerri Garcia che smanetta sulla chitarra di Santo & Johnny, con ben diversi risultati e poi Woodstock: due ore d’immagini degli idoli fino ad allora solo ascoltati o letti, il rock jazz inglese che filtra le raffinatezze di Miles Davis, per orecchie meno temprate ed il jazz arrabbiato e trascendente di John Coltrane ed ancora il sublime Bill Evans a ricamar delicatezze trent’anni prima di Keith Jarrett e tutto quanto ha attraversato oltre quarant’anni di vita: da Hendrix -vero Picasso della chitarra elettrica- a Patty Smith, da Van Morrison a Robert Wyatt… e qui il cuore batte a mille… fino a Francesco Guccini, ancora a bordo della sua locomotiva, a De André che si commuove per “gli ultimi”, insomma da una meraviglia all’altra. Sarebbe troppo lungo elencare ciò che ha riempito un’esistenza, rendendola, a volte, perfino felice…