di Lucia Tilde Ingrosso
La Russia ha attaccato l’Ucraina.
Niente di nuovo.
«Li perseguiteremo dappertutto e quando li troveremo, li butteremo dritti nella tazza del cesso» così dichiara Vladimir Putin, appena preso il potere. È il 1999. Nel mirino, quella volta, ha la Cecenia, repubblica del sud, con capitale Grozny. Piccola, periferica, poco popolata. Ma non poco importante. Anzi. Incastonata fra le montagne del Caucaso è ricca di petrolio e si trova in una posizione strategica.
La seconda guerra cecena scoppia nel 1999. È un susseguirsi di atrocità, violenze gratuite su vecchi e bambini, stupri, torture. Con l’aggravante che, rispetto ai tempi di Eltsin, la stampa non è più libera di documentare il conflitto. I giornalisti non allineati vengono uccisi. O emarginati. O corrotti.
A documentare il conflitto, fra gli altri, c’è Anna Politkovskaja, giornalista della Novaja Gazeta e “reporter per caso”.
«Il mio direttore ha deciso di mandarmi sul campo perché ero solo una “civile”, con l’idea che questo mi avrebbe permesso di comprendere l’esperienza della guerra più a fondo di chi, vivendo nelle città e nei villaggi ceceni, la subiva giorno dopo giorno. Ho viaggiato per tutto il Paese e visto tanta sofferenza. La cosa peggiore è che molte delle persone di cui ho scritto negli anni adesso sono morte».
Anna, da quel momento alla sua uccisione nel 2006, va oltre 40 volte in Cecenia, soffrendo fame, sete, freddo, subendo imboscate e rischiando la vita. Nel 2001 viene arrestata e lasciata per tre giorni in una buca sotto terra.
«È stato un arresto prezioso perché sono riuscita a vedere le fosse. Tanti ne parlavano, ma nessuno era mai riuscito a vederle».
I suoi reportage sono spaventosi.
«È una guerra terribile; medievale, letteralmente, anche se la si combatte mentre il Ventesimo secolo scivola nel Ventunesimo, per giunta in Europa. Immaginate uomini assetati di sangue e ubriachi di vodka che perseguitano anche civili innocenti. Quello che dovete capire è che essere una persona in Cecenia non ha lo stesso significato che in Occidente. Una persona in Cecenia è un soggetto biologico privo di qualsiasi diritto e della possibilità di contare sullo Stato».
Una guerra che non risparmia nessuno, neanche i bambini. Una guerra in cui l’esercito federale commette atti brutali e di una violenza inimmaginabile. Atti contrari a tutte le norme del diritto internazionale, a un basilare quoziente di umanità, persino al buon senso comune. Stermini di civili, violenze carnali, omicidi gratuiti di vecchi e bambini, torture, persecuzioni omofobe, rapine. Per dieci anni la Cecenia è una terra senza leggi e senza Dio.
Lo scempio è tale che, dopo il passaggio dei soldati russi, le Nazioni Unite nel 2003 definiscono Grozny, la capitale della Cecenia, come “la città più devastata del mondo”.
Su Putin Anna Politkovskaja è molto chiara: «Mi chiedo spesso se sia un essere umano. O se è solo una gelida statua di ferro. Se è un essere umano, non lo dà certo a vedere. È il tipico tenente colonnello del Kgb sovietico con la forma mentis, angusta, e l’aspetto, scialbo, di chi non è riuscito a diventare colonnello. È sinceramente convinto che l’epoca sovietica sia stata la migliore e che bisognerebbe restaurarla. Era l’epoca in cui il Kgb era al massimo della sua potenza e tutti ne avevano paura, senza neanche sapere bene perché. L’epoca in cui si aveva una doppia vita e una tripla morale. L’epoca in cui il capo aveva una faccia per l’Occidente e una per il suo popolo».
All’estero, Anna è amata. Riceve premi e inviti per parlare a conferenze. In Russia riceve 15 minacce di morte alla settimana. Viene emarginata. La chiamano “la pazza di Mosca”.
Racconta il suo caporedattore Dmitry Muratov (Premio Nobel per la pace nel 2021, riconoscimento dedicato ad Anna): «Le sue inchieste provocano un calo della tiratura e innumerevoli disdette dell’abbonamento. E il direttore, in riunione, ogni tanto, le dice di lasciar perdere gli orrori della Cecenia e scrivere qualcosa di un po’ più leggero, per esempio… sul suo cane! Allora lei risponde: “In un’altra vita, anch’io farei volentieri articoli sui panini”».
Nel mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore ho ricostruito la sua vita. E intervistato persone che l’hanno conosciuta. Fra loro c’è l’editore Riccardo Cavallero. «L’ho conosciuta in Spagna, nel 2004, quando le ho consegnato un premio giornalistico. Nelle stesse ore, arrivò da Londra la notizia che le avevano offerto asilo politico. Mi sembrava un’ottima notizia, così a cena le chiesi: “Allora, quando ti trasferisci?” La sua risposta fu lapidaria: “Mai, neanche per sogno. Io ho il diritto di restare nella mia patria. E non me ne andrò”».
E così Anna è rimasta («Lo faccio per i miei figli. Perché imparino a credere in una Russia migliore, in cui le persone non mettano le testa sotto la sabbia, ma abbiano il coraggio di fissare il potere negli occhi») e affrontato il suo destino già scritto. Il 7 ottobre del 2006 un sicario le ha scaricato contro 5 colpi di pistola.
Il mandate dell’omicidio non è mai stato scoperto e punito.
C’è chi parla di Vladimir Putin, che il 7 ottobre compie gli anni.
C’è chi parla del presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov, che due giorni prima aveva festeggiato 30 anni e che così commenta l’assassinio: «Era una donna, doveva stare in cucina».
Dell’assassinio di Anna nessun organo di stampa russo dà la notizia. Nessun politico partecipa al funerale. Men che meno Putin, che è a Dresda per incontrare l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel.
Sono passati oltre quindici anni.
Vladimir Putin continua a essere alla guida della Russia. E continua a scatenare guerre sanguinose.
E l’Europa? Ci auguriamo che la frase di Anna non sia più attuale. Non solo perché c’è l’Ucraina al posto della Cecenia. Ma soprattutto perché l’Occidente non è più connivente con un dittatore come Putin.
«L’Europa ha un doppio metro nell’intendere i diritti umani. Uno – distillato, bello, decoroso, civile e comprensibile – è per se stessa. L’altro – non troppo pulito, non troppo distillato – per la Russia, dove la democrazia ha solo un decennio di vita. Per la Cecenia, poi, l’enclave in rivolta, c’è il vuoto, il metro scompare del tutto».