Fondai nell’anno 1999 insieme a tre amiche la rivista on-line Dol’s, con sguardi peculiari sulla tecnologia che aiutasse le donne, imprenditoria e diritto del lavoro, solidarietà e formazione nel mondo femminile, violenze di genere comprese. Per attrarre l’attenzione sul tristo fenomeno della violenza sulle donne, i Social Network come Facebook propongono foto di donne avvilite, in atteggiamenti di sottomissione al picchiatore, con ecchimosi sul corpo, quando non addirittura pestate a sangue, forse supponendo che, insieme all’orrore, riescano a suscitare sensibilizzazione. Eppure pare che la reiterata esposizione a immagini di questo tipo condizioni in qualche modo il cervello fino ad anestetizzarlo, rendendo ammissibile la violenza sulle donne, e persino, nelle donne stesse, instillare la convinzione di doverla subire passivamente.
In un documento UNICEF di giugno 2000 circa la violenza domestica contro donne e bambine, nel capitolo “Strategie e interventi: un approccio integrato” alla pagina quindici si legge che “Gli uomini devono ricevere un messaggio coerente e chiaro da parte di tutti i settori e i livelli della Società”; di conseguenza, anche a partire da un uso corretto dell’immagine femminile su riviste, sui Social, su calendari, nelle pubblicità, nei telegiornali; dall’articolo “La violenza sulle donne: aspetti psicologici e dinamiche relazionali”, si può evincere che “l’inferiorità tra adulti corrisponde ad una percezione distorta dell’Io e della propria immagine corporea.” Distorsione che, dopo anni di militanza sui Mass Media e Social Network, affermo con forza possa derivare dall’uso dell’immagine dell’individuo che i Media ne fanno. Anche negli scritti di Betti Marenko, che si occupa da tempo del rapporto tra pratiche radicali di modificazione del corpo e trasformazioni della soggettività, combinando nel suo lavoro ricerca teorica e sperimentazione personale, è possibile rilevare quanto siano direttamente correlate immagine di sé e quelle proposte dalla Società. Sentito e pieno di trasporto il suo intervento saggistico/letterario di cui caldeggio la lettura per aprire la mente.
Più passano gli anni nella mia missione in Rete con il Magazine Dol’s, più mi accorgo di quanti poco siano attenti i Media nel proporre esempi contemporanei di Donne Resilienti, da prendere a modello. Per contrappasso alle immagini di donne ferite, propongo di ispirarsi a figure esemplari. Nel passato penso a Ipazia, matematica, astronoma e filosofa greca antica martirizzata da fanatici cristiani, o a Trotula, una medica del Medioevo, le cui opere più importanti riguardano le malattie delle donne e la cosmesi, riferendosi a una concezione della natura che lega fisicità e carattere di una persona all’intero cosmo: una concezione olistica tanto antichissima quanto contemporanea. Secondo Trotula, corpo, carattere dell’animo, parti del giorno, stagioni dell’anno costituivano un nesso inscindibile, un microcosmo che ha corrispondenze con l’intera natura (non con Dio, come ci si sarebbe potuti aspettare, vista l’epoca).
Nel primo secolo dell’anno 1000 Ildegarda di Bingen era già famosa come terapeuta e come oracolo, a tal punto da vedersi approvare i propri scritti da Papa Eugenio II. Dunque una donna eccezionale: badessa, mistica e scienziata allo stesso tempo. Tuttavia, nonostante l’avallo del Papa, nessuno la ricorda.
Durante il Settecento, altra figura notevole fu quella della Marchesa du Châtelet, che frequentava la corte ma non trascurava mai di immergersi nei suoi amati studi scientifici. Travestita da uomo, partecipava alle riunioni di scienziati che si svolgevano nei caffè parigini e a cui non erano ammesse le donne. La relazione con Voltaire, un legame intellettuale più che sentimentale, la indusse a trasferire la sua biblioteca e installare un vero laboratorio nella loro casa comune, che divenne ben presto il centro di promozione della fisica newtoniana in Francia, frequentata dai più grandi scienziati in contatto con Federico II di Prussia, con le Accademie di Berlino, Scandinavia e Russia. La Marchesa suggerì a Voltaire di scrivere un compendio divulgativo delle teorie di Newton per il pubblico francese: sono i celebri “Elementi della filosofia di Newton”, la cui compilazione è però attribuita al solo Voltaire. A lei va il merito di aver introdotto Newton in Francia e di averlo inserito nel patrimonio di idee dell’Illuminismo. Eppure nessuna menzione. Per contrappasso, il doppio esergo di questo libro, citando Voltaire come suo partner e non il contrario, come invece è consuetudine stereotipata, vorrebbe renderle la giustizia storica che merita. Anche dovesse restare inosservato.
Se ci “suonano male” sostantivi declinati al femminile, pur esistenti, comprensibilmente i nomi di queste Donne che hanno fatto la storia dell’Umanità non arrivano a noi, se non con le operazioni di recupero di scienziate come Sara Sesti, docente di matematica, che conosco fin dal 2000, e altre donne, tra cui Francesca Cavallo, scrittrice e regista teatrale, coautrice, insieme a Elena Favilli, del libro “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, che ha avuto un enorme successo in tutto il mondo dal 2017. La Cavallo si è laureata in scienze umanistiche per la comunicazione all’Università Statale di Milano, e si è successivamente diplomata in regia alla Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi. Elena Favilli, scrittrice e giornalista professionista, sua coautrice, ha lavorato per “Colors”, “McSweeney’s”, “Rai”, “Il Post” e “la Repubblica”, e diretto redazioni digitali sulle due sponde dell’Atlantico. Si è laureata in semiotica all’Università di Bologna e ha studiato giornalismo digitale all’Università di Berkeley, in California.
Madame Marie Curie, chimica e fisica polacca, dovette trasferirsi in Francia perché nel suo paese non aveva accesso al sapere, in quanto donna. Rita Levi-Montalcini, neurobiologa e Nobel per la medicina, e Margherita Hack, astronoma italiana, impegnata nello studio delle stelle, che per anni ha fatto sentire la sua voce anche su tematiche sociali, come le coppie di fatto e l’ateismo, hanno entrambe lottato per vedersi riconosciute nei rispettivi ruoli: Nel tempo, con le energie personali che le hanno contraddistinte e grande esposizione mediatica, a costo della tranquillità di vita, ci sono riuscite. Tuttavia, altre contemporanee continuano a restare fuori dai circuiti di massa. Famosa nel proprio ambito, ma sconosciuta ai più, Elena Cattaneo è fisica italiana e massima esperta nel settore delle cellule staminali e delle malattie neuro-degenerative. Dal 2013 è senatrice a vita, terza donna dopo Camilla Ravera, tra i fondatori del Partito Comunista, la cui madre, moderna e liberale, le trasmise l’importanza di indipendenza ed emancipazione, e Rita Levi-Montalcini. Fabiola Gianotti, alla guida del gruppo che al CERN di Ginevra, ha trovato il bosone di Higgs, e per questo lavoro, secondo la rivista americana Time, è tra le cinque persone più importanti del 2012. Eppure ho la certezza che a scuola le adolescenti di oggi non ne abbiano sentito parlare.
Una nota casa produttrice di prodotti per la cura del corpo, in coordinamento con l’UNESCO, nel 1998 istituì il premio “For Women in Science”. Da allora una scienziata per ogni continente viene scelta per il suo valore d’eccezione e premiata con un contributo di centomila dollari. Il “For Women in Science”, tanto per dare qualche dato oggettivo, nel 2011 diffuse il suo prezioso sostegno elargendo quindici borse di studio internazionali e altre borse nazionali a giovani ricercatrici giungendo a milleottantasei premiate. Oggi, sono aperte le candidature per il 2022. Nessun Media né TV ne parla. Ma almeno questo libro sì. Una goccia nel mare. Il sito non prevede l’italiano, indicativo dell’abisso culturale in cui programmi televisivi dei tronisti stanno facendo precipitare l’Italia.
La rivista WIRED pubblicava tutti i mesi i nominativi di donne fondatrici di Start-up in precedenza diffuse su riviste scientifiche. Per la televisione e i Media italiani, erano emerite sconosciute. Per il Mondo, invece, donne che lo stanno già cambiando in meglio. Nel 2017 WIRED cartaceo cessò le uscite. Oggi scopro invece che il Magazine ha ripreso la pubblicazione.
Tornando agli stereotipi, attenzione: sostengo che non siano condannabili in sé, ma aiutino a comprendere la realtà. Specie in età evolutiva, attivano la crescita degli individui, nel bene e nel male. Nel bene, perché senza stereotipi, sarebbe meno immediata la trasmissione del sapere, sia culturale che pratico. Nel male, perché alcuni degli stereotipi modellano le menti, nostre come quelle dei nostri figli, su posizioni acriticamente determinate, come l’ammissibilità della violenza dell’uomo sulla donna. Notai di quanto maschilismo patriarcale siano impregnate persino le menti delle donne, fino a condizionarle a essere il peggior nemico delle donne stesse. Proprio per questi motivi, che non sono veri motivi, ma consuetudini culturali acquisite, sarebbe auspicabile che noi adulti per primi impariamo a riconoscere le trappole degli stereotipi, specie quelli di genere. La Gloss ne trattò in precedenza sia in chiave saggistica che in poesia.
Qualche esempio. Se ai maschietti viene detto: «Su, non piangere, che pari una femminuccia» o alle bimbette: «Non ti inzaccherare nel fango, non fare il maschiaccio!», è come se agli uomini sia negato lo sfogo del pianto, perché riservato alle sole donne; o come se le bambine non possano godere della libertà di infangarsi come fanno i loro omologhi maschi. Quindi, consuetudini, non reali motivi.
La figura del Principe Azzurro è sempre abbinata a un uomo ricco e bello. Egli salva le Cenerentole da una vita di stenti, a condizione che sotto la cenere e le zozzerie delle faccende domestiche, si nascondano fiori in boccio. È straordinario come nel Terzo Millennio continui a sussistere lo stereotipo che una donna, fatta la tara del testosterone, non sia in grado di salvare un uomo per il fatto stesso di essere donna! Secondo alcuni studiosi intervistati nei saggi di Gloss, tutti questi stereotipi e altri ancora, starebbero a confermare l’inferiorità della donna nei confronti dell’uomo, davvero solo presunta: quando proposti senza un confronto dialettico, le situazioni stereotipate diventano così nocivi da giustificare, persino innescare violenze tra generi. Anche se per fortuna qualcosa pian pianino sta cambiando, cominciando dalle supereroine disneyane.
Nella raccolta “L’amore indossa collant di carne” (in via di pubblicazione) ogni racconto presenta come sottotitolo la denuncia dello stereotipo e si propone lo scopo di abbattere i muri delle incomprensioni generate dal loro uso scorretto, non più in modo didascalico o nozionistico, ma provando a divertire i lettori. Gloss cerca di esplorare ogni ambito della vita, dal sesso, all’amicizia tra donne, all’uomo africano, alla donna dell’est, alla vecchiaia, passando attraverso temi come la malattia, la diversità, l’amore, il matrimonio, le religioni, certe paure dell’infanzia, la disabilità, le idiosincrasie degli adulti, le sessualità sperimentali, il terrorismo, il divorzio e via stereotipando.
Buona lettura e buon confronto.
Caterina Della Torre, direttora e general manager di Dol’s