Chissà se l’avranno chiamata medico, o medica. Un fatto è certo, Marie-Sylvie Kavuke Vakatsuraki era competente. E operava. In senso stretto, poiché medico, o medica, lo era sul serio, e spiritualmente, vestendo l’abito religioso. Le importava il bene delle anime, cioè dei corpi. Coi corpi. Le importava il bene. Marie-Sylvie, per tutti suor Sylvie, lo portava scritto sul volto. Bello, casto, d’una luminosità essenziale, senza una ruga. Suor Sylvie era giovane. Sul petto un piccolo crocifisso, anch’esso lucente, concentrato nell’Idea – come Sylvie. Cristo ha un’anima africana.La sua morte bruta è familiare in quei luoghi, in quell’arte. Si comprende perché uno delle prime terre convertite, fuori della Palestina, fu l’Etiopia. Suor Sylvie veniva dal Congo, quello delle colonie, delle guerre, delle lotte politiche, di Lumumba. E della religione cattolica. La più diffusa. La più indifesa.
Da anni infatti il paese è devastato da orde di jihadisti che assaltano villaggi, rapiscono donne e bambine e bruciano ospedali, come quello in cui prestava servizio Sylvie e dove ha avuto luogo la sua esecuzione. Sì, la portava negli occhi, grandi, rotondi ma seri, non pensosi, semmai inafferrabili. Perché sapeva. Essere cristiani è questo, un assenso d’abbandono. Ma chi avrebbe dovuto proteggerla, chi ha spezzato quella sua testimonianza così vitale, chi l’ha ignorata è responsabile del suo martirio tanto quanto gli assassini.
“Nella mente non rimane niente/Solo un nome, il nome di Sylvie”. Questi versi di Lucio Dalla rimandano a una Sylvie da bar, ambigua consolatrice di anime alcolizzate. Li ho dedicati alla medica, o medico, congolese e oso pensare che lei li avrebbe apprezzati. Della Sylvie di Dalla avrebbe amato in primo luogo l’umanità. Un “donarsi” deviato, senza dubbio, ferito, ma suor Sylvie tra deviati e feriti viveva. Le accomunava la donnità, da lei rielaborata in un cristianesimo radicale, senza schiavo né libero né uomo né donna. Gli innocenti non ignorano alcun male, ne conoscono gli eccessi, consci però che l’assolutezza non gli appartiene (H. Arendt). Di Suor Sylvie, religiosa cattolica, giovane medico o medica africana, resta solo il nome. È ciò che salva, ma la sua fisicità rapita non cessa di sconvolgere.