Silvana Mazzocchi, autrice di ”L’amore crudele” si racconta.
Silvana Mazzocchi, giornalista e scrittrice, è autrice di vari libri di successo, ( tra cui: Mostro da niente; Nell’anno della Tigre: storia di Adriana Faranda; Il bello della rabbia; Mi gioco la vita Iddu, la cattura di Bernardo Provenzano).
Lei è una fra le più riconoscibili firme del giornalismo italiano oltre che una scrittrice di successo. Nell’ultimo libro “ L’amore crudele” (di cui è coautrice insieme a Patrizia Pistagnesi) ritroviamo la forza delle parole che spesso ha usato sia nei suoi racconti sia nei reportage che trattavano di argomenti molto “tosti e per dirla “proprio tutta, poco femminili. Quello di saper scrivere di ogni cosa nel modo giusto, è uno fra i molti pregi che dovrebbe avere ogni autore. Sbaglio nel dire che lei non si è mai ritagliata un solo spazio di scrittura?
La scrittura è il mio mestiere e la mia passione. E cerco di plasmarla sui contenuti. Questo vale soprattutto per il linguaggio giornalistico. Così, anche per i libri è diverso se si tratta di raccontare una storia-cronaca, del tipo di Iddu, la cattura di Bernardo Provenzano, o di Mi gioco la vita, storie vere di giocatori estremi, che sono storie reali, seppure sceneggiate “su misura. Nel caso di L’Amore crudele, invece, con Patrizia Pistagnesi abbiamo potuto, grazie alla finzione, far prendere il volo alle parole.
Prima di entrare nel merito, azzarderei qualche domanda alla “donna”; una bella donna che certamente avrà avuto molte attenzioni dall’altro genere. Per lei la bellezza è stata un vantaggio? Le ha aperto più facilmente le porte del successo?
Intanto grazie per la gratificazione…ma, a parte le battute, io sono della generazione che negli anni Settanta ha avuto il privilegio di attraversare il femminismo, con i suoi pregi e i suoi difetti. Questo mi ha portato a considerare la mia immagine di donna come inscindibile dalla mia voglia di libertà e autonomia. Insomma non consideravo questo aspetto di me come un’arma. Anzi, a volte mi sembrava un fastidio, un ostacolo. Questo all’epoca. Oggi però devo ammettere che ha aiutato l’autostima.
Un politico mi ha recentemente espresso una sua opinione verso una nostra conoscente impegnata: “Quello che è incredibile, è che oltre essere bella è anche intelligente!” A lei, di cui non si può che dire che le appartengano entrambi gli aggettivi, pare possibile che ancora oggi un uomo non certo ignorante o sprovveduto, possa esprimersi in questo modo?
In genere gli uomini temono chi può loro tener testa e quindi tendono a escludere che una bella donna possa essere anche intelligente. Li rassicura. Preferiscono dominare senza sforzo, e dunque meglio una “bella oca giuliva”. Uomini così certo ne esistono ancora, in ogni ambiente. Ma, per fortuna, non sono tutti. E, del resto, ormai le donne, oltre alla faccia e al corpo, mostrano il loro valore ogni giorno di più. E, anche se il fenomeno attizzato dai media delle veline e delle carriere facili sembra crescere in modo esponenziale, la maggioranza delle donne continua ad andare avanti tra mille difficoltà, mentre gli uomini sono frenati dalla loro fragilità.
Lei non ha mai sgomitato; si è imposta per la sua bravura ma anche per il suo coraggio. Vuole raccontare, brevemente, il suo percorso di donna impegnata?
Mi sono laureata in lettere e filosofia del linguaggio ma , fin da ragazzina, volevo diventare giornalista. Ho fatto un lungo tirocinio , di collaborazioni e lavoro nero. Poi, a metà degli anni Settanta sono passata al Mondo,quindi a La Stampa,e infine a Repubblica. Quando è nato mio figlio ero già inviato e passavo gran parte della settimana in giro per l’Italia, e passavo lo stipendio a tate e baby sitter. Ma sono state alcune amiche, anche loro con figli piccoli, a salvarmi la vita. Anche se a un certo punto ho dovuto comunque rallentare e accettare di fare qualche passo indietro. Sapevo che ne valeva la pena e il tempo mi ha dato ragione..
All’epoca del femminismo, negli anni ’70, lei faceva il suo mestiere “come un uomo”; perché non ha mai sentito una differenza di genere o per un certo “snobismo intellettuale?
Non sono mai stata una femminista militante. Come dicevo prima il femminismo l’ho solo attraversato. Forse perché all’epoca già lavoravo, ero andata via dalla casa dei miei genitori qualche anno prima; avevo passato un periodo difficile e finalmente mi sentivo liberata. In quel periodo già mi occupavo di giudiziaria, di grandi processi, un settore dove le donne giornaliste erano mosche bianche e dove, per sopravvivere alla concorrenza, dovevi non mollare mai.
Lei si è occupata molto delle Brigate Rosse ed in particolare del sequestro di Aldo Moro rapito dalle BR; diciamo che è stata sicuramente una giornalista in primo piano su questa realtà italiana. Ha scritto un libro, “L’anno della tigre in cui la racconta attraverso la storia di Adriana Faranda. Di questa donna è riuscita a dare un’immagine diversa e in qualche tratto il lettore poteva anche esserle vicino. Si è servita di questa immagine femminile per affrontare alla larga un tema così scottante e controverso?
Adriana Faranda era una coetanea, aveva frequentato la facoltà di lettere nei miei stessi anni, veniva da una famiglia borghese simile a quelle di tanti altri studenti. E aveva militato, come moltissimi di noi, nei gruppi extraparlamentari. Volevo capire come, da questa matrice comune di speranze e opportunità, alcuni ( e non pochi) avessero potuto scegliere quel percorso di morte e altri,( la maggior parte per fortuna), no. Scrivendo quel libro compresi che l’ideologia può essere cieca come la fede. E che, se vissuta in modo assoluto, senza il rispetto per gli altri, può portare morte e rovina.
Con “L’amore crudele” affronta il tema della violenza contro le donne. Il fatto descritto non è molto dissimile da molti che sono accaduti nel nostro paese e non solo. Quando avete scritto il libro, avete pensato ad un modo diverso per rappresentare una storia come tante? O il racconto si è dipanato nello scrivere? Pensavate di voler “acchiappare” il pubblico o ne siete state “acchiappate” voi stesse mentre lo scrivevate?
Il libro, nel suo contenuto, è il risultato di un lungo lavoro di ricerca nei centri antiviolenza. La storia è inventata, ma in qualche modo è anche un collage di spunti reali. Il nostro scopo era liberarci da ogni tentazione manichea. Non ci sono buoni e cattivi, abbiamo voluto far salva la complessità dei personaggi, dare attenzione alle ombre che governano l’animo umano, e non cedere agli stereotipi. La nostra è una storia di un amore che lentamente va alla deriva. E una storia dove il filo conduttore è l’indagine psicologica.
La violenza non solo come forma di sopraffazione fisica ma anche psicologica non esiste solo nel nostro paese; padri che ammazzano figlie, mariti le mogli, lapidazioni, infibulazione, pene corporali, vendita di figlie, ecc. non sono che una parte dell’elenco di crudeltà e violenza che vengono perpetrate contro le donne; secondo lei cosa spinge un genere contro l’altro? Può darci un suo parere che esuli dalle cose finora dette? Quale è lo starter di questi comportamenti?
Credo che alla base ci sia la convinzione culturale che le donne siano di proprietà del maschio. A partire dagli stupri di guerra: da sempre i conquistatori uccidono gli uomini e predano case, oggetti, e donne. Ma, a imporre il loro potere con la violenza, nella vita quotidiana sono soprattutto padri, mariti, partner, fratelli, uomini a cui la cultura (e a volte anche la religione) riconosce una sorta di diritto al dominio che viene modulato e vissuto in modo diverso. E questo fa sì che in certi paesi si arrivi alla lapidazione delle donne.
<continua>
2 commenti
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Vivo prevalemtemenrte in Umbria, tra boschi e campi in una collina, in un’ansa del Tevere nei dintorni di Todi, e Roma mi attrae sempre meno ( ma ci sono una volta o due al mese, in questa stagione). Fammi sapere di te, ok? Un grande abbraccio e buona Primavera! Brunella
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