Due donne, due storie, due politiche.
Ciascuna ha scelto un proprio modo di presentarsi:
“Io sono Giorgia, sono una Donna, sono una Madre, sono Cristiana”, la Meloni e
«Sono una donna. Amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo
sono meno donna” la Schlein.
Hanno entrambe cercato di raccogliere consensi verso un elettorato che condivida
anche queste scelte, che sono del tutto personali ma che nulla hanno a che fare
con un manifesto d’intenti politici.
Però, in politica, il privato diventa pubblico e vuole dire qualcosa.
Due volti diversi di rappresentare un vasto elettorato che vuole un cambiamento
profondo della politica e di tutte le sue ramificazioni.
Una svolge il massimo incarico istituzionale, che è quello di Presidente del
Consiglio, l’altra quello politico di Segretario di una forza di sinistra che ha bisogno
di una svolta rigenerativa.
L’una ha già governato più di 100 giorni, dimostrando di non deludere chi l’ha
votata per la sua fermezza, la sua forza, la formazione politica.
La seconda, nonostante alcuni ruoli già svolti (deputata europea, vice presidente
regionale) è ancora poco conosciuta nelle linee strategiche che dovrà mettere in
atto.
Ancora, la Meloni portata e sorretta in modo unitario da tutto il suo partito, Fratelli
d’Italia, la Schlein una candidatura che ha avuto difficoltà ad imporsi, un sostegno
parziale del partito, infine frutto di una divisione interna che ne svuota in parte la
leadership.
Una cresciuta per raggiungere un traguardo, come è avvenuto, l’altra prima
incerta se candidarsi, poi trascinata più da spinte da interne che per
convincimento.
Entrambe segneranno però questa nuova fase della politica italiana.
Altro dato: la vittoria di una donna a Presidente del Consiglio, ovvero
l’accettazione che essa lo potesse diventare, ha dimostrato che era possibile
quanto le donne andavano affermando.
E forse, recidendo il muro della discriminazione di genere in politica si è prodotto
nella cultura politica un effetto di trascinamento.
Ma lasciamo un attimo da parte la Meloni, di cui si è detto, scritto di tutto e di più.
La nuova protagonista è il nuovo Segretario (o segretaria?) del PD.
Un partito che da anni stenta a sopravvivere immerso più nei distinguo interni,
nelle lotte correntizie e di potere che in un dialogo sociale.
Incapace spesso di esprimere linee di politica atta a gestire i cambiamenti
necessari, sia interni che internazionali.
Stiamo parlando cioè di una forza politica che da sempre ha rappresentato il
grande elettorato di sinistra che nel tempo è stato lasciato in balia di se stesso,
spettatore di balletti di alleanze.
Un partito in cui molti hanno avuto difficoltà a riconoscersi in appartenenze di
gruppetti, di alleanze personali, di briciole di potere.
E’ la voglia di riaccendere le speranze di questo “vecchio” elettorato e di quello più
giovane, che esprime bisogni e voglia di futuro che ha portato alla vittoria per la
prima volta di una donna al vertice del Pd, un partito chiuso e maschilista che
poco ha saputo accogliere meriti e differenze, di affrontare i rischi che portano le
grandi sfide.
Saprà Shclein far dimenticare i suoi ingessati precursori? Saprà rompere i legami
di apparati? Saprà ricostruire un’opposizione di governo costruttiva, propulsiva e
condivisibile? Saprà superare le incertezze (che hanno fatta transitare essa stessa
in diverse posizioni nel suo partito) e governare la traversata verso il nuovo?
Nei cambiamenti mondiali che stanno modificando ideologie e politiche, le priorità
di una forza di sinistra possono, devono allargarsi ed è certo che oltre ai diritti
sociali e la lotta contro le vecchie e nuove povertà, non da meno i temi della
redistribuzione, della pace e la lotta alla crisi climatica (cavallo di battaglia della
Schlein) sono indispensabili.
Infine meloni e Schlein rappresentano una risposta, per quanto parziale, alla
trasformazione in atto nel mondo di genere.
Nella millenaria storia in cui le donne sono state sopraffatte dalle regole che hanno
permesso di escluderle la loro affermazione non possono che rappresentare per
tutte una conquista, al Governo come all’opposizione.
In democrazia ci sarà sempre chi vince e chi perde ma non per questo l’una deve
diventare necessariamente l’anti dell’altra, salvo perdere gli obiettivi.