Si tende a trattare il problema della violenza mostrificandone i responsabili, ma ciò non consente di rilevare gli elementi di costruzione sociale e culturale della questione, il che spiega l’inefficacia delle misure a contrasto poste in essere fino ad ora.
Giulia Tramontano, uccisa col suo bambino in grembo giorni fa, non è stata purtroppo neanche l’ultima vittima di femminicidio, ma la sua soppressione così crudele, insieme al suo piccolo, ha sconvolto l’Italia intera e ha disvelato per l’ennesima volta un legame di coppia in cui subiva da molto tempo un abuso relazionale denominato narcisistico perché agito attraverso modalità comportamentali e comunicative volte a manipolare, ingannare, diffamare, erodere la personalità e confondere l’altro, fin quasi all’incapacità di giudizio.
La distruzione psicologica della ragazza cui sarebbe seguito lo scarto, come usualmente accade, non è riuscita perché la povera Giulia si è sottratta al controllo di colui che confesserà di averla uccisa, a seguito dell’incontro con l’altra fidanzata di lui, impigliata nello stesso inganno e soggetta allo stresso abuso.
Molto si è parlato del reo confesso, del suo profilo personologico e si è assistito all’usuale, quanto dannosa e sbagliata mostrificazione dello stesso, causata dall’indignazione che il suo comportamento crudele ed indifferente fin dopo l’arresto ha suscitato nell’opinione pubblica e invece troppo poco ci si è interrogati circa la dinamica gravemente fraudolenta che costui aveva messo in atto nel giocare con le vite di due ragazze, entrambe rimaste incinte, che muoveva come pedine a lungo inconsapevoli su quella scacchiera cosparsa di indegnità su cui si agisce la dinamica perversa e così gratificante per i predatori affettivo-relazionali, che è la relazione tossica.
Questi legami avvelenati, che sono la culla dei maltrattamenti non solo intrafamiliari e del femminicidio, sono divenuti un cancro sociale e la ragione dell’aumento della soppressione di donne nell’ambito della coppia e della famiglia, come i dati Istat mostrano chiaramente (94% delle vittime del 2023, contro il 66% del 2005).
Cosa si fa per arginare le relazioni tossiche? Nulla. Eppure, la pallina a monte, che si dovrebbe intercettare per evitare la valanga a valle, è proprio lì in quel plagio sistematico e sistemico del love bombing con il quale i predatori affettivo relazionali invischiano fraudolentemente chi hanno puntato, per poi vessarlo, maltrattarlo, sfruttarlo, derubarlo e diffamarlo finché non possieda più nulla da depredare, in alcuni casi neanche la vita.
E’ difficile parlare persino di abuso narcisistico tra esperti, perché vi è una agguerrita fazione che allude a sproposito allo stigma della malattia mentale, quando il termine è utilizzato in senso aggettivato, riferendosi alla manipolazione attraverso cui viene perpetrata quella che si configura come una forma di violenza tra le più diffuse nel nostro Paese.
La nostra società del resto, insospettabilmente arretrata, che aderisce per quasi il 60% a stereotipi di genere di derivazione patriarcale (dati ISTAT rel. 2018), non è vicina alla donna sotto molti aspetti, soprattutto quelli relativi al sostegno in caso di violenza psicologica e/o familiare.
Oltre agli stereotipi sulla violenza di genere, che sono terrificanti e che ho dettagliato in vari articoli (Femminicidio perché; O l’anima o la vita: educare a fuggire dal predatore affettivo) , vorrei soffermarmi sul Victim Blaming massiccio che la donna subisce in questi casi, che io tradurrei per semplicità come la cultura del “guai ai vinti”, per cui la donna viene incolpata sia di essere stata ingenua, credulona, fragile, sia per aver sviluppato una dipendenza affettiva nella relazione che la scienza ha indicato essere invece causata e/o amplificata dai cicli di abuso, o ancora colpevolizzata per forme di disagio psicologico che non le hanno consentito di sottrarsi al giogo dell’abusante, determinate tipicamente da traumi subiti durante l’infanzia.
A me questo atteggiamento richiama alla mente il Blame shifting del predatore affettivo relazionale che sposta la colpa di qualunque problema sul/sulla partner.
Che strano…
Per non parlare di ciò che accade nei circuiti in cui la donna vittima di abusi comincia a chiedere aiuto: vengono riferite
interpretazioni della violenza in termini di ragazzata, richieste di dettagli, inviti a domandarsi se si è proprio sicure di quel che si dice perché, si sa, le donne sono così emotive, ma non è che per caso lui non intendeva, non pensava, non c’era, non era nemmeno quella volta lì?
Un chiaro esempio di gaslighting, quel maltrattamento erosivo della personalità che mira ad invalidare la percezione di chi lo subisce fino a fargli dubitare di sé e delle proprie percezioni, persino di ciò che vede accadere davanti ai suoi occhi. Il cavallo di battaglia dei manipolatori, il fulcro della relazione tossica.
Che strano…
E tutt’attorno, l’opinione generale come accoglie la donna che subisce una vessazione?
“Se l’è cercata”, “I panni sporchi si lavano in famiglia”, “Non è stata al posto suo”, “Deve essere paranoica, lui è cosi carino”, “Non lo lascia, si vede che le piace soffrire”, “E’colpa sua, lo vedi come si veste”, “Lui ha perso la testa, del resto lei fa come le pare”.
Rumors che riassumono quanto detto finora.
E la prevenzione della violenza? Sempre e soltanto orientata ad addestrare le ragazze a difendersi dai malintenzionati; mai che si parlasse di educare il maschile a rispettare le donne nel loro autodeterminarsi.
Un caso? Certo che no.
Come potrebbe una società narcisistica dell’immagine come la nostra, che si poggia su una cultura che negli ultimi decenni ha selezionato tratti narcisistici nei bambini (come preconizzò Christopher Lasch dal 1979 ne “La cultura del Narcisismo) favorendo legami di attaccamento perturbati e stili educativi disfunzionali, ammettere di aver sbagliato, quando tutto questo è stato strutturato al fine di abituare i piccoli a competere, fin dalla più tenera età, perché le risorse non ci sono per tutti?
Perché combattere gli stereotipi di genere, quando il pensiero generale riflette una pervicace misoginia che vuole la donna negli unici ruoli in cui la si valida, ossia quelli di nutrice, moglie e madre muta o oggetto del desiderio, che trovano con modalità diverse la propria ragione di esistere nella ratifica da parte dell’uomo?
Ma soprattutto, perché combattere la cultura del narcisismo quando il narcisismo patologico è una “malattia del potere” a prevalenza maschile e molti di coloro che ne sono affetti raggiungono posizioni socio-economiche elevate e di prestigio, dalle quali si guardano bene di riconoscere le ragioni di una donna percepita come pericolosa e combattiva che si riesce a controllare ormai solo con la bassa occupazione e con la tossicità nelle relazioni.
Anche il Dr. Fabio Roia, valente magistrato di Milano che si batte contro la violenza di genere, rilevava, dopo il femminicidio di Giulia Tramontano, come dopo l’ondata emotiva che segue i delitti più atroci, la società non sia vicina alle donne: evidenza che, in quanto curante e divulgatrice, constato da anni.
Dunque, mi appello ai politici affinché approvino una legge contro l’abuso relazionale e la manipolazione fraudolenta, tenendo conto che ci si deve sforzare tutti di remare in un’altra direzione rispetto a quella in cui ci troviamo, perché la cultura del narcisismo non favorisce solo la violenza di genere, ma anche dissennati protagonismi che, accompagnati a comportamenti incuranti della sicurezza propria ed altrui, danno origine a tragedie come quella appena accaduta a Roma, per cui un quartetto di Youtubers, carichi di quel consenso quantitativo e gassoso ottenuto a colpi di followers, sono piombati con un bolide su una piccola vettura guidata da una mamma accompagnata dai suoi due piccoli figli, provocando la morte del bimbo più grande Manuel, di soli 5 anni di età.
Ragazzi ammirati e seguiti da centinaia di migliaia di coetanei, che deridevano con arroganza nei loro video i proprietari di utilitarie e che, ad incidente appena accaduto, tra lo strazio generale, con il bimbo morente tra le lamiere, la mamma e la sorellina del piccolo gravemente ferite, continuavano a filmare con gli smartphone senza mostrare un senso di responsabilità elementare e soprattutto alcuna empatia e rimorso, a tal punto che uno di loro, secondo un testimone, tranquillizzava, con grandiosità onnipotente, un astante disperato circa la grande entità dell’indennizzo economico che avrebbero provveduto a corrispondere alla famiglia coinvolta nel sinistro. Come se si potesse ripagare in denaro la perdita di un figlio in tenera età e la “fine pena mai” del dolore immenso arrecato ai genitori, alla sorellina e ai parenti tutti del piccolo Manuel.
Atteggiamenti e comportamenti, quelli delineati, che si ritrovano anche nel disturbo narcisistico di personalità. Che strano…
Nome degli Youtubers? The Borderline, che tradotto letteralmente può significare “coloro che si trovano o si spingono al limite”, ma che può alludere a chi è affetto da una patologia mentale del raggruppamento cui appartiene lo stesso disturbo narcisistico di personalità.
Che strano.