Dirty Difficult Dangerous di Wissam Charaf, imposta la realtà nei confini della fiaba, aggangiandosi alla sostanza dei sogni fino a trascendere le tensioni sociali e politiche nel pathos sentimentale.
È in questo orizzonte che si esprime il secondo lungometraggio del franco-libanese Wissam Charaf, Dirty Difficult Dangerous, che nel 2022 ha vinto il Premio Label Europa Cinemas come Miglior Film Europeo, a Venezia 79.
Questa è una storia d’amore clandestina nella Beirut di oggi, tra denuncia sociale e favola.
Charaf, franco-libanese, conosce bene la realtà del suo Paese.
Wissan evoca il cinema del palestinese Elia Suleiman, per via dello spaesamento indotto nello spettatore e di interventi surreali onirici – visivi e sonori – maneggiando materie infiammabili come il conflitto aperto siriano, le discriminazioni razziali, l’immigrazione, le mutilazioni, le guerre etniche.
Una Beirut contemporanea, segnata dal traffico di esseri umani dal rumore di fondo delle guerre in cui vive l’amore tra Ahmed (Ziad Jallad), rifugiato siriano, e Mehdia, (Clara Couturet) immigrata etiope, vissuto in clandestinità per i contraccolpi delle discriminazioni.
Lui vende metalli riciclati e ha una misteriosa malattia e lei è costretta a vivere in una condizione che rasenta più la servitù che un lavoro, trascorre le sue giornate chiusa a chiave nella casa della famiglia che la ospita, occupandosi di un anziano imprevedibile a causa dei suoi violenti attacchi di demenza senile.
Ahmed è un rifugiato siriano che, non riuscendo a trovare lavoro a causa delle discriminazioni, si arrabatta rivendendo pezzi di metallo e ferraglia che trova in giro o di cui la gente vuole liberarsi.
Lei sogna datori di lavoro che non la trattino da schiava.
I due non hanno nulla da perdere, quindi fuggono nella speranza di costruirsi una vita migliore.
Charaf , descrive la decadenza morale dei padroni di casa e il razzismo che investe chi scappa da tragedie indicibili, e trova nella tenerezza che è l’antidoto alla crudeltà, nella fuga nell’altrove che non è disinteresse per il qui e ora.
I due sono trattati come oggetti. Mehidia non ha quasi nessun diritto, viene acquistata dall’Etiopia da una donna libanese che, con la scusa di averla accolta e trattata come una figlia, ha su di lei un potere decisionale assoluto, forte del fatto che in qualsiasi momento può contattare il capo di lei e sostituirla con un’altra disperata in cerca di asilo, scelta direttamente da un catalogo che è un campionario di oggetti umani.
L’amore narrato è fatto di baci rubati e attimi fuggenti, furtivo e romantico in sintonia con la Novelle vague.
Costruito per immagini che rivelano la volontà di denuncia lo sfruttamento professionale e il rigetto fisico, e il desiderio di fuga, è un film piccolo e così caldo e istintivo da appassionare.
Ahmed e Mehdia, sono bellissimi, affettuosi si curano l’un l’altra. Ahhed si porta sulle spalle Mehdia che per scappare dalla terribile famiglia schiavista si è fatta male ad una gamba.
Mehdia cura il braccio tutto nero del metallo che prende possesso del corpo di Ahmed.
Si amano e si proteggono a vicenda.
L’occasione per cambiare vita arriva dalla concomitanza di due eventi: Mehdia viene selezionata come vincitrice di un soggiorno in una spa di lusso e contemporaneamente il corpo di Ahmed comincia a espellere una strana polvere ferrosa che inizia a ricoprire il suo braccio destro.
Siamo come in una favola in cui i corpi mutano, come quello di Ahmed, Roma che è destinato a diventare un uomo di metallo, e dove il caos del mondo assume i contorni del sogno.
L’amore VINCE.
Adriana Moltedo
Esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Ceramista, Giornalista, Curatrice editoriale, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità. Scout.