Dopo un periodo di letargo, Dirce si sveglia e ritrova se stessa…:)
Dirce Scarpello, brindisina del ’65, con madre magliese con molto sangue toscano nelle vene, vive pero’ nel capoluogo pugliese a tutti gli effetti.Queste origini la rendono una barese ‘spuria’ e spiegano forse perché non sia troppo addentro all’anima della città ma piuttosto ai luoghi dove ha trascorso le vacanze da piccola, la zona dei trulli del fasanese e le spiagge relative. Sposata da 21 anni ha 2 figli. Diventa imprenditrice e scrittrice a 40 anni.
Che studi hai fatto?
Sono laureata in giurisprudenza ed ho l’abilitazione sia all’attività forense che all’insegnamento. Ma ho esercitato poco perché mi sono laureata dopo sposata e subito dopo la laurea ho avuto la prima figlia. Ho smesso di lavorare perché mio marito faceva e fa tuttora un lavoro che lo porta a stare molto fuori di casa, l’agente di commercio, e anche volendo affidare la bambina a mani estranee ( per loro problemi di salute non ho potuto contare sui nonni materni e affidare la piccola alla suocera in pianta stabile non era cosa pensabile) essendo agli inizi avrei dovuto lavorare praticamente per niente, dunque il bilancio economico sarebbe stato in perdita. Inoltre non è che il lavoro da avvocato mi piacesse troppo, c’era troppa differenza tra ciò che avevo studiato e la realtà. Magari avrei dovuto tentare qualche concorso ma ero già legata a mio marito fin da quando avevo 16 anni e dunque non se ne parlava proprio. Così sono stata praticamente in letargo per una decina d’anni ancora. Ho seguito i bambini – dopo cinque anni dalla prima ne è arrivato un altro- nel frattempo nel 2000 ho preso l’abilitazione all’insegnamento ma ormai la scuola era satura. Soprattutto per le lauree in giurisprudenza. Una delle cose di cui mi pento è di essermi laureata tardi, assillata dall’ansia da prestazione. Magari avrei fatto meglio e prima a trovare lavoro laureandomi in regola anche senza prendere 110 e lode. E’ che ero stata abituata male al liceo, andavo bene in tutte le materie e riuscivo a studiare con buoni risultati anche riuscendo a fare allenamento per due ore al giorno. Infatti avevo anche un’anima per così dire’artistica’ : fino a 22 anni ho studiato danza classica a livello semi-professionistico. Ho insegnato anche per un po’, ho fatto qualche spettacolo come compagnia di ballo della stagione Lirica del Petruzzelli, prima che si creasse la Fondazione ma poi ho mollato tutto perché a casa mi pressavano perché trovassi una strada per così dire più ‘normale’. Non avevo soldi da investire: magari se li avessi avuti mi sarei aperta una scuola di danza come hanno fatto molte mie coetanee, sinceramente anche meno brave di me. Ma in quel periodo le scuole di danza chiudevano e si aprivano le palestre: era il boom del body-building e della aerobica. Non c’erano programmi di talent scout e per chi non era veramente al top era una gavetta estenuante tra provini nelle varie compagnie di ballo. Insomma non come adesso in cui cercare e creare dei talenti è diventato un business. Però noi avevamo la passione vera, quella che ti faceva passare le giornate intere ad allenarti senza alcuna reale prospettiva se non un sogno lontano. Ballavi per il piacere di farlo, perché era nelle tua gambe e nel tuo cuore come lo è per un uccello il volo.
Allora? Non hai inseguito la tua passione di danzatrice ma che hai fatto?
Mi sono adagiata nel matrimonio. Sono andata in letargo. Ho letto molto. Ma non quanto avrei voluto. Sono diventata diversa da quella che avrei potuto essere: insicura, tutta presa dai piccoli problemi dei bambini. Poi a quaranta anni mio marito ha avuto bisogno di me per il lavoro. Lui era ed è agente nel settore dell’imbottito e dopo la crisi violenta del settore nella zona di Altamura bisognava inventarsi qualcosa. Le grandi produzioni de-localizzavano all’estero. Abbiamo avuto un contatto in Albania con una fabbrica nascente di salotti. Salotti economici ma di discreta qualità. Quelli che non si producono più in Italia perché verrebbero a costare troppo all’imprenditore e non ci sarebbe mercato. Così abbiamo cominciato ad importarli e a collocarli proprio presso quei mobilifici che dovevano soddisfare tutta la clientela. Io avevo la laurea e potevo fare l’amministratore di società. Anche se non sapevo fare niente. Cominciando a lavorare sono uscita fuori dal bozzolo finalmente. Mi sono resa conto delle mie capacità. Di quello che avevo perso decidendo di non lottare per trovarmi un lavoro all’altezza delle mie capacità, delle mie competenze.
Di pari passo all’attività lavorativa riaffiorava la mia vera personalità che è incasinata, fantasiosa, caotica, disordinata ma soprattutto estroversa.
Quando e perche’ hai cominciato a scrivere?
Da ragazza scrivevo poesie, come tutti. Leggevo molto. Durante la prima infanzia dei miei figli mi ero negata anche quello, con un senso del dovere che mi portava a considerare inutile tutto ciò che non riguardasse strettamente il loro benessere. Poi ad un certo punto ho ricominciato a leggere in maniera compulsiva. E dopo mi sono accorta che non mi bastava più riconoscermi nelle voci degli altri ma volevo cantare anch’io con la mia piccola voce da scricciolo, stonata magari ma solo mia. C’è stata in sottofondo anche una sofferenza personale che mi ha fatto capire come mi ero allontanata da quella che avrei potuto essere, dalle mie potenzialità, come mi ero piegata ad un ruolo familiare che, così com’era mi stava stretto e che non mi portava alcuna gratificazione e anzi quell’annullamento del mio io sortiva l’effetto opposto a quello sperato. Ma le crisi dei rapporti a volte aiutano a capire che bisogna riprendersi in mano la vita e farne quello che si desidera. Ho cominciato a scrivere perché sentivo che era una cosa che sapevo fare bene. Perché mi affezionavo alle storie e ai personaggi come e più che a delle persone vere. Che mi spiegavano tante cose. Per esempio le donne del mio romanzo ‘Angulus Ridet’, sono donne ossessionate dal bisogno di approvazione degli altri. Sono donne estreme, caratterizzate come antitetiche, Lola che si annulla in un amore per un uomo che non le ha mai dato niente e non le darà mai nulla e Violetta che invece non sa amare e non vuole essere amata perché ha deciso che si prenderà tutto quello che può dalla vita ma poi comunque si trova un uomo che la sposi ‘come si fa con tutte le donne per bene’.
Dove hai presentato il tuo libro?
Il libro l’ho presentato a Bari, Roma, Catania, Milano ma sempre in presentazioni organizzate attraverso varie conoscenze. La presentazione più importante è stata proprio quella a Polignano. Tieni conto che il mio editore, pur non essendo un editore a pagamento (Giulio Perrone di Roma) mi ha fatto uscire con una collana di esordienti. Quasi nulla la distribuzione e completamente abbandonata a me stessa per la promozione del libro. Comunque non mi pento perché ho avuto modo di conoscere tanta gente e capire come funziona ( anche con l’occhio disincantato dell’imprenditore) il mondo dell’editoria. E penso che per il prossimo libro saprò fare delle scelte più appropriate. Per esempio cercherò un editore locale (sempre che non ci sia il colpo di fortuna del grande editore, così come ci sono le vincite al superenalotto) che mi sappia promuovere bene in ambito almeno regionale. Roma non fu fatta in un giorno e cominciò come un villaggio.
Le donne di cui sto scrivendo adesso sono donne talentuose che vivono i due mondi diversi. Una, una ragazza albanese straordinariamente dotata per il disegno, non ha i mezzi per coltivare il suo talento e lotterà in mille modi, piegando la sua dignità per riuscire alla fine a seguire l’impulso del suo daimon, l’altra, una donna del nostro mondo che ha un talento analogo- è una brava fotografa- potrebbe farlo, potrebbe coltivare il suo talento ma si perde dietro la paura di fallire perché ha già fallito come donna e come madre mancata.
Il mio sogno nel cassetto sarebbe riuscire un giorno a ricavare dalla scrittura quel tanto che mi bastasse per vivere senza dover far altro che scrivere. Insomma, un’utopia al giorno d’oggi. Mi piacerebbe anche riuscire ad investire qualcosina nel settore, magari una scuola di scrittura o un’agenzia letteraria ma di qualità, non una delle tante. Mah, si vedrà.
Che ne pensi delle statistiche Istat sull’occupazione giovanile?
Beh, io giovane non sono ma ho timore per i miei figli. Saranno forse i primi che staranno sensibilmente peggio dei loro genitori. Non sono una sociologa ma vedo già da adesso che molte giovani famiglie sopravvivono solo grazie all’aiuto delle famiglie di provenienza. Molte famiglie non si formano affatto. Per la verità io oggi non consiglierei ad un giovane, soprattutto ad una ragazza di sposarsi. Perché mi pare che dovrebbe impiegare prima tutte le sue risorse umane e intellettuali per realizzarsi, per avere un lavoro che riesca a darle un po’ di indipendenza. Ho paura che stiamo tornando indietro, proprio per la crisi del mondo del lavoro, alle famiglie monoreddito e questo comporta un regresso nella parità dei ruoli. Non sei trattata da pari se dipendi da qualcuno per ogni tua esigenza materiale. E puoi essere costretta a dover sopportare ciò che non vuoi. In più la società sta ritornando ad essere maschilista, intollerante, ha trasformato il femminismo in un consumo del sesso senza rispetto della dignità. E’ inutile che ci illudiamo: le donne non hanno mai smesso di essere considerate un oggetto solo che prima del femminismo c‘era una bigotta distinzione tra donne per bene e poco di buono e adesso gli uomini pretendono che siano tutte ‘poco di buono’, lo vogliano o meno. In più ti sbattono in tv donne ricchissime, che vanno in posti esclusivi ecc.. perché sono le donnine del vecchio satiro ricco di turno oppure perché fanno servizi fotografici che chiamano artistici. Ieri pomeriggio seguivo un format di rete quattro, mi pare. Prima un servizio in cui si denunciava con allarme sociale il fenomeno delle minorenni che si spogliano e si masturbano in rete in cambio di ricariche telefoniche e poi tutto un blabla dello psicologo di turno sulla mancanza dell’elemento affettivo della sessualità ecc.. e subito dopo un servizio su una modella nicaraguense, mi pare, che viveva in un mega-yatch perché era la donna di non so chi e con un bambino di due mesi (che chissà dov’era) faceva un servizio fotografico seminuda con ortaggi allusivi e pose con evidente messaggio sessuale. Cioè se ti spogli in cameretta sei una sfigata se ti spogli in tv sei una VIP, un personaggio
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