Marco, Guido, Leo, Luisa, Gaelle e Mattia, sono i Sei fratelli, del film diretto da Simone Godano, sceneggiatura firmata da lui stesso insieme a Luca Infascelli. La direzione della fotografia è affidata al francese Guillaume Deffontaines. Prodotto da Groenlandia.
Il cast include Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Gabriel Montesi, Valentina Bellè, Claire Romain, Mati Galey, Linda Caridi e Judith El Zein.
Il film racconta la storia di sei fratelli figli dello stesso padre ma di quattro madri diverse, scava nei rapporti complessi tra i membri di una famiglia allargata e slabbrata.
Quando muore Manfredi Alicante, un padre egoista che si è appena suicidato e quando apriranno il testamento scopriranno di avere una sorella, Luisa, della quale non ne erano a conoscenza.
La lettura del suo testamento li riunisce tutti nella sua grande casa di Bordeaux in Francia.
Una parte del senso del film è enunciato all’inizio, in una frase pronunciata dalla voce fuoricampo del padre morto : “Ora che ‘il cattivo’ è morto, colui a cui davate la colpa della vostra infelicità, cari ragazzi, sta a voi”. Il “cattivo” è un uomo che si è preso pienamente la responsabilità della propria vita (sentendosi libero però da quella delle vite altrui, figli compresi) e anche della propria morte.”
Sei fratelli è un racconto borghese dal taglio corale che inizia quando Manfredi Alicante, seduttore, avventuriero, imprenditore, patriarca di una famiglia sparsa tra l’Italia e la Francia muore ed i suoi figli sono costretti a fare i conti con la loro eredità.
Hanno avuto con il loro padre un rapporto spesso conflittuale e proprio il giorno dell’apertura del testamento che li lascerà con un pugno di mosche e i fratelli saranno chiamati ad appianare le loro divergenze per discutere la gestione della legacy del patriarca, divenendo, anche loro adulti.
Questa riunione forzata fa riemergere tutti i conflitti e i dissapori che hanno tenuto lontani i sei fratelli durante tutti questi anni.
Sei fratelli guarda al Muccino di A casa tutti bene, con il suo gruppo di personaggi costretto a parlarsi, a confrontarsi, perché bloccato in un luogo inospitale.
Una rigidità di fondo che non fa respirare i suoi personaggi, già evidente dall’artificioso monologo che apre il racconto.
Quando era ancora in vita, Manfredi sognava di lasciare una famiglia unita e in pace dopo la sua morte.
Ma la sua era solo un’illusione, ognuno dei suoi figli porta con sé un bagaglio fatto di rancori e incomprensioni, e rivivere il passato si rivela fonte di grande sofferenza per tutti.
A ogni componente viene assegnato dagli altri un ruolo, e spesso ci si adagia a dare vita a quella maschera assegnata, anche se non corrisponde alla propria reale natura, in un gioco di comodo per tutti: il figlio timido, l’atro scapestrato, quello affidabile, quello saggio che si adopera per sanare i conflitti tra gli altri ecc. a mano a mano che la convivenza forzata va avanti.
Si fa fatica a trovare un barlume di verità. Forse emerge davvero solo in coda, nella bella sequenza al laser game, probabilmente il momento più sentimentale e sincero del film.
Adriana Moltedo
Esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Ceramista, Giornalista, Curatrice editoriale, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità. Scout.
.