“L’arte della gioia”
Sembra che negli ultimi anni la riscoperta delle scrittrici, italiane e non, sia un fenomeno consolidato. L’impressione però è che questa riscoperta delle scrittrici stia diventando un trend fine a se stesso, privo della necessità di approfondire quello che le loro personalità e le loro opere hanno davvero significato nella storia della letteratura.
Cento anni fa nasceva Goliarda Sapienza, scrittrice meravigliosa, ignorata in vita e riscoperta solo dopo la morte; personalità poliedrica e complessa, è considerata una delle scrittrici più significative della letteratura italiana del Novecento, ed è ricordata per il grande successo del suo romanzo, pubblicato postumo, L’arte della gioia.
Goliarda Sapienza nasce nella Civita di Catania il 10 maggio 1924. I suoi genitori – la nota sindacalista lombarda Maria Giudice e Giuseppe Sapienza , un avvocato socialista – si conoscono quando sono entrambi vedovi e quarantenni, con tre figli l’uno e sette l’altra. La loro intesa è sia sentimentale che politica: dirigono il giornale «Unione» e partecipano attivamente alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia, nel biennio 1920-22, durante il quale il figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo Sapienza, viene trovato morto affogato in mare, presumibilmente ucciso dalla mafia, che difendeva gli interessi dei proprietari terrieri.
Maria fu una figura fortissima e fondamentale per Goliarda: prima dirigente donna della Camera del lavoro di Torino, arrestata più volte durante manifestazioni e proteste, sosteneva che il suo dovere di socialista fosse superiore a quello di madre.
Così Goliarda cresce circondata da fratelli e sorelle amatissimi che, come lei, devono fare di necessità virtù. E’ stato il fratello maggiore Ivanhoe ad allattarla, servendosi di un biberon, e non sua madre, che quando nacque Goliarda sfiorava già la mezza età; lo stesso Ivanhoe che si occupò della sua educazione, dandole da leggere Dostoevskij e Kuprin e I miserabili prima ancora del suo ingresso al liceo.
Nella Civita si poteva fare ogni tipo d’esperienza e ogni tipo di lavoro: così Goliarda inizia a fare l’aiutante di un mastro puparo, Insanguine, che le insegna l’amore per la lettura e anche per il teatro; “Leggevo tutto il giorno, […] leggevo e imparavo a memoria tutti i lavori teatrali che trovavo per casa. La notte poi li recitavo da sola facendone tutte le parti, come i pupari. Il commendatore Insanguine mi aveva detto che, solo facendo tutte le parti come il puparo, si imparava a conoscere i personaggi diversi da noi. Imitando le loro voci, ora da uomo ora da donna, ora del vile ora del valoroso, si diventava attori veri.”
Il nome ricevuto dal fratello morto tre anni prima della sua nascita è solo uno dei “pesi” dell’infanzia di Goliarda, segnata dalla morte di altri tre fratellastri, poco più che adolescenti; dalla sempre maggiore sofferenza e instabilità mentale della madre antifascista e idealista; dalla vitalità e passionalità del padre che non vuole rinunciare a nessun piacere della vita: ha molte donne, si dedica con fervore al suo lavoro di “avvocato del popolo”, ed è molto amato da tutti, in un’epoca difficile come quella fascista.
Fra i vicoli della Civita, Goliarda avrà la sua prima esperienza amorosa e sessuale con l’amica Nica e certo non poteva sapere che quella sua amica, che di libri e musica e teatro non sapeva proprio nulla, in realtà non era una semplice ragazzina del quartiere, ma sua sorella, figlia illegittima del padre Giuseppe.
Le doti artistiche di attrice, ballerina, cantante e affabulatrice della parola emergono fin da quando Goliarda è bambina ed adolescente accompagnate però da una salute precaria e l’insorgenza di malattie lunghe e gravi, come la difterite e la TBC.
Amante del teatro, il padre Peppino la sostiene con grande fiducia iscrivendola, a sua insaputa, all’esame di ammissione per entrare all’Accademia di Arte Drammatica di Roma diretta da Silvio D’Amico e Goliarda nel 1943 si trasferisce con la madre a Roma.
L’euforia di poter accedere alla scuola d’arte drammatica più illustre d’Italia si sostituisce presto alla sofferenza di essere stata ammessa con riserva: il talento c’è, ma prima della fine dell’anno, allo scadere di tre mesi, deve dimostrare di aver saputo correggere la sua disastrosa pronuncia siciliana. Quel che sembrava in apparenza impraticabile diviene possibile grazie alla sua incrollabile volontà: fare l’attrice le piace perché attraverso la recitazione può esprimere la pienezza e contraddizione del suo animo, ma non le piace il mondo falso in cui spesso vivono attori e attrici di successo. Alla fine del corso non si diploma e, contestando gli insegnamenti retrogradi dell’Accademia, forma una compagnia di avanguardia insieme ad altri ex studenti contestatari, attratti, come lei, dal metodo Stanislavskj.
Nel 1946 incontra il regista Citto Maselli esponente del Partito comunista e celebre regista neorealista per il quale è stata attrice, sceneggiatrice, assistente alla regia e molto altro. Insieme girano sessanta documentari. Quando si conoscono lui ha 16anni (anche se ne dichiara 18), lei 23. Ha inizio una relazione fortissima, simbiotica, ma aperta a nuovi incontri, durata oltre 18 anni, e che, anche dopo la sofferta separazione, si trasformerà in una sincera amicizia.
Il bisogno di esprimere se stessa attraverso la scrittura emerge per Goliarda in seguito all’evento tragico della morte della madre, avvenuta il 5 febbraio 1953. Il distacco da Maria segna profondamente Sapienza conducendola a una ricerca quasi ossessiva dell’immagine materna, in un processo di recupero memoriale che marca in modo costante il suo stile narrativo. È Citto che l’ha convinta a scrivere colpito, appunto, da una sua poesia sulla morte della madre.
Finita la storia con Citto Maselli inizia per Goliarda la stagione della fame creativa e della solitudine. Ha relazioni – quasi sempre platoniche – tra cui un breve incontro con Milan Kundera. Questo digiuno amoroso si romperà solo con l’incontro con Angelo Pellegrino, professore di lettere di vent’anni più giovane, che sposerà e che la sosterrà nella lunga genesi e stesura del suo capolavoro: L’arte della gioia.
Prima di diventare scrittrice la vita di Goliarda è intensa. Frequenta ambienti esclusivi e lavora, oltre che con Maselli, con registi come Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini e Luchino Visconti, prendendo parte attivamente alla corrente del neorealismo italiano, luogo per eccellenza di partecipazione civile, politica e morale di quel tempo. Vivendo direttamente, ma in maniera critica, il mondo artistico, impara a riconoscerne le contraddizioni e a costruirsi una personalità propria, che la scrittura letteraria fa emergere in tutta la sua potenza.
Ma il suo animo, provato emotivamente da grandi entusiasmi e grandi disfatte, tra crisi depressive e alcool la porta a tentare il suicidio: dapprima nel 1962 (in seguito al quale subisce una serie di elettroshock) e poi nel 1964. Dal coma che ne consegue Goliarda traghetta in tutt’altro luogo esistenziale rispetto all’ambiente di intellettuali, artisti e “cinematografari” che per tanti anni aveva esercitato su di lei un grande fascino.
Lettera aperta , racconto autobiografico,viene pubblicato nel 1967, candidato al Premio Strega dal poeta Attilio Bertolucci e da Natalia Ginzburg, e consigliato come libro dell’anno da Elsa Morante sul Corriere letterario; un successo che la spinge, nel 1969, a dare alle stampe Il filo di mezzogiorno, resoconto dell’esperienza psicoanalitica.
Nel periodo che va dal 1969 al 1976 Goliarda si rinchiude nella casa di Gaeta e trascorre le sue giornate nella creazione del suo unico personaggio di finzione, Modesta, una donna libera sessualmente, ideologicamente e politicamente – dando vita alla stesura del suo grande romanzo, L’arte della gioia.
Goliarda Sapienza aveva ottenuto anche una certa notorietà sui giornali perché nel 1980 era stata arrestata per aver rubato dei gioielli a casa di un’amica ricca e nobile, e aveva passato alcuni giorni nel carcere femminile di Rebibbia; questa esperienza, ispirò un suo breve libro L’università di Rebibbia, pubblicato nel 1983 da Rizzoli di cui Sapienza parlò anche in televisione in una trasmissione di Enzo Biagi dove viene invitata poco dopo il periodo trascorso in carcere, di cui scontò soltanto due mesi dei quattro che le erano stati assegnati con la condizionale. “Le mie più grosse amiche adesso sono persone che entrano ed escono dal carcere”, tentò di spiegare anche a Enzo Biagi e ai suoi ospiti, tutti uomini, tra cui il sociologo Giulio Salierno e il magistrato Adolfo Beria d’Argentine. “Ah, quindi lo descrive come un centro cura e soggiorno”, “Un congresso d’artisti!”, la incalza il conduttore mentre gli altri sogghignano e lei prosegue, imperturbabile: “A casa mia si diceva che il proprio paese si conosce attraverso il carcere, l’ospedale e il manicomio. Quindi in carcere bisognava andarci”
Scritto tra il 1967 e il 1976, L’arte della gioia, il lungo e avvincente romanzo di Goliarda Sapienza, è uno di quei libri che prima di essere letti e apprezzati da un gran numero di persone sono stati a lungo ignorati e rifiutati da molte case editrici. Non fu mai pubblicato interamente durante la vita della sua autrice, di cui quest’anno ricorre il centesimo anniversario della nascita.
La storia di Modesta, protagonista dell’ultima opera di Goliarda Sapienza, è un turbinio di emozioni umori da cui è difficile staccarsi: un personaggio che volteggia e ricade nel noi, nel loro, che ama, lotta, uccide, che è uomo e donna, vittima e carnefice; l’esorcismo che Goliarda opera sulla sua esistenza trova forma nelle pagine di Modesta, reinventando e reinterpretando la sua vita in nuove, variopinte direzioni. Non sappiamo se Goliarda Sapienza abbia studiato Nietzsche, ma nella lettura del suo L’arte della gioia si scorge nei tratti caratteriali di Modesta, la protagonista, il profilo di un’eroina nietzschiana, al di là del bene e del male.
Ma Modesta – almeno per un po’ – è destinata all’ombra: le case editrici rifiutano il manoscritto perchè Modesta irrompe in un mondo letterario che non è preparato al fatto che le donne si masturbino, che possano desiderare altre donne, che possano desiderare gli uomini e le donne. Che non piangano quando le sorelle e le madri muoiono. Che, per essere felici, uccidano.
Il libro è ambientato in Sicilia, l’isola a cui la scrittrice rimase sempre molto legata. All’inizio della storia la protagonista, Modesta, nata il primo gennaio 1900 (lo stesso della morte di Nietzsche), è una bambina povera e analfabeta, abusata sessualmente dal padre che scatena un incendio, in cui periscono la madre e la sorella; successivamente, in un qualche modo, causa la morte delle sue due tutrici; è affezionata al figlio disabile di una delle due ma lo sposa per ottenere il titolo nobiliare che così le viene garantito; fuori dal matrimonio, ha un bambino dal fattore Carmine e una relazione con il figlio di quest’ultimo; ama appassionatamente uomini e donne, cresce i figli suoi e quelli altrui, in una casa comune che è uno spazio di transito tanto quanto il luogo del radicamento di una grande famiglia che oggi potremmo definire “queer”.
Sembrerebbe il replicarsi della sua famiglia di origine in cui lei e i suoi fratellastri e sorellastre sono cresciuti soli, in mezzo agli altri, ospiti in casa di amici e parenti, in un’ideale di famiglia allargata. Mano mano che la storia di Modesta si sviluppa la si vede trasformare in un’intellettuale e matriarca in uno scorrere di omicidi, un’istruzione in convento, numerose relazioni sentimentali e sessuali con uomini e donne, lotte politiche e giornalistiche.
Le ambiguità, apparentemente in contrasto nella sua vita, sono rese coerenti da una pulsione all’autodeterminazione, in cui non c’è traccia di moderazione, semplicità, né mediocrità. Modesta, è luce e tenebra, affascinante e tremenda, capace di una generosità vertiginosa ma allo stesso tempo mai dimentica di sé, delle sue pulsioni e dei suoi anche brutali desideri. Anche quando parla di sessualità, matrimonio e figli il suo punto di vista è sempre così anticonvenzionale da rifuggire persino le idee del femminismo, come ideologia politica di quegli anni, con cui anzi l’autrice finisce per essere – a volte – in conflitto.
Sia in Francia che in Italia è stato detto che la ragione per cui il romanzo non venne pubblicato quando Sapienza lo propose agli editori era legata agli aspetti “scandalosi” della trama, alla bisessualità e all’erotismo della protagonista, ma anche ai vari matricidi. Tuttavia, la traduttrice dall’italiano Nathalie Castagné, apprezzò moltissimo L’arte della gioia e insistette perché fosse pubblicato anche in francese.
La traduzione in francese di Castagné uscì nel settembre del 2005, grazie a un’editrice francese – Viviane Hamy – proprietaria della piccola casa editrice omonima, con una copertina su cui compariva un ritratto di Sapienza da giovane, e in contemporanea uscirono numerose recensioni positive sui giornali francesi, a partire da Le Monde . Solo nei successivi quattro mesi furono vendute più di 76mila copie del romanzo, un risultato notevole per un’autrice morta e sconosciuta in Francia, sebbene probabilmente la fama di “romanzo maledetto” e l’eccentricità della biografia di Sapienza avessero contribuito al marketing.
A quel punto la storia del libro e della considerazione della sua autrice cambiò. Solo dopo essere diventato un caso editoriale in Francia nel 2005, nove anni dopo la morte di Sapienza, ricevette grandi attenzioni anche in Italia e nel 2008 fu infine pubblicato da un grande editore, Einaudi.
Da allora, anche gli altri libri di Goliarda Sapienza sono tornati nelle librerie in nuove edizioni e sono stati analizzati da un gran numero di studiose di letteratura e questioni di genere, insieme a quella di altre autrici novecentesche trascurate per molto tempo. L’arte della gioia è diventato un longseller, cioè un libro che continua a essere acquistato in modo continuativo: nell’ultimo decennio ne sono state vendute più o meno 10mila copie ogni anno. E prossimamente potrà essere conosciuto da un pubblico ancora maggiore perché l’attrice e regista Valeria Golino ne ha tratto una serie tv, prodotta da Sky, che sarà proiettata anche al cinema.
Nel 1994 Sapienza venne intervistata per la Rai da Anna Amendola e Virginia Onorato, per la serie di documentari Soggetto Donna e alcuni suoi amici provarono a farle ottenere il vitalizio pubblico previsto dalla legge Bacchelli per il sostegno a cittadini che si siano resi meritevoli in ambito scientifico, culturale, sportivo o sociale e che si trovino in stato di necessità economica. Non ci riuscirono. Il 30 agosto 1996 Goliarda Sapienza morì improvvisamente nella sua casa di Gaeta, in provincia di Latina, stroncata da un attacco cardiaco nel 1996, lasciando la sua nemesi di carta richiusa in un cassetto.
Loredana Rotondo, regista della Rai e una delle autrici del celebre Processo per stupro, dopo la lettura de L’arte della gioia commissionò un documentario su Goliarda Sapienza alla regista Manuela Vigorita: Goliarda Sapienza, l’arte di una vita venne trasmesso su Rai Educational nel 2002, all’interno del programma Vuoti di memoria, dedicato a persone rilevanti del Novecento a rischio di essere dimenticate nell’immaginario collettivo e, di conseguenza, impedendo che questo libro rimanga confinato nello scaffale dedicato alla “letteratura femminile”, semplificando la vicenda e l’opera di questa scrittrice dalle mille sfaccettature. “L’arte della gioia“, è un invito a conquistarsi la libertà e il piacere – e a difenderli strenuamente.