Maggie S. Lorelli, docente, musicista e scrittrice si presenta a dol’s magazine raccontando come una donna possa conciliare più attività in un paese in cui le attività artistiche sono poco valorizzate
Segui molte attività oltre ad essere giornalista e scrittrice. Ce ne vuoi parlare?
In realtà, il mio mestiere primario, quotidiano, è quello della docente in un Liceo Musicale. Scrivere libri e occuparmi di giornalismo sono due grandi passioni che ho sin da molto piccola, e a volte penso che ognuno di queste andrebbe esercitata full time, ma spesso non è possibile. Mi piacerebbe molto svegliarmi al mattino e mettermi a scrivere, e avere davanti l’intera distesa della giornata per elaborare le idee, i piani narrativi, considerando che, trattandosi di un’attività creativa, bisogna prevedere anche i tempi morti di elaborazione, contorcimento delle budella e frustrazione da foglio vuoto.
Per me, infatti, la scrittura è un’attività difficile, lenta, lunga, tormentata e travagliata. Mi trovo quindi, esercitandola nei ritagli di tempo e spesso di notte, a fare il quadruplo della fatica. A volte mi sembra di vivere tre o quattro vite insieme. Naturalmente in un mondo normale, quello dello scrittore sarebbe un vero e proprio mestiere come gli altri, ma questo nell’epoca attuale è un lusso che solo in pochi si possono concedere.
Hai tempo per insegnare? È difficile insegnare musica oggi?
Piuttosto dovrei chiedermi se trovo il tempo per fare altro oltre che insegnare. Erroneamente si crede che quello dell’insegnante sia un mestiere che lascia un po’ più di tempo libero rispetto ad altri lavori, ma non è così. Avendo a che fare con le giovani anime, con gli adolescenti, è un lavoro delicato, critico, che assorbe molte energie, di quelli che uno si porta a casa, perché c’è sempre qualcosa da fare: correggere dei compiti, predisporre dei power point, preparare le lezioni, espletare le necessità burocratiche. E sì, lo considero difficile perché si formano i giovani alla professione di musicista che, come quella dello scrittore e, in generale, tutte le professioni artistiche, che non garantisce automaticamente una piena realizzazione e un futuro lavorativo.
Nel percorso di studi ci si può rendere conto che non si ha una sufficiente predisposizione, o una sufficiente passione. O la determinazione, la pazienza, il coraggio necessari a portare avanti gli studi musicali, che sono molto lunghi e non privi di ostacoli. In generale noto che le nuove generazioni sono sempre meno disposte a fare dei sacrifici e a tenere duro. Fare il musicista classico di professione richiede un’abnegazione notevole e la disponibilità a studiare sodo per tutta la vita.
Hai scritto due libri: The Human Show e HYBRIS. Ce ne parli?
Sono sangue del mio sangue e, appunto, frutto delle mie fatiche. Nascono da una necessità espressiva forte, e dalla convinzione che, di questi tempi, non sia molto comune scambiare delle idee e trovare punti di condivisione se non per caso. Mi capita a volte durante i miei lunghi viaggi in treno o in aereo di sentirmi in totale sintonia con degli sconosciuti riguardo alle mie idee.
Oggi la piazza di dibattito, il foro, è la rete e, in particolare, i social. Ebbene, nell’illusione di un collegamento con migliaia di persone, non è mai stato più difficile comunicare. Capita di lanciare nel vuoto pensieri sparsi, idee elaborate negli anni, spunti di discussione, ma per lo più suscitano il gelo social, nessuno sembra farci caso. Se invece si posta un cocktail con un’amica, improvvisamente centinaia di persone sono pronte all’apprezzamento e all’elogio del niente. Se non scrivessi il groviglio dei miei pensieri mi porterebbe all’implosione. I due libri hanno un tema comune che è quello dell’omologazione e della manipolazione di massa.
Pongono un forte accento su alcuni temi di cui non si discute abbastanza, come la ricezione e le conseguenze delle nuove tecnologie, e parlano di come i cambiamenti sociali sono affidati agli atti di coraggio dei singoli di cantare fuori dal coro, che peraltro canta sempre la stessa Canzone, banale e stonata.
Scrivi spesso di musica: i musicisti vogliono scrivere…
Scrivo di musica perché sono una giornalista musicale e perché, parallelamente agli studi musicali, mi sono laureata in Lettere ad indirizzo musicologico specializzandomi in Storia della Musica. Direi che non sia molto comune. Per la mia esperienza di 18 anni di studi musicali in tre Conservatori d’Italia, i musicisti di solito non vogliono scrivere e, anzi, spesso sono troppo chiusi nel recinto strumentale che capisco assorba, come dicevo, la maggior parte del tempo e delle energie, richiedendo una formazione perenne, ma è un nostro preciso dovere di umani calati in una realtà storico-sociale, dare il nostro contributo, e dunque informarci, leggere e documentarci anche su altro che non sia la musica.
Il problema è sostanzialmente questo, salvo illustri e illuminanti eccezioni: i musicisti non scrivono e i non musicisti, purtroppo, scrivono di musica spesso in una maniera non competente. Ci sono tuttavia, e ci sono stati, ottimi esempi di musicisti intellettuali che hanno avuto molto da insegnare anche su un piano culturale e umano.
Quando è importante la presentazione in libreria per il successo di un libro?
In un’epoca in cui non si legge molto, e si tende a comprare i best seller o i libri di autori molto noti, e non necessariamente scrittori, ma magari attori o cuochi, le presentazioni dei libri di autori minori e non sponsorizzati sono fondamentali. L’autore o l’autrice ha la possibilità di farsi conoscere, e soprattutto di dialogare con il pubblico riguardo ai temi e alle idee espresse nel libro.
È necessario: il libro non si vende da solo, ha spesso bisogno della spinta del suo creatore. Secondo me è importante anche che le presentazioni vengano fatte non solo nelle librerie (che rimangono a mio parere importanti presidi culturali, luoghi di resistenza sociale), ma anche in luoghi di socialità altri, come i centri culturali, le sedi delle associazioni, ma anche, perché no, nei luoghi di ritrovo più conviviali, perché se i lettori non vanno dai libri, devono essere i libri a raggiungere i lettori e proporsi, sperando di convincere, stimolare, sedurre e indurre alla lettura.
Hai una grande attenzione per le donne e stai portando avanti un progetto per le compositrici. Ce ne vuoi parlare?
Certo. Da anni mi occupo, nel mio piccolo, della riscoperta e valorizzazione delle musiche delle compositrici. Nella conoscenza dell’uomo/donna comune, le compositrici nella storia della musica, e parlo eminentemente di musica classica, non sono note quanto gli uomini, pur essendo loro pari, su un piano di maestria, di estro e di talento compositivo.
Molte compositrici sono state ostacolate non solo nella loro carriera ma anche nell’atto stesso del comporre, distolte da un’attività considerata soprattutto di pertinenza maschile, relegando invece le donne ad ambiti ritenuti a loro più consoni, come quelli domestici o di cura familiare. Il cammino per la parità di genere naturalmente, soprattutto nel secolo scorso, ha portato a grandi risultati, ma secondo me siamo ancora molto indietro e c’è ancora molto da fare. Sento spesso il pregiudizio anche su di me in quanto donna impegnata in ambiti culturali.
Poiché sono pianista ho occasione di svolgere dei reading-concerto in cui racconto le storie di alcune musiciste della storia e ne eseguo le opere. Si tratta di un progetto che ha sempre un buon riscontro presso il pubblico e che intendo ampliare, corredandolo di una pubblicazione a cui sto lavorando.
Che libro stai oggi scrivendo ?
Ho iniziato da un po’, mentre intanto continuo a portare in giro le mie due creature con le presentazioni, a portare avanti in parallelo (svolgendo diverse attività questa per me, ahimè, è la norma) più libri. Ci metterò un po’, ma spero che tutti vedano la pubblicazione: certamente un libro dedicato alle compositrici, di taglio non strettamente musicologico ma anche narrativo, un ciclo di racconti di storie di donne, in cui affronto da diversi punti di vista la femminilità, quella infranta, violata, una monografia divulgativa dedicata alla figura di un importante compositore non sufficientemente noto e infine un romanzo che concluda, insieme ai due precedenti, una sorta di “Trilogia della manipolazione”, un libro futurista ma non distopico, nel senso che, come gli altri due, descrivendo apparentemente realtà fantasiose e bizzarre, vengono costantemente raggiunti e superati dalle assurdità del reale. Anche perché tratto di temi sui quali mi documento molto, riuscendo quindi ad anticipare tendenze sociali e nuovi costumi che, sempre più condizionati dalla tecnologia, rischiano di produrre mostri umani.