La pedofilia come identità di genere
Aleksandr Solženicyn ha scritto che “per fare il male, un essere umano deve prima di tutto credere che ciò che sta facendo sia buono”.
La civiltà di qualunque società si misura dall’attenzione che dedica ai bambini, non solo per il loro valore intrinseco in quanto persone, ma anche perché essi rappresentano il futuro, la società del domani ed è nostro dovere sostenerli, renderli forti e proteggerli.
L’abuso sessuale dei minori è un pericolo reale e crescente. Sempre più spesso gli autori di abusi utilizzano Internet per comunicare tra loro, condividere materiali e contattare i bambini. I predatori scattano foto e girano video degli abusi commessi nella vita reale e li condividono attraverso Internet. Utilizzano webcam, telefoni cellulari, social media o altre piattaforme online per condividere, su larga scala, foto e video di minori, vittime di abusi sessuali.
La Fondazione SOS Telefono Azzurro ETS riferisce che si stima che circa un bambino su cinque in Europa sia vittima di qualche forma di violenza sessuale e che in circa l’80% dei casi ad abusare è qualcuno che il bambino conosce. L’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori online sono in aumento a livello internazionale e rappresentano un problema diffuso, senza segni di rallentamento. Nonostante le leggi si registrano dati drammatici.
L’ultimo tentativo di violare il mondo dell’infanzia, addirittura sotto l’ombrello statutario, viene da uno Stato della civilissima Europa centrale, la Germania.
In Germania il Parlamento tedesco ha votato, giovedì 26 settembre u.s., per prendere in esame la petizione che propone di considerare la pedofilia un’identità di genere. L’emendamento è stato presentato dal gruppo pro-pedofilia Krumme-13, un gruppo di pressione che sostiene l’abbassamento dell’età del consenso e la legalizzazione della pornografia infantile; ora passerà all’esame di una commissione, suscitando preoccupazioni tra chi si batte per la tutela dei minori.
Se la misura proposta passasse la “pedosessualità” diventerebbe un’identità sessuale protetta nella Costituzione tedesca.
Come si può arginare questa piaga? In Italia oltre alla normativa contro la pedofilia, le istituzioni e la società civile sono chiamate a realizzare azioni per rendere efficaci e concrete la prevenzione e il contrasto di un fenomeno così odioso.
Il Dipartimento per le politiche della famiglia, presiede e coordina l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile.
La scuola avrebbe la responsabilità di garantire che gli/le alunni/e apprendano la sessualità, il consenso e le relazioni nel corso del loro percorso scolastico, dando loro l’opportunità di sviluppare un approccio critico al modo in cui le relazioni e la sessualità vengono presentate nei media e nei vari contesti, inclusa la pornografia.
L’Italia purtroppo è uno dei pochi Stati europei a non prevedere un programma obbligatorio di educazione sessuale nelle scuole. Nel corso degli anni, diverse proposte parlamentari hanno cercato di regolamentare l’introduzione dell’educazione all’affettività senza successo, nonostante, da tempo l’Unione Europea la raccomandi agli Stati membri. Il risultato è che nelle nostre scuole le attività educative sono disomogenee e lasciate all’iniziativa e buona volontà di presidi ed insegnanti. Alcune Regioni hanno istituito dei programmi di educazione alla sessualità e all’affettività, spesso tenuti da figure professionali esterne all’ambito scolastico come medici, psicologi, biologi.
I modelli più diffusi sono basati su un approccio olistico, che integrano le conoscenze relative al funzionamento dell’apparato riproduttivo e alle malattie sessualmente trasmissibili, con l’educazione emotiva e relazionale come avviene in Svezia, Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda, Belgio.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Ha suscitato una forte polemica nel Regno Unito e non solo, il caso di un alunno, in Scozia, che si identifica come un lupo dando vita a quello che è stato classificato come un nuovo tipo di disforia: la disforia di specie. A riportare la notizia è il Daily Mail,secondo il quale documenti ufficiali rivelerebbero del primo caso in cui una scuola ha riconosciuto che un bambino si identificasse con un animale, in questo caso un lupo.
In un rapporto del Telegraph, si legge pare sia piuttosto frequente che i bambini nelle scuole del Regno Unito insistano per essere chiamati e trattati come animali. Il rapporto prosegue affermando che ci sono alunni che si identificano come cavalli, cani o gatti.
Il fenomeno però ha travalicato i confini della Gran Bretagna per espandersi negli Stati Uniti, in Giappone e in Germania. È un’organizzazione che si riunisce in diversi club nominati “comunità furry”.
Quella che fino a qualche tempo fa era serenamente considerata una fantasia infantile a cui i nostri genitori non davano alcuna importanza anzi… se ne sorrideva, è oggi legittimata da una serie di “linee guida” che sottolineano l’importanza di aiutare i bambini a «superare le disuguaglianze» e garantire che vengano ascoltati nelle «decisioni che riguardano la loro vita», con un adeguato supporto, laddove ritenuto opportuno.
A favore ci sono studiosi che parlano di “disforia o incongruenza di specie”, altri studiosi negano qualsiasi disforia e cercano di riportare il tutto a un retto uso della ragione su dati biologici.
Intervistato dal quotidiano britannico Daily Mail, il neuropsicologo clinico Tommy MacKay, dice: “non esiste una condizione clinica denominata disforia di specie. Tuttavia, il caso del bambino che si identifica come un lupo “non è sorprendente”, visto che viviamo “un’epoca in cui molte persone vogliono identificarsi in qualcosa di diverso da quello che sono. Ora abbiamo un consiglio che sembra accettare alla lettera che un bambino si identifichi come un lupo, piuttosto che sentirsi dire di uscirne, che sarebbe l’approccio di buon senso”.
E’ noto agli specialisti che i disturbi mentali o del sé siano dipendenti dal contesto culturale di un dato momento storico, o persino da un “contagio psichico” che fa sì vi siano come delle “mode” nelle psico-patologie. Il filosofo Ian Hacking parla di un “contagio semantico” (o isteria semasiologica) in corso: la mediatizzazione, che pretende di solo descrivere il fenomeno, crea le condizioni per la sua diffusione.
Dice Carl Elliott – professore presso il Center for Bioethics e il Dipartimento di Pediatria e membro della facoltà affiliati al Dipartimento di Filosofia e alla Scuola di Giornalismo e Comunicazioni di massa: «Gli psichiatri, cominciando a diagnosticare psichiatricamente un fenomeno, lo reificano nei manuali, sviluppano strumenti per misurarlo e valutarne la gravità; dirigono i pazienti verso gruppi di sostegno, ne scrivono su riviste – con ciò, possono unirsi a forze culturali più vaste per contribuire alla propagazione di una turba mentale».
“Il fatto è che ogni tanto spunta un modo nuovo di essere matti”
L’affermazione è di Carl Elliott che si occupa anche di etica della sanità, ed è anche il titolo di un saggio che ha pubblicato nel 2000 – per occuparsi di un “disturbo del sé” apparentemente più aberrante ancora del cambiamento di sesso. Un chirurgo scozzese aveva amputato le gambe di due pazienti su loro richiesta, ed era stato fermato prima che ne operasse un terzo. I due amputati avevano difeso il medico, raccontando ai giornali come erano più felici e completi adesso, senza la gamba.
“Sono tutti “disturbi del sé”, di gente insoddisfatta della propria immagine corporale come non coincidente con il loro autentico Io. «Non dobbiamo stupirci, perché il linguaggio dell’identità e dell’essere se stesso ci circonda dovunque». Siamo invitati fin da bambini a «esprimere noi stessi», ad essere «liberi da condizionamenti e tabù» per far emergere «il nostro io autentico e spontaneo»; «l’invito all’autentica identità è iscritto nella letteratura, nella cultura popolare, nella pubblicità, nella nostra filosofia politica individualista, nella sensibilità terapeutica.
A forza di volersi auto-realizzare, si finisce per sentirsi un animale o farsi amputar le gambe. Perché “il proprio Io” è un pozzo senza fondo. Pieno di modi sempre nuovi per diventare pazzi.
Per tornare in Italia, alla disforia e alla doverosa tutela di bambini e bambine, in occasione del passaggio in Italia della dott.ssa Lisa Marchiano si è tenuto a Roma un evento organizzato dall’associazione GenerAzioneD.
La dott.ssa Lisa Marchiano, psicanalista junghiana e scrittrice americana che fa parte del team di specialisti che compongono GETA (Gender Exploratory Therapy Association) e che lavora, dal 2016, con genitori di giovani con disforia di genere, e con ragazzi o giovani adulti disforici, transgender e detransitioner nell’occasione si fa e ci fa questa domanda:
come siamo arrivati al punto di dire ai bambini che possono cambiare sesso? Come siamo arrivati al punto di rendere sterili i bambini, soprattutto quelli gay/lesbiche e autistici?
“Come siamo arrivati al punto in cui i terapeuti non sanno più cosa sia la terapia e ritengono di dover semplicemente firmare l’autodiagnosi di un paziente? Come siamo arrivati al punto che i genitori non si fidano dei professionisti? Come siamo arrivati al punto che i professionisti temono per la loro sopravvivenza se parlano?
Secondo Sofocle “nulla di vasto entra nella vita dei mortali senza una maledizione”
Internet e i social media hanno cambiato radicalmente il modo in cui siamo connessi e in cui le idee vengono diffuse. Temo che stia diventando evidente che, con la stessa rapidità con cui Internet può diffondere le buone idee, può diffondere quelle cattive.
La crescita dei giovani che si identificano come transgender ha corrisposto all’avvento degli smartphone e delle piattaforme di social media come tumblr, reddit e, più recentemente, TikTok.
Oggi sappiamo che tutto è soggetto all’influenza dei coetanei.
Un tempo la disforia di genere era trattata come una condizione di salute mentale; una volta che è diventata sinonimo di trans, è scivolata nella categoria dei diritti umani e il rifiuto ad affermare immediatamente la nuova identità è stato visto come un atto di bigottismo invece che come una cura terapeutica responsabile.
Negli Stati Uniti ci sono più di 700 cliniche di genere per bambini, dove adolescenti e giovani adulti possono ricevere la prescrizione di ormoni sessuali del genere opposto e i loro genitori sono costretti ad assecondarli.”
Proprio in questi giorni è in corso un dibattito tra diverse società scientifiche sulla somministrazione di triptorelina nei bambini e adolescenti, di entrambi i sessi, a cui è diagnosticata la disforia di genere.
Cos’è la disforia di genere? L’Istituto Superiore di Sanità definisce la disforia di genere come una “condizione caratterizzata da un’intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso”. *
E cosa farebbe la Triptorelina? La triptorelina – in Italia presente nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del SSN – porta alla sospensione dello sviluppo puberale in casi di pubertà precoce. E’ indicata limitatamente a soggetti di età inferiore a 8 anni nelle bambine e inferiori a 10 anni nel bambino, su diagnosi e piano terapeutico di strutture specialistiche.
La Società Europea di Psichiatria del bambino e dell’adolescente (ESCAP), ha emanato una raccomandazione che riguarda l’invito ad astenersi dal proporre interventi terapeutici con effetti potenzialmente irreversibili o conseguenze a lungo termine sconosciute con le seguenti avvertenze: “non sono ancora completamente noti gli effetti della soppressione della pubertà sullo sviluppo del cervello”; “non è noto se usando Triptorelina aumenta il rischio di osteoporosi in età adulta”; “ci possono essere altri effetti collaterali lungo termine della Triptorelina che non sono ancora conosciuti”.
A supportare quanto affermato dalle principali autorità sanitarie mondiali, concorrono una serie di studi che nel tempo hanno verificato l’assunto secondo cui la disforia di genere non è stabile e ha carattere transitorio nella stragrande maggioranza dei casi.
Jennifer Lahl, fondatrice del Center for bioethics and culture network afferma: «Il trattamento sperimentale di bambine e bambini non conformi al genere è pericoloso e ha effetti collaterali»;
La disforia di genere oggi è un problema soprattutto femminile: 8 casi su 10 riguardano bambine. «Ci sono molte similarità tra i bimbi che soffrono di questo disturbo: hanno subìto traumi o sono stati vittime di episodi di bullismo. La pornografia e l’eccessivo uso di internet sono tra i problemi principali. Tra le ragazzine, in più, c’è il contagio sociale: abituate a stare tra loro, cercano di assomigliarsi e si influenzano» conclude Lahl.
Esistono lobby che spingono a favore dell’ormonizzazione dei bambini con comportamenti “non conformi” al sesso di nascita, nonostante sulla terapia affermativa si stia frenando dappertutto.
La lobby transattivista britannica torna ad agitare il rischio suicidio per i minori che non vengono trattati con farmaci.
Tuttavia nel luglio 2024 il DHSC ha pubblicato uno studio indipendente condotto da Louis Appleby, dell’università di Manchester ( Department of Health and Social Care adviser on suicide prevention) il quale ha esaminato i dati forniti dal Servizio sanitario britannico (Nhse) sui suicidi di giovani pazienti dei servizi di genere presso il Tavistock and Portman Nhs FoundationTrust concludendo, in modo chiaro e netto, che gli argomenti di chi continua ad agitare il rischio suicidio sono meramente ideologici.
Sembrerebbe che anche in Italia Arcigay stia conducendo un’analoga campagna pro puberty blocker
per “fare andare via i pensieri oscuri”. (“Chiedimi se sono felice”)
Il rischio suicidio, ormai smentito da numerosi studi, come ultima spiaggia per i dissennati ideologi della transizione dei bambini e delle bambine.
Poiché c’è in ballo il benessere psico-fisico dei bambini e delle bambine, non si può più perdere tempo e il rapporto Cass segna un punto di non ritorno: nessuno al mondo potrà più fare finta di non capire e di non sapere.
La revisione indipendente dei servizi di identità di genere per bambini e giovani (Cass Review) commissionata nel 2020 (da NHS England e NHS Improvement) e guidata da Hilary Cass, pediatra consulente in pensione ed ex presidente del Royal College of Pediatrics and Child Health. è stata completata nel 2024.
Quasi 400 pagine di studi, resoconti clinici, testimonianze, statistiche e raccomandazioni per dire che la terapia affermativa – farmaci, chirurgia – per bambine e bambini non conformi al genere è stata un clamoroso fallimento del sistema; che si è trattato di una vera e propria sperimentazione in vivo (“Bambini usati come palloni da calcio”, ha dichiarato Hilary Cass al Guardian);
Nello studio viene affermato che non è vero che la triptorelina riduce il rischio suicidio, non ci sono prove che con quelle iniezioni mensili il loro benessere aumenti; che i suoi effetti sono in gran parte irreversibili; che le/i piccoli pazienti non sono stati sufficientemente monitorati; che a 9-10 anni non si può esprimere alcun reale consenso, che prima dei 18 anni non si dovrebbe avviare nessuna transizione e che almeno fino ai 25 anni si dovrebbe procedere “con cautela e compassione”; che per quei minori serve un “approccio olistico” e un’accurata valutazione psicologica dato che mediamente soffrono di concomitanti disturbi mentali; che gli standard di cura raccomandati da Wpath, la maggiore associazione per la salute transgender, presi come oro colato da società scientifiche e da istituzioni sanitarie di tutto il mondo – Italia compresa – sono sostanzialmente fuffa; che bavagli, censure, urla e minacce (una “eccezionale velenosità del dibattito”) hanno ostacolato come mai prima d’ora ogni serena valutazione scientifica…
Ha anche chiarito che la sua revisione non riguardava la definizione di cosa significhi trans o il ridimensionamento dell’assistenza sanitaria, affermando “Ci sono giovani che traggono assolutamente beneficio da un percorso medico e dobbiamo assicurarci che quei giovani abbiano accesso, secondo un protocollo di ricerca, perché dobbiamo migliorare la ricerca, ma non dare per scontato che sia il percorso giusto per tutti”.
Charles McKay giornalista, poeta e paroliere scozzese affermava che “gli uomini impazziscono in branco, mentre recuperano il senno solo lentamente, uno alla volta”.
Se non alziamo l’asticella dell’allerta ciò è che è avvenuto con il cambiamento di sesso – da quando è entrato nel discorso pubblico come moneta corrente, “un numero sempre maggiore di persone ha cominciato a interpretare la sua esperienza in termini di “turba della identità di genere – rischia di avvenire con la disforia di specie e la pedofilia, fino al giorno in cui saranno rimpiazzati dal nuovo modo di essere i matti più culturalmente alla moda.
Direi che noi adulti ci siamo distratti anche troppo. Giù le mani dai bambini!
* (L’undicesima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), pubblicata dall’OMS nel 2019, ha provveduto a depatologicizzare ufficialmente la disforia di genere, spostandola dal gruppo delle malattie psichiatriche al gruppo “Condizioni relative alla salute sessuale” (Conditions related to sexual health), in cui viene classificata come “incongruenza di genere” pur richiedendo significativi trattamenti medici e psicologici.)