un film di Gianluca Jodice
con Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Aurore Broutin, Hugo Dillon, Tom Hudson, Roxane Duran, Fabrizio Rongione
Dal 21 novembre nelle sale
L’assalto alla Bastiglia è del 14 luglio 1789. Una data stampata nella memoria di tutti. Forse ci ricordiamo meno un altro evento: dopo il colpo di stato del 18 brumaio, il 9 novembre 1799 Napoleone assunse il potere
Fra un fatto e l’altro passano solo dieci anni, in mezzo irrompe anche Robespierre e il regime del Terrore. Dieci anni, un tempo brevissimo per la Storia, allora ancora più che oggi, dieci anni durante i quali la Francia viene travolta da eventi epocali più che in tutto il secolo precedente. I ricordi scolastici sono spesso vaghi e in pochi siamo davvero preparati sulla Storia, a maggior ragione oggi, epoca in balia dell’approssimazione.
La cura dedicata a un periodo trascurato, la prigionia di Luigi XVI e di Maria Antonietta, è uno (solo uno, ce ne sono molti altri) dei motivi che mi hanno fatto molto amare questo film, una produzione franco-italiana, dove sul banco di produttori, tecnici e regia siedono quasi solo italiani, mentre nel cast spiccano quasi esclusivamente nomi francesi.
Alla produzione anche Matteo Rovere (non sbaglia un colpo) e Paolo Sorrentino (uomo dal multiforme ingegno e di acuto intuito), fra gli attori i più bravi sono Guillaume Cantet che, gonfiato dal trucco, irriconoscibile, impersona il sovrano, mentre Mélanie Laurent (la ricordate in Bastardi senza gloria?) presta un volto tirato, senza un filo di trucco, il corpo emaciato e una sensibilità struggente a Maria Antonietta.
La regina è una donna matura, moglie, madre e appassionata amante di un uomo assente che avrebbe il disperato bisogno di riabbracciare. Insomma un personaggio severo, totalmente diverso dalla Maria Antonietta adolescente e pop raccontata da Sofia Coppola nel suo film.
Quanto coraggio ha avuto Gianluca Jodice nell’affrontare un tema così intrinsecamente francese e che gli stolti possono irridere come un nostalgico ritratto della monarchia.
Mentre invece è il progetto temerario di raccontare la storia da un punto di vista finora molto poco esplorato, quello di chi nella Rivoluzione venne sconfitto. Il riferimento sta nei diari di Cléry, il valletto del re a cui venne concesso di affiancare la famiglia reale durante la detenzione.
Il sentimento predominante, per i sovrani come per i rivoluzionari, è lo sgomento, come se nessuno riuscisse in un precipitare di accadimenti ad avere contezza dell’enormità del cambiamento di cui è protagonista. Davvero la monarchia verrà spazzata via per sempre? Davvero il potere sarà nelle mani del popolo? Davvero non si potrà più rivendicare l’investitura divina sul re?
Tutti si esercitano nel loro nuovo ruolo, proprio come il procuratore del comitato rivoluzionario che, in attesa del re alla Tour du Temple, ripassa il discorso con cui accoglierlo. Una prova generale dell’agognato futuro di cui però è difficile prevedere con certezza gli sviluppi.
Maria Antonietta e Luigi XVI arrivano coi due figli, una dama di compagnia e un pugno di servitori alla Tour di Temple, una fortezza a nord del Marais che verrà distrutta nel 1808. Sono lì in attesa del processo e tutti conosciamo la fine della vicenda. Non furono ghigliottinati tutti assieme, prima toccò al re, qualche mese dopo alla regina. Del figlio piccolo non si seppe mai con precisione il destino e c’è ancora chi pensa sia sopravvissuto. Ma questo fa parte della leggenda.
Il film di Jodice non cerca la leggenda, neanche la favola e neppure l’horror, vuole solo raccontare la complessità di quella situazione.
Luigi XVI, consorte senza amore della principessa austriaca, è un uomo mite, vittima del suo ruolo, padre di famiglia che si trova suo malgrado a fronteggiare qualcosa di più grande di lui. Reagisce come può, con dignità, con rassegnazione e spera fino all’ultimo di poter salvare la sua famiglia.
Maria Antonietta si prepara a una nuova vita, diversa, una vita senza luccichii. Ed è pronta, con fierezza teutonica. Quali sono i compiti di una sposa? Le risponde il valletto del re, pensando alla sua di consorte. Una moglie deve pulire e questo non è difficile, deve anche cucinare, e questo è un po’ più complicato.
Forse potrebbe spiegare alla regina come si fa. Maria Antonietta cerca di non crollare, si prefigura il futuro, si prepara anche se non ci crede. E’ disposta a tutto per salvare la vita dei figli, per farsi dare biancheria pulita, per un piatto di cibo più sostanzioso.
Man mano ai sovrani prigionieri viene tolto tutto, lo spazio in cui dimorano si restringe, nessuno più si occupa delle pulizie, la famiglia verrà divisa e tutti dovranno imparare a mangiare senza usare le posate.
La rabbia degli ultimi affiora, perché mentre il re passava il tempo in serate fastose, a Versailles, a Parigi c’era chi moriva di fame coi figli mangiati dai topi. Il vecchio mondo era destinato al tracolo e forse il re e la regina lo capiscono ma tutto è talmente lontano da come sono vissuti che trovare un posto nel mondo nuovo nato dalla rivoluzione è un’impresa impossibile.
Dopo di me il diluvio, sembra sia una frase pronunciata da Luigi XV, e non a caso Jodice sceglie questo titolo per il suo film che evita ogni scorciatoia banale. Anche fra i carcerieri emergono caratteri differenti, con psicologie che seppur condensate in poche sequenze mostrano a volte esitazioni, in altre circostanze aggressività e voglia di vendetta, ma anche il senso della giustizia. Ciascuno ha il suo sguardo ciascuno ha le sue rivendicazioni, ciascuno coltiva le sue paure.
Il grigio domina negli ambienti ricostruiti con rispetto, la macchina da presa si sofferma sui primi piani dei volti che esprimono tutta l’incertezza del futuro. E quando il film finisce, resta la voglia di saperne di più, di andare avanti, di capire. E una lezione: nessun evento storico si può liquidare con la pretesa della verità assoluta.