Uscita dalla chiesa senza faccia su piazza Castello, Gloss l’attraversa verso il Nuovo Cinema Romano, con fare sciallo, scartando i rutilanti colori dei bangla, che magari sono del Pakistan, indaffarati a vendere mercanzie lampeggianti di led e rose scongelate ormai sfatte.
«Capo, venti euro tutte rose!»
Sono cacciati in malo modo. Altri comprano una rosa per la propria bella.
«Capo, venti euro tutte rose!»
Lo diranno un’altra trentina di volte entro la fine della serata, tra la Torre Angolare della Mura di Cinta, il Palazzo del Senato Sabaudo, il Palazzo Barolo, in un giro da criceto sulla ruota dei civilizzati torinesi. Non ha ancora finito la frase che già sul suo viso si intravede una smorfia di delusione per il rifiuto categorico del “capo”.
«No grazie» gli risponde quando va bene.
«No, sparisci, nigga di merda» quando va male, dimostrando di non conoscere la geografia e nemmeno l’interesse a colmare questo vuoto. Camminando, la mente di Gloss si perde per considerazioni inerpicate.
I Bangla da dove vengono e dove vanno
Quando si comprano rose per strada da un bangla, a volte non si sa che dietro di lui ci sono un po’ di palazzi torinesi delle famiglie bene, società rumene e operazioni di sorveglianza delle moschee..
Vengono da Pakistan, Sri Lanka, India e, guarda caso! anche dal Bangladesh. Camminano per le strade delle metropoli, sono insistenti, non demordono, sono piazzisti dal talento innato che sognavano di fare un altro mestiere. E a volte arrivano pure a farsi la Partita Iva, masticando l’italiano alla grande, imprenditori a tutti gli effetti, lavorando, producendo, facendo affari.
Negli “affari” dei rosai di oggi compaiono anche cognomi di grido e gente altolocata, di quella che non incontri al supermercato. Sono centinaia i bangla che vivono in una delle loro proprietà, palazzoni di un centinaio di locali fra appartamenti, box e negozi, caduti in disgrazia per il degrado del quartiere.
Pagano duecento euro al mese per l’alloggio, altri cento mensili per il vitto. Con il servizio in camera, visto che ogni appartamento è munito di un “bangla-cuoco”. Mica male la vita del rosaio, duecento euro a Torino sono un affare da non lasciarsi scappare.
Compromessi
Se non fosse che ci sono dei compromessi da accettare: dormire su turni, mangiare su turni e pregare su turni; dividere il trilocale con altri quindici nigga, sub-affittuari in nero di quello col contratto; rischiare la scabbia ogni giorno; caricare e scaricare ogni mattina sacconi di riso e spezie, piatto forte del menù dell’ostello per poveracci. Un signore, che abita all’ultimo piano del complesso, ha invece trovato in questo pregiato immobile torinese la sua principesca dimora.
Si è fatto edificare una sorta di attico pacchiano, con vista autodemolizione e fa il bello e il cattivo tempo. Si racconta che un giorno si sia svegliato e abbia fatto installare nell’atrio del cortile una stella gigante. Una stella in simil-oro. È un’altra pacchianata assurda ma un motivo c’è. Quello è il suo simbolo, visto che già in Romania era proprietario di una società chiamata “Star Entertainment”. Il settore di lavoro? “Modelle, spettacolo e intrattenimento” recita la ragione sociale nell’iscrizione alla Camera del Commercio di Bucarest. I contatti con le dipendenti sono tuttora numerosi e frequenti, a giudicare da quanto usa il telefono. All’ombra delle rose abbiamo a che fare con un mix di schiavismo, abusivismo, abusi e degradazione.
E finalmente, il Nuovo Cinema Romano
A proposito di “modelle, spettacolo e intrattenimento”, Gloss al 9 di piazza Castello, proprio all’ingresso della Galleria Subalpina , a due passi dal Caffè Mulassano che pare diede i natali al tramezzino da parte del geniale inventore della prima sceneggiatura “Cabiria”, s’imbatte nel Salone Romano dove, nel 1905, più di 120 anni fa aveva aperto il cinematografo Lumière, il più antico di Torino.
Due anni dopo aveva mutato il nome in Cinema Romano. Dalla radicale ristrutturazione nel 1958 nacque il Nuovo Romano. In data 19 novembre 2024 la programmazione prevede, nelle tre sale, due film a firma italiana sulla nostra cultura (Sorrentino e Pirandello) e un terzo a ispirazione argentiana, visto che in Galleria fu girato un film di Dario Argento. Memore di quella volta che fu bloccata da una cronista, nel tentativo di recuperare, Gloss entra per la visione del terzo. In realtà, il buio della sala e la noia della pellicola la trasportano in una rêverie storica.
Durante il mese di agosto 1943, tutta Torino fu assoggettata a un tremendo bombardamento che non risparmiò nemmeno il Cinema Romano. Gravemente danneggiato, restò chiuso più di un triennio. Oggi, questo “passage à la française” affascina i propri cittadini e turisti da tutto il mondo. Magari manco notano il Nuovo Cinema Romano, che è un po’ nascosto in un angolo.
I cinema storici torinesi sono complesso di ricchezze cittadine, nazionali e internazionali, scostando le pesanti tende di velluto si ha l’impressione di comodità, luci e poltrone polverose bordeaux, dalle quali godere film di nicchia, i cosiddetti “d’essai”, magari persino in lingua originale. Cerchiamo di preservarli dalla chiusura. I cinema di Torino sono luoghi in cui gli spettatori possono toccare la Cultura con mano. Senza Cultura, senza parole, non c’è confronto. Senza confronto, non c’è dibattito. Senza dibattito non c’è rispetto delle idee e delle persone. C’è la violenza di genere, tema tanto caro a Gloss.