un film di Bertrand Bonello
con Léa Seydoux, George MacKay
Dal 21 novembre nelle sale
Attenzione, stiamo entrando nei territori del cinema d’autore, quello storico: il cinema d’autore francese. Un cinema che non segue percorsi facili, un cinema colto, ambizioso, di grande classe, mai casuale, mai superficiale. Quindi, avvicinarsi in punta di piedi, disposti a capire e a stare dalla parte dell’autore.
Ma non spaventatevi, se vi lasciate andare vi accorgerete che il film di cui paleremo si presta anche a una lettura semplice: è una grande storia d’amore sull’impossibilità dell’amare.
Bertand Bonello è un regista da festival, ha una sua poetica, autori, generi e attori di riferimento. Tutto nei suoi film è voluto, cercato, pensato.
A cominciare, nel caso di The Beast, dal racconto da cui trae ispirazione: La bestia nella giungla di Henry James. E chi avesse voglia di leggerlo (o rileggerlo) suggeriamo la nuova edizione molto accurata uscita nel 2022 per Il Saggiatore.
Nel breve racconto (un centinaio di pagine) dell’autore di Giro di vite non ci sono fantasmi, quanto meno non ci sono presenze sovrannaturali, ma solo perché i fantasmi sono della specie più infida, quelli che abitano dentro di noi.
Il racconto si snoda nel corso del tempo. Il protagonista, John Marcher accoglie nella sua tenuta May Bartram. Aveva già conosciuto la donna, dieci anni prima, in Italia, a Napoli, forse a Roma, non ricorda e neanche lei ricorda bene, così nella conversazione correggono reciprocamente, in un gioco di seduzioni, le imperfezioni delle memorie.
Li lega un’attrazione sottile che si rincorre fra passato e presente e arriva nel futuro, ma un ostacolo impedisce di concretizzarla. Una paura oscura dell’uomo, qualcosa che si materializza nel presentimento di una catastrofe imminente, un senso di oppressione che lo blocca.
I due si lasciano e si ritrovano, perseguitati da un’impotenza ad agire, da quella misteriosa bestia nella giungla pronta ad attaccare, che impietrisce, come un attacco di panico. Una paura che è solo dentro di noi, la paura di amare, la paura di agire. Un modo, forse, per Henry James di metabolizzare, mettendolo su carta, un suo amore mai realizzato per la sua viltà.
Bonello prende in mano questa affascinante storia per declinarla a modo suo e mette al centro del suo progetto la sua attrice feticcio, Léa Seydoux che si rivela assolutamente meravigliosa. Nel film che è quasi per intero sulle sue spalle, è presente in quasi tutte le inquadrature ed è sempre così giusta da rendere impossibile immaginare un’altra in quel ruolo.
La struttura resta simile a quella del racconto di James. Nel 1910 Gabrielle, una donna che si dichiara felicemente sposata, incontra a una festa Louis con cui nasce un’immediata intesa. Si perdono di vista. Nel 2014, la stessa donna (o la stessa donna in un universo parallelo) è un’aspirante attrice che tenta la fortuna a Los Angeles e viene presa di mira da un ragazzo frustrato. Nel 2044 la ritroviamo in una società dominata dall’intelligenza artificiale. Lei cerca di preservare le emozioni che la tecnologia vuole distruggere in quanto disturbanti per la carriera e la vita sociale.
A differenza del racconto di James, è la donna e non l’uomo ad essere perseguitata dal senso di catastrofe imminente. La data del 1910 viene scelta dal regista perché Parigi fu davvero teatro di un evento estremo, l’alluvione più grave mai verificatasi che mise in ginocchio la città.
Bonello la ricostruisce sia con impressionanti foto d’epoca che nella storia fra i due protagonisti, che ha uno sfondo onirico in sequenze che ricordano Jean Vigo ma sarebbe troppo lungo (e inutile) citare tutti i nomi a cui si pensa vedendo il film.
Nel passato, nel presente, nel futuro gli attori sono così versatili da risultare identici e al tempo stesso irriconoscibili. Credibili in abiti primo Novecento, in vestiti contemporanei e proiettati nell’algido 2044.
I dialoghi sono sfumati, evocativi. Léa è morbida nelle crinoline del 1910, moderna e svelta nei tempi moderni, indomita nel futuro, come in una citazione da Fahrenheit 451.
Un viaggio ammaliante, con inquadrature ardite, riferimenti al cinema di David Lynch e a quello di fantascienza e a tanti altri numi tutelari che sarebbe troppo lungo e inutile elencare. In ogni caso un’esperienza ancor più che la semplice visione di una film.
Su tutto domina la stella di Léa Seydoux che brilla nel ruolo della vita. Onnicomprensiva, totale e persino quando si trova a recitare sul green screen, ovvero sola, sullo sfondo verde che verrà poi integrato con gli oggetti e i personaggi mancanti, riesce a completare con la sua sola presenza l’immagine: un corpo da cinema, il corpo del cinema.
Film molto particolare e molto moderno, film temerario e puro che di sicuro troverà una fitta schiera di fan. Una sorpresa finale trasporta lo spettatore nel futuro: i titoli di cosa sono sostituiti da un QR code. Lo scannerizzi e sul cellulare trovi tutte le informazioni sul film.