Giurato numero 2 (Juror #2) è un film diretto e co-prodotto da Clint Eastwood, scritto da Jonathan Abrams e interpretato da Nicholas Hoult, Toni Collette, J. K. Simmons e Chris Messina.
Novantaquattrenne di straordinaria lucidità, Clint Eastwood mette sullo schermo un cinema tanto più limpido e cristallino, tanto più diretto e evidente, quanto più opache, contorte e ambigue sono le posizioni di tutti i personaggi che popolano le inquadrature.
Quel che fa Eastwood in questo film è mettere il dito nella piaga della giustizia proprio perché quella giustizia lì è comunque la sua, e lui vuole tutelarla.
Protagonista è Justin (un Nicholas Hoult marito esemplare e giornalista su una rivista locale – siamo a Savannah, in Georgia – che sta per avere un figlio dalla moglie.
Manca poco al parto, e la situazione è delicata perché in passato ci sono state gravidanze non portate a termine, e Justin, che vorrebbe stare a casa con lei, viene chiamato a fare il giurato nel processo a un suo coetaneo accusato di aver ucciso la sua ragazza dopo una lite.
Il problema vero, però, è che, a processo iniziato, Justin capisce che con quel caso ha a che fare più di quanto non voglia e sia lecito, e in lui nasce un dilemma morale complesso e lacerante, che lo porterà a decidere se agire come membro della giuria secondo traiettorie di interesse personale o di aderenza alle idee di giustizia e verità.
Nel corso dell’udienza, Kemp si rende conto che probabilmente è stato lui a uccidere la vittima, investita da un’auto in corsa, ma pensando fosse un cervo.
L’uomo si ritroverà così alle prese con un dilemma morale, sconvolto, ma non intenzionato a dire la verità, Kemp cercherà in ogni modo di salvare l’imputato.
Al dilemma morale di Justin inizia poi, da un certo punto in avanti, a associarsi quello del pubblico ministero di Toni Collette, che da ferma accusatrice dell’imputato – anche perché vincere quel processo per lei è tassello fondamentale per farsi eleggere procuratore distrettuale – inizia a dubitare delle sue stesse convinzioni, e a intravedere altre verità.
Quindi vedere, e quindi comprendere, e quindi arrivare il più possibile vicino a quella che è una verità oggettiva e esistente, è un compito arduo.
La giustizia è bendata, ma bendati – come Eastwood ci racconta fin dalla primissima immagine del film – siamo un po’ tutti: da noi stessi, da qualcun altro, da qualche convenienza. Perché voltare lo sguardo (che è poi il peccato originale del personaggio di Justin), scegliere di non vedere, è la cosa più facile. E quindi la più sbagliata.
Una riflessione sullo sguardo e sul vedere di modernità assoluta nel contesto di una struttura formale che più classica non si può: un’altra delle cose straordinarie di questo film che è anche di rovente attualità politica nel suo testardo rivendicare l’urgenza morale dell’inseguimento della verità. Perché troppo e troppo a lungo si è subordinata la verità a una giustizia che è sempre personale, soggettiva, figlia di un qualche interesse, magari pure collettivo. Magari pure, paradossalmente, sano e condivisibile.
Eastwood non sbaglia un colpo, un’inquadratura, uno stacco di montaggio, un personaggio secondario, un dettaglio narrativo, senza mai perdere di vista un’altra urgenza, che è quella della suspense e dell’intrattenimento dello spettatore.
Adriana Moltedo
Esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Ceramista, Giornalista, Curatrice editoriale, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità. Scout.