Resoconto di un incontro.
di Maria Aprile
L’incontro del 23 Novembre a Milano al Palazzo del Cinema: “Violenza contro le donne e prostituzione: quale relazione?”, Promosso da CADM e Resistenza Femminista, ha visto relazioni di alto profilo quali quelli di Reem Alsalem, rapporteur delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le bambine, di Rachel Moran, sopravvissuta alla prostituzione e autrice del libro “Stupro a Pagamento” e di Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale all’Università degli Studi di Trieste e autrice di libri ed articoli scientifici sulla violenza alle donne oltre ad un interessante intervento dell’onorevole Alessandra Maiorino.
La prostituzione e la pornografia oggi sono glamourizzate: bambine/i e ragazzi/e sono esposti ad una pornografia on line pervasiva che li raggiunge nei posti che possiamo considerare i più protetti come la loro cameretta; l’esposizione a quei messaggi altera la percezione di sé delle ragazze, producendo una cultura della “pornificazione” e sessualizzazione delle donne, incidendo profondamente sulla propria percezione.
La pornografia, alla quale sono esposti ragazzi/e e bambine/i produce un aumento degli atti violenti al punto da creare preoccupazione per gli Stati che non sono attrezzati per affrontare tutta questa violenza. Esiste una semplificazione e normalizzazione dell’abuso che rende un obiettivo sociale comparire su piattaforme come Onlyfans.
Il mondo della prostituzione vede più soggetti coinvolti: le persone prostituite, i clienti e coloro che dalla prostituzione traggono vantaggio, ma in questo mondo le donne prostituite sono rappresentate in maniera preponderante rispetto a una piccola parte di uomini.
Una realtà in cui sono sovra rappresentate donne discriminate ed emarginate, con un background povero; donne indigene e dell’Est Europa, povere e vulnerabili, profilo similare a quello delle giovani attive in pornografia. Da una ricerca francese su un campione citato dalla professoressa Patrizia Romito emerge l’entrata delle ragazze in prostituzione intorno ai quattordici anni. Si tratta di ragazze con problemi di violenza familiare, con storie di sottovalutazione del vissuto, fidanzati papponi, uso di droga e tentati suicidi.
Se nella società vittoriana le prostitute erano definite “donne sventurate”, oggi si è scelto un termine più funzionale allo sfruttamento. L’adozione di termini come “sex work” per definire la prostituzione in una situazione sociale in cui vi è scarsa consapevolezza dei traumi, che Rachel Moran ha definito tra i peggiori che abbia visto e vissuto, porta fuori strada. Tra le donne in prostituzione, si rilevano gravi problemi dissociativi, anestesia al dolore, consumo di psicofarmaci, abuso di sostanze, stress post traumatico, da cui derivano disabilità permanenti.
Definire lavoro sessuale ciò che non è “Né sesso ne lavoro”, è funzionale allo sfruttamento e normalizza l’abuso e il dolore da questo provocato, legittimando il comportamento del cliente e ignorando che non vi può essere consenso verso un trattamento abusante e che tale”consenso” altro non è che una reazione al trauma, ossia l’assunzione di un comportamento adatto alla sopravvivenza all’abuso. È evidente che in queste condizioni parlare di scelta è un artificio retorico perché si sceglie sempre il male minore e quest’apparente consenso rende difficile parlare di vittime, ma se non lo si fa, l’aggressore sparisce dall’orizzonte.
In queste circostanze il confine risulta talmente labile che è lo stesso concetto di consenso a dover essere messo in discussione, in una situazione paritaria bisognerebbe parlare di desiderio reciproco, non di consenso.
Citando la frase di Andrea Dworkin: “Tutto quello che si può comprare, si può rubare” Patrizia Romito collega prostituzione e stupro e violenza, Ben riassunto dal caso di Gisele Pelicot, la donna francese drogata e fatta stuprare da centinaia di uomini dal marito.
Da ricerche scientifiche emerge una la maggiore frequenza di stupratori fra gli acquirenti di sesso, mentre da interviste ai clienti si rileva una totale disumanizzazione delle donne prostituite. Questo spiega la ragione per la quale le donne in prostituzione siano fino a trenta volte più esposte a femminicidi. Si tratta di stime perché stiamo parlando di persone che possono sparire facilmente nell’indifferenza generale.
Noi oggi sentiamo voci delle lobby favorevoli alla normalizzazione della prostituzione che cercano varchi all’interno delle legislazioni: la Corte Costituzionale ha respinto attacchi alla Legge Merlin mentre un tentativo di inserire il concetto di sex work è stato respinto in sede di Consiglio d’Europa.
Tuttavia in questo momento disponiamo anche della preziosa testimonianza delle donne sopravvissute alla prostituzione, a cui dobbiamo dare ascolto mettendo in atto interventi che: riconoscano le donne e le bambine coinvolte come vittime, penalizzino gli utilizzatori, attuino campagne di sensibilizzazione e prevedano strategie di uscita dalla prostituzione comprensive del trattamento del trauma.
Sono interventi che hanno un costo, e oggi gli Stati per liberarsi dagli oneri finanziari che ne deriverebbero provano la normalizzazione della prostituzione, con la conseguente trasformazione degli abusi propri della prostituzione in “incidenti sul lavoro” e il conseguente stravolgimento dello stesso concetto di abuso.
Quando si parla di prostituzione permane la tendenza a porre il focus sulle donne e le bambine invece è necessario spostarlo sui clienti, sugli uomini. Sensibilizzando, sollecitando responsabilità e creando alleanze che contrastino la superficialità e le semplificazioni che vengono suggerite e proposte alle giovani generazioni.
Maria Aprile
Sono un insegnante in pensione. Ho studiato Scienze della Formazione e Servizio Sociale. Sono interessata alla realtà delle donne e al femminismo. Ogni tanto scrivo racconti.