Gloss ha vissuto sei anni a Bardonecchia, località turistica sulle Alpi, considerata un quartiere di Torino per il grande numero di seconde case appartenenti a famiglie torinesi e per la poca distanza dalla città, circa una novantina di chilometri. Anzi, a essere più precisi, è un vero e proprio distaccamento montano del quartiere Crocetta. Facce, automobili e cani, specie nel periodo estivo, traslocano pari pari dalla Crocetta a Bardo, come viene da loro affettuosamente chiamata .
Vacanze a Bardonecchia
Giovanni Giolitti vi soggiornava nei mesi più caldi, preferendola a Cavour, dove nacque e risiedette la sua famiglia. Eppure la corrispondenza testimonia che la vita politica lo raggiungeva anche durante il suo riposo lassù a Bardonecchia.
Statista che si potrebbe definire libero da condizionamenti, a più riprese per i suoi periodi di riposo e vacanza la prescelse forse perché la cittadina stessa, essendo geograficamente chiusa in una conca, è sempre stata gelosa della sua indipendenza. Sul fronte del Municipio, sotto il proprio stemma, è riportato il motto: “Seigneur de soi-même” ovvero “padrone di sé stesso”, a rimarcarne il carattere non subordinato ad altre persone o cose. Evidentemente, il Giolitti vi si identifica.
Testimonianze invisibili
Fino a una trentina di anni fa, Bardonecchia esibiva una lapide in Borgo Vecchio, centro storico, all’incrocio tra viale Capuccio e piazza Suspize. La lapide viene conservata nel museo civico di Bardonecchia nella piazza della chiesa. Così di colui che per varie innovazioni vide definire i suoi anni di massimo potere “epoca giolittiana”, la località valsusina ha testimonianze riportate sui libri scritti da storici, ma non visibili nella realtà. Solo la Cultura con la C maiuscola tramanda la verità.
Sobria costruzione ottocentesca non priva di eleganza, all’ingresso del Borgo Vecchio connotando un angolo fra i più pittoreschi e tipici della città, Villa Suspize che ospitava la lapide non esiste più.
Si racconta che l’avvocato Carlo Suspize avesse lasciato il proprio fabbricato – quello in cui fu ospitato Giolitti – al Comune, perché ne potessero usufruire gli indigenti di Bardo come casa di cura. Avrebbe necessitato di un forte intervento conservativo e di ristrutturazione, con cambio di destinazione. Invece il sindaco Alessandro Gibello (cui Gloss nel romanzo inedito “Ad alta quota” ha dato nome di Alessio Fibrotto) durante il suo mandato abbatté tutte le case vecchie e fatiscenti, quella donata dal Suspize compresa. Si racconta anche che il politico Giolitti piantò un pero nello spiazzo antistante, oggi centenario e ancora produttivo.
Data al Comune dalla famiglia Suspize cui è intitolata la piazza sulla quale svetta il “pero giolittiano”, la casa su cui questa scritta si reggeva e dove abitò il Giolitti per oltre vent’anni fu demolita nel dicembre 1994 con il sindaco Gibello e con la massima indifferenza per i valori della storia e della memoria.
Il pero di Giolitti
Il “pero di Giolitti”, tuttavia, svetta ancora oggi in piazza Suspize, nonostante gli attentati di altri malaccorti sindaci ne hanno insidiato la vita soffocando radici antiche di centotrenta/centoquarant’anni. Sotto il monumentale albero, oggi hanno preso posto i cassonetti della spazzatura e una pavimentazione ad autobloccanti che fa mancare l’aria alle sue radici. Dopo averne mangiato i dolci frutti, Gloss teme per la sua incolumità. Per la riqualificazione della piazza, l’importo attribuito si aggirò intorno ai 140.000 euro, di cui circa 90.000 contribuiti. Poco si può fare per frenare il “progresso” quando sono in gioco denari pubblici e interessi privati.
Rispetto alle altre località montane limitrofe, a Bardo, di fatto nel suo centro, arriva la ferrovia. Mai Giolitti possedette un’automobile, valutava i viaggi in treno una sorta di “villeggiatura”, un modo per ammirare il paesaggio dell’Italia che governava. La sede del Ministero degli Interni e della Presidenza del Consiglio, (Palazzo Braschi di Roma), di fatto d’estate si distaccava a Bardonecchia, trasformando Villa Suspize nel “Piccolo Braschi”.
E a Villa Suspize di Bardonecchia Giolitti desiderò così tanto non essere disturbato da sostituire il telefono con la postazione telegrafica e allestire alcuni uffici vicino alla stazione ferroviaria (il primo piano sopra al Café Medail, proprio in corrispondenza del balcone d’angolo in foto). I suoi detrattori sostenevano che Giolitti non volesse essere spiato con il sistema di intercettazioni telefoniche da lui stesso avviato.
Nonostante il progettato “buen retiro” durante i soggiorni estivi di Giolitti, Bardonecchia si trasformava in un convulso punto di incontro di industriali, uomini politici, organizzatori sindacali.
Nell’agosto del 1920 dall’Alfa Romeo di Milano si estesero fino a Torino seri disordini: mezzo milione di operai occupò le fabbriche scatenando nel Paese momenti di vero panico. Imprenditori e capitani di industria corsero dallo statista per avere il via libera a usare le maniere forti (che il Crispi nel 1894 e il Pelloux quattro anni dopo avevano già sperimentato senza successo). Invocarono misure forti contro i violenti scioperi. Serpeggiava il timore di una possibile rivoluzione come quella capitata in Russia. La situazione era talmente confusa da far rischiare il crollo dell’Italia nel caos. Giolitti, quale capo del Governo, socialista dalla parte degli operai, aveva l’autorità di imporre il “cessate lo sciopero”; non si scompose e si preparò ad ascoltare i capitalisti e le loro indignazioni.
L’ingegner De Benedetti sosteneva la necessità di azioni drastiche, annoverando tra queste persino il bombardamento delle fabbriche. Lo statista gli prestò attentamente ascolto, trovò il suggerimento valido e, dopo aver ringraziato l’ingegnere, dichiarò garbata ironia:
«Darò ordine di cominciare subito dalla sua.»
Giovanni Giolitti trovava soluzioni tra il serio e il faceto nelle vicende più gravose e forse determinando così il suo lungo successo parlamentare. I contemporanei che lo stimavano lo attribuivano alla sua grande empatia e alla sua capacità amministrativa. L’opposizione, invece, alla sua scaltrezza politica, non sempre ineccepibile.
Il Palamidone
A Giolitti, sempre abbigliato con lungo pastrano tanto da diventare quasi una divisa, fu affibbiato il soprannome di Palamidone da un disegnatore e umorista suo contemporaneo, ma è probabile che nei soggiorni estivi a Bardonecchia lo statista ne facesse a meno. Dalla casa del giovane avvocato Carlo Suspize, che lo ospitava, scendeva per la via Medail fino ad arrivare al caffè omonimo, tutt’oggi esistente e gestito come birreria di successo dall’amico di Gloss Jonathan Miccichè, detto Johnny, con tenacia e fantasia, (lo avete vito versare le bollicine) ritrovo di tante personalità oggi come allora. Era sede, al primo piano, dell’ufficio estivo del governo di Giovanni Giolitti.
Appassionato di camminate, appena riusciva a ritagliarsi un poco di tempo, in compagnia della moglie Rosa Sobrero, nipote dell’inventore della nitroglicerina, Giolitti percorreva sentieri fino alle pendici del forte Bramafam per assaporare l’acqua della fontana che ancor oggi è ricordata come “Fontana Giolitti”, dove Gloss si è recata più e più volte in una sorta di pellegrinaggio devozionale. Alte personalità del Paese, nobili, politici, industriali e studiosi cercavano di trascorrere almeno qualche giorno nella cittadina per poter incappare nel Capo del governo. Dall’alto della sua statura, Giolitti camminava per Bardo salutando con mitezza amici e conoscenti. In “Gente di Piemonte” (1983) Milano Luigi Firpo ha scritto di lui: “Alto, imponente, nero come un corvo, uso a un vestire sobrio e austero, gran camminatore di monte e di piano, schermidore di valentia professionale”. Nella frescura di Bardonecchia rispetto alla natia Cavour, prossimo agli ottanta anni, Giolitti concepì l’idea di scrivere le sue “Memorie”. Tra le sue carte, raccolte in tre volumi, è presente una nutrita corrispondenza bardonecchiese di amicizia e di devozione che gli portò adesioni e crucci politici.
La politica giolittiana: adesioni e crucci
Alcune lettere pervenute al Giolitti in quel di Bardo, attivano preoccupazioni al Premier.
In data 21 luglio 1904, il ministro del Tesoro Luigi Luzzatti gli comunica che « si stanno facendo arruolamenti clandestini per una eventuale invasione di garibaldini nell’Austria (…) Te lo avverto perché lo considero il sommo pericolo nel presente momento. Bisogna togliere ogni pretesto all’Austria per nuocerci…»
Il 9 agosto 1911 alla vigilia della guerra di Libia, il ministro degli Esteri Antonino Paternò di San Giuliano gli scrive: «(…) penso avrai letto a quest’ora il mio promemoria del 28 luglio sulla questione della Tripolitania da me consegnato a Peano perché tu lo legga a Bardonecchia…»
Una nota a margine autografa di Giolitti ribadisce il suo pensiero in merito all’intervento italiano nella guerra: «Risposto che già feci sapere la mia opinione nel senso di mantenere la neutralità.» Pensiero che fu quanto mai disatteso dal Re Vittorio Emanuele III a favore dell’intervento italiano.
Nelle molte lettere indirizzate alla moglie, Giolitti quando si trovava lontano dalla famiglia, parla spesso di Bardonecchia, che utilizzava come pretesto per appartarsi in incontri segreti, come quello con il Re, o nel 1912, quando il Giolitti vi rimase molto tempo, volendo seguire da “vicino” i preliminari della pace italo-turca di Losanna, facilmente raggiungibile da Bardo in treno attraverso il traforo del Frejus..
Durante l’estate del 1920, appena nominato Primo Ministro per l’ultima volta, la quinta, Giovanni Giolitti ristette ancora a Bardonecchia piuttosto a lungo. I quotidiani del periodo raccontano quanto fosse in festa la cittadina e di come dai paesi limitrofi tante persone avessero approntato veri e propri esodi allo scopo di festeggiare il Capo del Governo. Ma Giolitti preferiva un’accoglienza tranquilla “per non disturbare” e lo comunicò alla popolazione tramite i suoi collaboratori. Anche se il clima piovoso aveva contribuito a contenere la folla, villeggianti e ministro Benedetto Croce lo vollero comunque andargli incontro tutti festosi. Salutato con lunghi applausi, all’arrivo del treno il Premier, piuttosto che salire sull’auto con autista, preferì fare in salita il chilometro di via Medail fino a Villa Suspize, salutando le persone accorse e stringendo tante e tante mani. Prima di accedere all’abitazione, Giolitti indirizzò agli astanti un discorso commosso:
« Ringrazio i miei concittadini di Bardonecchia, che da diciotto anni hanno per me stima ed affetto, mantenutisi inalterabili anche nei momenti tristi. Tocca ora a me una missione non facile, che spero assolvere per il bene del paese. »
Seguirono giorni immediatamente difficili
Giolitti dopo un anno zeppo di ostacoli moltiplicati dalla mancanza di denaro non solo nelle tasche degli italiani, ma anche nelle casse dello Stato, decise di dimettersi e tentare la carta di nuove elezioni. Con enorme impegno cercò di frenare l’avanzata del governo di Mussolini. Tutto inutile. Per qualche estate cercò ancora refrigerio a Bardonecchia continuando ad intessere rapporti per cambiare il quadro politico. Fino al 1926 quando schiacciato dall’amarezza, lasciata la politica, si ritirò a Cavour dove morì il 17 luglio 1928, poco più di tre mesi prima di compiere 86 anni.
Questi, i pochi frammenti di un’azione di governo esercitata dal sito di montagna, scelto per ritemprare le forze e per donare la necessaria serenità. Che a Bardonecchia è facilmente raggiungibile grazie alla mitezza del clima montano. Non tanto lontano da Torino.
Netnografia:
Il Piccolo Braschi nel Café Medail
I contributi per il “pero giolittiano”
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