regia di Jacques Audiard
con Zoe Saldaña, Karla Sofía Gascon, Adriana Paz, Selena Gomez, Edgar Ramirez, Mark Ivanir
dal 9 gennaio nelle sale
Spesso pensiamo che tutto sia già stato fatto, detto e visto e che l’unica strada sia quella di replicare con minime variazioni il passato. Vedi Emilia Pérez, lo straordinario film di Jacques Audiard, fresco vincitore ai Golden Globe, e ti dici che per fortuna non è così: la creatività non ha confini e se c’è un’opera che può confermarlo è proprio questo film, impossibile da ingabbiare in un genere, forte della sua anarchia stilistica.
Emilia Pérez (dal nome della protagonista) è cento film in uno solo, un otto volante fra i generi con salti mortali che solo un regista temerario come Audiard poteva reggere. Ci troviamo di fronte a una commedia, a un mélo, a un thriller sul narcotraffico, a una commedia transgender, a un musical anomalo, ma soprattutto a uno struggente inno alla libertà.
La storia si può riassumere in poche righe e forse vi è già nota: siamo in Messico, una giovane avvocatessa, “ubbidiente” assistente in uno studio, viene contattata da un feroce capo narcos per aiutarlo a cambiare identità e vita. Vuole farsi credere morto e diventare donna. Da questo assunto stupefacente parte il film, con svolte inaspettate, perché cambiare identità, sostituire il femminile “compassionevole” a un maschile di prepotente dominio trasforma una persona molto più di quanto possa immaginare essa stessa.
Lo spietato criminale dopo molte operazioni diventa così Emilia Pérez, una donna che però non riesce a staccarsi dal suo passato, ha nostalgia della sua famiglia, del Messico e non sarà così semplice sovrapporre la nuova identità alla vecchia.
Fermarsi alla trama è svilente, perché il film è molto di più. Prima di tutto è i corpi delle sue protagoniste (che hanno meritato il premio collettivo per l’interpretazione al Festival di Cannes), soprattutto la transgender Karla Sofía Gascon che è duttile, dolce, crudele, disperata, feroce, materna e drag queen e persino divina in un calvario che percorre in tutte le sue tappe. Zoe Saldaña è l’avvocatessa e incarna tutte le difficoltà di una donna che si confronta col machismo dei paesi latini. Perfetta anche Selena Gomez, “vedova” del narcos, donna cangiante, madre affettuosa ma al tempo stesso femmina disposta a tutto per seguire le sue passioni.
Intorno, il mondo, un Messico dalle molteplici facce, l’aspetto criminale, quello ricco e istituzionale spesso corrotto, la corte dei diseredati, poi la ricca Londra della City e ancora le capitali della medicina dove cambiare sesso (dal sud est asiatico a Israele), ambienti tutti fermati in immagini mai scontate.
Infine, lo stile, che muta senza sosta, passando dalla commedia al dramma, dal thriller al mélo al musical. E qui tocca fermarsi, perché il musical “inventato” da Audiard non ha niente a che vedere con quello che questo termine ha significato nella tradizione. Le canzoni e i balli benissimo coreografati irrompono nella narrazione senza soluzione di continuità, amalgamandosi alla storia con passaggi fluidi, come se la musica e la danza traducessero sulla scena i pensieri e le emozioni.
Una visione del musical tutta interiore, intimista, lontanissima dalle coreografie luccicanti. Un musicla coinvolgente eppure dimesso e discreto. Due ore di film che sui titoli di coda avremmo una gran voglia continuasse. Aspettiamo al varco gli Oscar. Di sicuro vedremo Audiard sul palco che deve essere risarcito per non avere ricevuto la Palma d’oro al Festival di Cannes dove il film era in concorso. Inconcepibile e imperdonabile che la giuria gli abbia preferito il modesto Anora. Ma il riscatto non tarderà, ci scommettiamo.