regia di Alain Guiraudie
con Catherine Frot, David Ayala, Elio Lunetta, Félix Kysyl
dal 16 gennaio nelle sale
I Cahiers du cinéma, la mitica rivista di critica cinematografica, lo ha incoronato come il miglior film del 2024. Esagerano, sono partigiani e provocatori, ma di certo L’uomo del bosco è un oggetto molto particolare che se conquista, conquista davvero. Film strano, colto, cinefilo, provocatorio, libero e a tratti sconvolgente, con impennate e colpi di scena che rendono credibili svolte inverosimili.
La Francia di L’uomo del bosco assomiglia alle montagne minacciose di Shining, ai boschi carichi di inquietudine di Twin Peaks, un territorio che sembra innocuo e tranquillo e che invece all’improvviso prende le tinte del male più torbido.
Fin dalle prime inquadrature c’è qualcosa che non si capisce, c’è un auto che lascia la “civiltà” e si inerpica per le montagne ma noi seguiamo il percorso con una soggettiva che sembra dar vita ai fari della macchina. Alla guida un giovane uomo, Jéremie che, lo capiremo appena arriva a destinazione, lascia il lavoro di panettiere a Tolosa e torna nella sua città natale, per il funerale del fornaio che gli ha insegnato il mestiere. Il paese è piccolo, duecento anime, tutte con qualche scheletro nell’armadio e chissà se davvero ciascuno ignora i segreti degli altri o se il gioco condiviso è quello dell’ipocrisia collettiva. Tutti hanno peccati da scontare, tutti contano sulla “misericordia” (Miséricorde è non a caso il titolo originale).
Jéremie parla poco, si aggira per le case, non riparte, come tutti si aspetterebbero, ma si ferma a casa di Martine, la vedova del fornaio, instaurando con lei un rapporto sempre più stretto, che forse risale alla sua infanzia. E chissà cosa altro lo lega agli altri abitanti del villaggio.
Tutto ha radici nel passato, ma è un passato che tutti vogliono cancellare, rimuovere, ignorare o mistificare.
Ci sono uomini burberi che abitano in case isolate, c’è un vecchio amico d’infanzia che cova motivi di rancore di cui sfuggono i motivi, c’è poi un prete, il personaggio più interessante e sconvolgente che ha un’idea tutta sua della carità cristiana.
E Jéremie, l’intruso, lo straniero, il fantasma si aggira per le strade ripide del borgo e cammina per i boschi dove il terreno putrido è feconda culla per i funghi ma anche per molto altro.
Jéremie assomiglia al Terence Stamp di Teorema, di Pasolini e come lui è una presenza disturbante che mette in crisi e seduce tutti quelli che avvicina.
Ci sono la commedia e il sorriso, ma ci sono soprattutto il buio del male sepolto anche nelle anime all’apparenza più candide.
Raccomandato ai cinefili, agli amanti del cinema francese e a tutti quelli che hanno voglia di qualcosa di diverso, di seguire assieme a Jéremie percorsi sghembi in un film che non ha paura di niente e che si concede tutto, fuorché le convenzioni.