regia di Olivier Dahan
con Elsa Zylberstein e Rebecca Marder
nelle sale dal 30 gennaio, con anteprime il 27, Giornata della Memoria
Ci sono donne da cui si può solo imparare. Ci sono donne di cui si pensa, con un po’ di supponenza, di sapere tutto. Magari si è anche convinte che siano relegate nel passato. Poi, arriva un film che ci fa avvicinare va loro e ci si rende conto di quanto sia stata preziosa la loro vita. E quanto ci sia ancora da imparare da loro. Un film che si poteva temere scontato si rivela invece ricco di emozioni e di insegnamenti. Simone Veil, alla fine del bel film di Olivier Dahan, la sentiamo vicina, amica, quasi una parente, una zia che abbiamo visto poco ma di cui ci hanno parlato molto.
Questo è il merito principale del lavoro di Dahan, raccontare senza appesantire, romanzare solo per spiegare meglio, emozionare restando ancorati al coraggio. E alla fierezza, perché fin da bambina questa è stata Simone Veil: una persona fiera, che ha sempre cercato la sincerità e che con totale onestà ha combattuto per tutta la vita, fedele ai suoi ideali di giustizia e tolleranza, senza mai lasciarsi trascinare nel vortice cupo della vendetta e neanche della depressione. Sentimenti che, con tutto quello che ha subito, sarebbero stati comprensibili.
La scelta del regista di far andare lo spettatore avanti e indietro nel tempo evita l’approccio didascalico e aiuta a entrare nel cuore, nella mente, nello spirito di questa grandissima donna.
La vediamo nelle diverse fasi della sua vita, in sintesi tre. Bambina, già decisa e curiosa, in un’infanzia serena con genitori molto amati, poi nel buio della guerra, nella devastante deportazione a Auschwitz, infine negli anni del riscatto dove, madre di tre figli, magistrato e politico, porterà avanti battaglie epocali in Francia e nella nascente Europa.
Caparbiamente arriva dove sembrava impossibile, è magistrato di Francia e poi la prima presidente donna del Consiglio superiore della Magistratura. Infine statista a 360 gradi, che fra le molte battaglie vinte ha fatto approvare la legge sulla depenalizzazione dell’aborto in Francia, risultato che l’ha resa popolare fra tutte le donne. Infine il ruolo più prestigioso: europarlamentare e prima donna presidente del Parlamento europeo dal 1978 al 1982.
Niente è stato facile, niente le è stato regalato, tutto lo ha conquistato con l’impegno e la fatica, lottando anche in famiglia perché il marito all’inizio non accettava gli impegni della moglie “che la allontanavano da lui e dai tre figli”. Ma poi è stato il primo dei suoi sostenitori, in un rapporto che come tutti quelli più riusciti, la coppia ha costruito giorno dopo giorno.
Fra le tante battaglie “civili” non va dimenticato l’impegno per aprire le biblioteche nelle carceri, la difesa delle prostitute. E l’attenzione ai carcerati soprattutto ai “terroristi” algerini. Seguendo la sua storia si ha nostalgia di un tempo in cui si compivano progressi democratici veri, senza gli stizzosi litigi quotidiani a cui assistiamo oggi fronte democratico. Di Simone (alla fine diventa naturale chiamarla per nome), si ammirano l’intelligenza, la lucidità, l’onestà intellettuale mai venuti meno l’orrore dei campi di sterminio. In una scena la vediamo con la cazzuola in mano, a posare i mattoni per un’inaugurazione, con grande abilità. All’uomo politico di fianco a lei che l’elogia risponde: è una lavoro che so fare. L’ho imparato nei campi. E in ogni momento quei ricordi, quella terribile esperienza si trasformano in qualcosa di positivo e mai in un blocco.
Una grande lezione, una grande donna, un film da far vedere ai più giovani.