Oggi il femminismo si confronta con gli esiti infausti delle proprie vittorie, quella della parità, in particolare.
di Maria Aprile
Imperfetta per quanto si voglia, nelle società simbolicamente occidentali, almeno sulla carta la parità è un dato di fatto. La parità di genere s’intende, e non uso volutamente quello di sesso.
Siamo Pari, ma pari a chi? Pari agli uomini, e cosa significa?
Nel patto sociale che sia patriarcale o fratriarcale, le donne non ci sono. Al patto che permette e include la parità di genere noi donne vi partecipiamo come maschi alla pari e per poterlo fare abbiamo accantonato l’eredità femminile. Siamo diventate soggetti che scelgono adattandosi alle regole del gioco, regole non cucite sui nostri di corpi, ma altrui, maschili.
Abbiamo adottato tempi, orari, organizzazioni e relazioni funzionali alla produzione. In tante hanno sfondato il soffitto di cristallo, scelto le nostre vite, il lavoro, lo studio, la possibilità di autodeterminarci, mandando in tilt gli equilibri tra produzione e riproduzione; quest’ultima è andata in crisi, ma all’orizzonte nuovi equilibri non sono apparsi.
Con il termine riproduzione non mi riferisco solo alla messa al mondo delle nuove generazioni, ma comprendo tutto quel lavoro di cura, la rete delle relazioni che permettono ad una società di funzionare, crescendo, sostando e nutrendo lo spirito. Ne è conseguito un efficentismo paralizzante che ha trasformato riproduzione e lavoro di cura in intralci alla vita e all’autodeterminazione.
Il lavoro di cura è rimasto a carico delle donne. Riproduzione e lavoro di cura sono rimasti fuori dall’orizzonte del pensiero sociale e politico. Del lavoro di cura gli uomini, la società, l’economia e lo stato non se ne sono fatti carico, né economicamente né simbolicamente. Tutti i discorsi e le politiche sul calo demografico sono stati costruiti ignorando i desideri e le vite delle donne.
Se ci assumiamo riproduzione e lavoro di cura non facciamo carriera, non guadagniamo e l’eventuale dipendenza economica scaturita è posta a nostro carico, come responsabilità personale. Le lagnanze indisturbate dei padri separati ben rappresentano quest’assenza di pensiero sociale.
Un assenza registrata anche nelle risposte politiche dei partiti della sinistra all’aumento degli anni per l’accesso alla pensione con opzione donna. Poteva essere l’occasione per aprire un dibattito sull’identità e le ragioni della maggioranza di quante si trovavano costrette ad una così drastica perdita di reddito. Poteva essere l’occasione per scoprire l’importanza del lavoro di cura, invece così non è stato: si è parlato di generici diritti delle donne attaccati, finendo con l’adombrare un possibile antiparitario privilegio.
L’assottigliamento del tempo per la riproduzione bio-sociale ci sta lasciando più affaticate, sole, arrabbiate, in balia dei risentimenti sociali nostalgici intravisti come la più rapida scorciatoia per ricreare equilibri smarriti, perchè di riproduzione e cura ce n’è bisogno e il patto sociale deve comprenderli come deve comprendere la presenza dei corpi e dei desideri delle donne.