Da mesi i senatori e le senatrici stanno cercando un accordo per arrivare alla legge che normi finalmente quanto già esaminato dalla Consulta nel 2022 in tema di cognomi assegnati alla nascita e che ha dichiarato illegittima l’automatica eredità del cognome paterno. Ci sono ben 4 testi, tutti dell’opposizione, tra cui quello a firma di Simona Malpezzi, Valeria Valente e Cecilia D’Elia.
Le audizioni si sono concluse. Si è in attesa della proposta del testo base unitario dalla relatrice. Ma i senatori sono bloccati su cosa fare in mancanza di accordo tra genitori.
Dare ai figli solo il cognome della madre, come «risarcimento per un’ingiustizia secolare» contro le donne, «che è stata anche una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere». Tale proposta è giunta da parte dell’ex ministro Dario Franceschini all’interno della riunione del gruppo Pd, chiamato a esaminare le proposte di legge in commissione Giustizia del Senato. «Anziché creare infiniti problemi con la gestione dei doppi cognomi o con la scelta tra quello del padre e quello della madre, stabiliamo che dall’entrata in vigore della nuova legge i figli prenderanno solo il cognome della madre», ha detto, dicendosi pronto a presentare un nuovo Ddl in Senato.
Sono quasi cinquant’anni, dal 1979, che il Parlamento ne discute senza giungere a una disciplina organica.
Tuttora manca una legge ad hoc e al momento la Corte Costituzionale è arrivata prima del Parlamento a dipanare la matassa. Quali risultati concreti? Nei primi due anni da quella pronuncia, secondo l’Istat, sono stati 46mila i bambini figli di coppie che hanno scelto di smantellare quell’automatismo, «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», come si pronunciò la Consulta.
Nel 2023 il doppio cognome è stato assegnato al 6,2% dei nuovi nati (partendo dal 2,4% del 2020), con una prevalenza nel centro nord della penisola. Un dato in crescita ma non c’è stato l’atteso boom, segno di una difficoltà che si annida da una parte nella non adeguata conoscenza di questa opportunità nuova, ma anche nel fatto che forse la società non è pronta del tutto a recepire questo cambiamento e vi sono alcune resistenze culturali.
La popolazione evidentemente si aspetta interventi sia simbolici che concreti in tema di genitorialità. Indubbiamente, ci sarebbe bisogno di provvedimenti che riguardano i congedi parentali e i servizi pubblici a riguardo, per riequilibrare il peso dei compiti di cura. Per non parlare poi della necessità di adeguare le retribuzioni al costo della vita e all’inflazione, contrastare il precariato e il lavoro povero, trovare soluzioni al caro dell’abitare, per ridurre la povertà e le disuguaglianze crescenti. Tutti aspetti che meritano la nostra attenzione e il nostro fare politico. Sono tutte questioni che dovrebbero essere ai primi posti dell’agenda governativa.
E negli altri Paesi? In Francia, in assenza di accordo, i figli prendono il doppio cognome; in Lussemburgo si procede a sorteggio; in Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria se non ci sono indicazioni viene assegnato il nome della madre; in Spagna si applica il doppio cognome, con possibilità di sceglierne l’ordine.
Abbiamo pensato di chiedere qualche informazione in più in materia alla prima firmataria di uno dei disegni presentati in Senato.
Buongiorno senatrice Simona Malpezzi, ci vuole illustrare il suo Ddl?
Il Ddl che ho presentato già nella scorsa legislatura si propone di normare l’attribuzione del doppio cognome alle figlie e ai figli.
È un ddl che ha anticipato la sentenza della corte costituzionale che ha ritenuto non costituzionale l’attribuzione automatica del solo cognome paterno. Oggi la legge serve per normare il doppio cognome. Onestamente abbiamo messo al centro la libertà delle famiglie di scegliere: o il doppio cognome, o quello della madre o quello del padre. E se non c’è accordo tra i genitori diventa obbligatorio il doppio cognome in ordine alfabetico. Per le generazioni successive, cioè per i figli e le figlie di chi ha già un doppio cognome, se ne sceglie uno per parte. Così non si moltiplicano. Inoltre una volta scelto il cognome, quello diventa automaticamente il cognome che si dovrà dare anche alle sorelle e ai fratelli.
Ripeto, questa è la proposta che ha anticipato la sentenza della corte e che quindi è rimasta molto attuale e che è uno dei testi che si stanno affrontando in commissione giustizia.
Personalmente quale soluzione trova più adeguata al contesto italiano e perché?
Mi piacerebbe un approccio di libertà, come dicevo prima, per garantire la scelta della famiglia. Dopodiché è anche vero che in una Italia in cui il patriarcato è massicciamente introiettato, forse una spinta più forte verso il doppio cognome e basta potrebbe essere utile.
Quali potrebbero essere gli aspetti più concreti e urgenti da disciplinare per scardinare il patriarcato?
Se la domanda è riferita a questa legge penso che riconoscere finalmente la storia e le radici della madre sia un elemento fondamentale: figli e figlie sono frutto dell’incontro di storie al plurale di cui sono portatrici e portatori. E questo sarebbe un inizio importante.
Poi chiaramente abbiamo ancora problemi profondi su come è strutturata la nostra società. Siamo ben lontani da un Paese che si possa dichiarare a misura di donne e uomini: dalla mancanza del congedo paritario obbligatorio alla questione dei carichi nella cura, al fatto che in Italia, statisticamente, solo una donna su due lavora. E potrei andare avanti.
Quanto è importante lavorare anche sul piano simbolico?
Io lo trovo fondamentale. Il simbolo racconta che qualcosa esiste. Se esiste lo devi normare. Simbolicamente il doppio cognome può aiutare a cambiare il costrutto mentale nella nostra società.
Ci sono altri aspetti in tema di parità di genere su cui sta lavorando?
Mi sono occupata e continuo a farlo, della battaglia sui nidi in tutto il Paese con il PNRR (battaglia che stiamo continuando perché questo Governo ha tagliato sui progetti soprattutto al Sud) e sul tempo pieno: sono temi che si incastrano e incrociano con la parità. Perché se hai spazi per l’educazione e crescita questo consente alle madri di ridurre il carico di cura e quindi di non essere costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. E sto lavorando per provare a modificare il calendario scolastico dosando gli spazi di vacanza ridistribuendoli. Questo a fianco di associazioni che hanno raccolto anche tantissime firme. Mi riferisco in particolare al lavoro fatto da Francesca Fiore e Sarah Malnerich.