Un film di Mel Gibson
con Mark Wahlberg, Michelle Dockery, Topher Grace
nelle sale dall’8 maggio

Mel Gibson è stato un grande protagonista del cinema d’azione degli anni Ottanta e Novanta e poi regista di opere eccentriche e molto personali come Apocalypto e La passione di Cristo. Cattolico integralista, indisciplinato, estremista in tutte le sue scelte, vive ormai ai margini di Hollywood e forse è rimasto legato agli antichi fasti. Almeno a giudicare dall’ultimo lavoro che vede il suo rientro in veste di regista per un film che rimanda al cinema di una volta.

Niente da dire, la trama c’è, ma come si usava allora, quindi pulita e senza troppe sorprese, l’azione pure, ma anche questa come te l’aspetti, perché nessuna svolta della storia stupisce lo spettatore. Gli interpreti fanno il loro mestiere senza particolari guizzi, a parte Mark Wahlberg che, nei panni di un cattivo psicopatico in certe inquadrature ricorda lo sguardo allucinato di Jack Nicholson. Insomma, in sintesi, possiamo dire che Flight Risk è consigliato agli appassionati di action movie, ma quelli sulla scia di Arma letale, senza però l’ironia leggera che aveva caratterizzato quella serie di gran successo.

Siamo in Alaska, un giovane uomo se ne sta in una baita isolata con la sola compagnia di qualche cervo quando, all’improvviso irrompe una squadra armata comandata da una donna. L’uomo viene immobilizzato e portato via. Perché? Si tratta del contabile di un mafioso la cui condanna dipende dalla sua testimonianza. Testimonianza che il ragazzo non aveva nessuna voglia di fare, perché, è risaputo, in quelle circostanze i guai sono in agguato e si rischia la pelle. Ma non può sottrarsi.

L’agente federale deve così scortare il prigioniero fino a un piccolo aeroporto dove un pilota li aspetta per trasportarli fino al processo. Allo spettatore viene il dubbio che, vista l’importanza del testimone, le misure di sicurezza siano davvero scarse. Infatti…

Ovviamente non tutto va come dovrebbe, l’aereo fa le bizze, la donna non smette un attimo di recitare la parte della dura, il prigioniero è incatenato e quindi impossibilitato a fare alcunché e il pilota diventa di minuti in minuto sempre meno affidabile. La catastrofe sembra avvicinarsi mentre il traballante velivolo sorvola un’area inospitale innevata dell’Alaska più selvaggia e i collegamenti con la base saltano. Sull’evoluzione dei rapporti dei tre, nello spazio claustrofobico della cabina si gioca quasi tutto il film che ha scene all’aperto solo all’inizio e nel finale.

C’è ritmo, ma il pepe scarseggia. E soprattutto si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un film del secolo scorso. Perché oggi il cinema ci ha abituato a strutture più complesse a una scenografia più elaborata. E se una commedia può far riferimento al passato, anzi a volte l’old style giova, un action movie non può più permetterselo: il confronto è troppo impietoso.