di Valeria Massenzi
INCONTRO CON L’ATTORE DANIELE PECCI AL CINEMA CON MATERNITY BLUES
Classe 1970, 188 cm di “Marcantonio”, l’attore romano Daniele Pecci dopo anni di teatro entra con grande successo nelle case italiane, interpretando il ruolo di Pietro, protagonista maschile della tanto amata fiction di Rai Uno Orgoglio.
Da quel momento il bravo attore diventa uno dei volti più popolari e apprezzati nel panorama artistico italiano, cimentandosi, negli anni, in vari ruoli sia per la televisione che per il cinema, non dimenticando il teatro.
Come nasce il Daniele Pecci attore? Era nei tuoi programmi lavorare nel mondo dello spettacolo o è stato un caso?
Un po’ per caso, così come per caso sono venuto a conoscenza che avevo diciamo delle potenzialità per poter intraprendere questo mestiere.
Ero alle scuole superiori e mi ritrovai a partecipare ad un seminario di recitazione con tanto di saggio a fine anno. In quel periodo iniziai a capire che la cosa poteva essere interessante. Avendo vinto una borsa di studio, presso una scuola teatro, dopo la maturità, prima di iscrivermi all’università, decisi di approfondire l’argomento.
In questi anni sei stato diretto da vari registi (ne cito solo alcuni, perché la lista è lunga): Patroni Griffi, Risi, Veronesi, Özpetek, Serafini, Torrini, Cattani ecc. con quale di questi sei riuscito a stabilire un rapporto quasi “simbiotico” e quindi a lavorare meglio?
Mah! Rapporto simbiotico direi mai. Mi sono trovato sempre bene con tutti, sono una persona propositiva e aperta, inoltre sono molto disciplinato e riconosco nella figura del regista colui che, giustamente, dà le direttive. Certo magari con qualcuno si può essere creata una maggiore affinità, come ad esempio con Marco Risi. Sul set (L’ultimo Padrino) c’era piena sintonia. A volte non servivano nemmeno le parole, ci si capiva con uno sguardo, non so spiegarlo era come se dietro quell’esperienza ci fosse una sorta di background comune. Anche con Umberto Marino, che mi ha diretto in Sposami, una commedia che vedremo in autunno su Rai Uno, il rapporto è stato molto buono. Insomma non ho mai avuto problemi, ripeto, sono una persona che generalmente va d’accordo con tutti.
Tre caratteristiche per essere un buon attore, secondo Daniele Pecci?
Non è facile rispondere, perché è molto soggettivo, non c’è un’unica ricetta che vale per tutti. Ti posso dire cosa faccio io, a cosa do importanza… stare sul pezzo, lavorando sodo alla preparazione del personaggio, imparare bene le batture e poi sicuramente una buona preparazione fisica e vocale.
Cosa pensi un attimo prima del ciak?
Dipende… in alcuni casi c’è bisogno di una grande concentrazione, perché magari è più difficile per me entrare nel personaggio, altre volte si è più tranquilli e ci si lascia andare, senza pensare a nulla…anche qui non c’è una regola, per quanto mi riguarda la concentrazione nasce circa 30” prima del ciak. Riesco ad avere una concentrazione profonda, in maniera molto rapida.
Tra i tanti personaggi da te interpretati qual è quello che ti ha coinvolto o affascinato di più?
Ogni personaggio ha il suo fascino: posso dirti che è stato interessante e divertente portare in scena a teatro un testo di Bergman “Scene da un matrimonio” dove ho interpretato Giovanni. Sono stato affascinato dal film storico, dal contesto nel quale ho “vissuto”, da soldato, situazioni a me lontane tra cavalli e battaglie. E poi come non citare la mia interpretazione di S. Paolo: l’idea di prestare il mio volto, la mia voce, per un breve periodo ad un personaggio storico così importante mi ha sicuramente appassionato.
Hai avuto l’opportunità di partecipare ad un film americano “The Tourist” con un cast artistico e tecnico internazionale. Che cosa hanno gli americani che non abbiamo noi italiani?
L’industria, noi non abbiamo un’industria cinematografica. Con un’ industria che funziona alla grande il livello tecnico e artistico è portato all’ennesima potenza. Noi possiamo fare belle cose ma prettamente con quello che abbiamo dentro: far cinema con pochi soldi, tante idee, esperienza e talento…come in Maternity Blues, il film a cui ho avuto il piacere di dare il mio contributo artistico, diretto da Fabrizio Cattani, è stato realizzato con un basso budget.
Dopo i premi di Venezia e Bari è iniziata da qualche giorno, in tutta Italia l’avventura al botteghino proprio della pellicola Maternity Blues, la storia di quattro donne, chiuse in un ospedale psichiatrico, che hanno in comune una tragedia: l’infanticidio. Chi è il tuo personaggio?
Un uomo semplice, originario di un piccolo centro del Friuli è stato legato a Clara da cui aveva avuto due figli, da lei successivamente uccisi. La tragedia cambierà, stravolgerà, naturalmente, le loro vite… ma lui nonostante si sia rifatto un’esistenza altrove, rimane comunque innamorato della moglie. Anche il delitto più grande, il più imperdonabile, l’infanticidio, può meritare il perdono o essere compreso.
Valeria Massenzi
Nata a Roma, ha due figlie. Diplomata all ‘Ist. Professionale per il Turismo e il Commercio estero. Ha svolto una varietà infinita di lavori: dalla Segretaria di Direzione di un’importante multinazionale francese, all’agente di commercio, all’impiegata di banca nella sezione investimenti –collaboratrice di un broker –al lavoro di hostess presso
l’aeroporto L .Da Vinci di Roma. Negli ultimi anni ha collaborato con varie produzioni su diversi set: cinema e fiction. Non potendo citare tutte le attività svolte, ha scelto quelle che le hanno dato di più, sia dal punto di vista lavorativo che personale. Nel 2009 partecipa attivamente – rivestendo vari ruoli nella produzione “Tasche Vuote” – alla realizzazione del cortometraggio Viaggi Paralleli, diretto da Fulvio Spagnoli, un’opera che si classifica al
primo posto nella sez. surreale del Festival del Cortometraggio di Roma. Nel giugno del 2010 esce il suo primo romanzo: Primavera a Novembre, edito da Alpes Italia Qualche mese più tardi si laurea in Lettere: sceneggiatura cinematografica e televisiva, autrice di testi per programmi radiofonici e televisivi; presso l’Università Statale Roma Tre. Attualmente si occupa di scrittura, privilegiando la sceneggiatura.