di Caterina Della Torre
Un approccio diverso al mondo della leadership e del lavoro femminile, quello di Roger Abravanel.
Più donne ai vertici delle aziende quotate e non solo miglioramenti nelle infrastrutture aziendali. Le persone migliori nei posti migliori. Escludere le donne più qualificate dai board d’amministrazione è un danno per tutti, non solo per le donne.
Questo è ciò che afferma e propone Roger Abravanel. Ingegnere, nato a Tripoli, nel 1946, emigrato in Italia nel 1963 dove si laurea in ingegneria chimica Lavora come ricercatore fino al 1970, e in seguito consegue un Master in Business Administration presso la business school INSEAD. Per 35 anni lavora poi per la società di consulenza McKinsey & Company, terminando la sua esperienza nel 2006. Attualmente svolge l’attività di advisor per Alcuni fondi di cui uno in Israele. Partecipa inoltre ai consigli di amministrazione di Luxottica Group S.p.A., Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., Teva Pharmaceutical Industries Ltd e dell’Istituto Italiano di Tecnologia. È presidente dell’Insead Council italiano.
La sua vasta esperienza di lavoro l’ha portato più volte a considerate il ruolo delle donne all’interno delle aziende, divenendo un loro serio sostenitore fino a definirsi “amico delle donne” e a riportare nel suo libro Meritocrazia un punto dei quattro proposti, dedicato proprio a loro.
Non crede che questo interesse per il mondo delle donne da parte del mondo economico oggi sia strumentale alla crisi?
La questione femminile è nata molti anni fa. Ricordo di aver partecipato nel 1975 a Città del Messico alla prima Conferenza Mondiale sulle donne indetta dalle Nazioni Uniti. Mi ritrovai insieme a uno sparuto manipolo di altri uomini, in mezzo ad un oceano di delegate donne, intente a discutere di diritti, opportunità, sviluppo e disarmo. Sperimentai allora sulla mia pelle come ci si trova quando la leadership del gruppo appartiene in stragrande maggioranza all’altro sesso.
Infatti,fu la prima conferenza dell’ONU in cui, tra i capi delegazione nazionali, 113 su 133 erano donne.
Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti ed il ruolo delle donne nella società si è modificato, indebolito o rafforzato, ma da quella esperienza ho imparato che non è bene che la leadership appartenga solo ad un gruppo
La leadership al femminile è un tema a cui penso, sostengo e che promuovo da oltre trent’anni. Dal 1975 ad oggi, certamente qualche progresso, anche in Italia, si è fatt, da Tina Anselmi a Nilde Iotti a Marisa Bellisario. Ma purtoppo è ancora insufficiente.
Cosa propone per rompere il “tetto di cristallo”?
Un’azione positiva sul modello norvegese per aumentare il numero di leader donna nei consigli di amministrazione delle aziende, accompagnata dall’incentivazione a periodi di maternità più brevi e dalla creazione di una vera rete di asili nido pubblici e privati.
L’impatto di una normativa simile a quella norvegese, che prevede che i consigli siano costituiti per il 40 per cento da donne, da noi sarebbe enorme: oggi l’Italia, con il 3 per cento, è il fanalino di coda in Europa. Inoltre di questo dii questo 3 per cento la metà sono mogli, figlie e fidanzate dell’imprenditore di riferimento, a riprova della scarsa meritocrazia del nostro capitalismo.
Quindi “quote rosa”?
Questa proposta è stata osteggiata da diverse donne, in parte perché richiama le quote rosa della politica e in parte perché le migliori donne non amano l’idea di avere vantaggi non meritati per promuovere la meritocrazia.
Ma….
Sono convinto che un ”acceleratore temporaneo” sia necessario per creare quei ”role models” di donne leader, ma anche mogli e madri.
Perché partire dai consigli di amministrazione?
Perché una volta che le donne faranno parte di questi, facilmente tutte le azioni positive cadranno a cascata sui manager, la struttura dell’azienda e quindi i dipendenti. E’ un’attività necessaria ed utile a scardinare il sistema egemonico maschile presente in Italia.
Del resto nell’ultimo quindicennio la mobilità sociale delle donne, come quella degli uomini, sembra aver subito una battuta d’arresto facendo dell’Italia la società più ineguale e ingiusta del mondo occidentale.
Ineguale perché la distanza tra le élite e i poveri è ai livelli americani e inglesi, e ingiusta perché, contrariamente a quanto avviene nel mondo anglosassone, non esistono meccanismi di pari opportunità che permettano ai giovani di talento di emergere.
E’ ormai discorso comune che il rilancio dell’economia italiana dovrà passare attraverso il lavoro delle donne. Ma qual è la sua proposta ?
E’ necessario che il ”role model donna” venga interiorizzato portando a sfruttare il proprio talento lavorativo con la costruzione di un curriculum che permetta di concorrere ad armi pari). Del resto tagliare fuori dalle società quelle teste, le donne, che hanno studiato e si sono fatte valere nel mondo economico è un danno per tutta la società. Se vogliamo che l’Italia riparta, dobbiamo fare loro spazio.