ERCOLE ROCCHETTI… “CHI L’HA VISTO?”
Documentarista italiano (regista, giornalista, irettore della fotografia) Ercole Rocchetti è specializzato nel settore sociale e nel giornalismo d’inchiesta. Vincitore di vari remi tra cui il Premio Ilaria Alpi nel 2006, dopo aver collaborato con alcune importanti produzioni italiane e con il programma televisivo Exit in onda sul canale La7, nel 2010 Rocchetti inizia a collaborare, come giornalista e inviato per un programma storico di RaiTre “CHI L’HA VISTO?”.
Com’è approdato Ercole Rocchetti al giornalismo?
E’ stato un caso. Da ragazzo volevo lavorare nel cinema, ma era molto difficile. Mi sentivo portato verso la narrazione, quindi inizialmente mi dedicai al giornalismo per guadagnarmi qualche soldo, lo consideravo un po’ un hobby. Il mio percorso in questo settore è stato decisamente lungo. Sono sempre stato un “curioso” e così sia durante il periodo universitario che successivamente ho cercato di affinare la tecnica narrativa attraverso le immagini. Sicuramente, in questo mio “viaggio” devo molto al grande Pupi Avati. Grazie alla mia formazione giornalistica e cinematografica, nel 2000 ho avuto la fortuna di iniziare una collaborazione con Avati e a realizzare diversi documentari prodotti da lui, in varie parti del mondo. In quel periodo ho avuto, anche, il piacere di conoscere e lavorare con Raoul Garzia (oggi operatore di ripresa di Michele Santoro) un grande professionista che mi ha insegnato molto. Ricordo che a Nairobi, dove ci trovavamo per un reportage, abbiamo passato dei momenti davvero belli.
Perché giornalismo d’inchiesta e non altro?
Mi piace stare sul “campo”, avvicinarmi a determinate realtà. Essere in quel luogo, vivere per un periodo con quelle persone, mi permette di conoscere un pochino meglio l’umanità e quello che c’è intorno. E’ guardare direttamente con i tuoi occhi, documentando attraverso una videocamera, il mondo in piena libertà, nella sua totale realtà… bella o brutta che sia, ma vera.
Il tuo lavoro ti ha portato in giro per il mondo, cosa si prova a “DARE VOCE” a coloro che spesso voce non hanno?
Sicuramente è qualcosa di molto importante nel giornalismo umanitario. C’è un evento che porterò sempre con me: quello della piccola Mariana. Una vicenda molto drammatica in cui mi sono imbattuto quasi per caso. Ma andiamo per gradi. Mi trovavo in Romania, sempre per conto di Avati e Sat2000, dovevo realizzare un reportage su una giovane donna Micaela, 29 anni, che tornava nel suo paese di origine dopo una situazione di clandestinità in Italia, durata sei anni. La donna aveva avuto nel nostro paese una figlia e ora tornava in Romania per poter sposare il padre della bimba, rimpatriato prima della sua nascita, perché aveva precedenti penali. Lui e Micaela erano rimasti implicati in un brutto incendio doloso, avvenuto a Roma, nel quale erano morti diversi extra-comunitari. Alcuni rappresentanti delle autorità romene, in Italia, (premetto che il Paese si preparava ad entrare in Europa) mi offrirono la possibilità di avere una guida, un traduttore e luoghi dove poter alloggiare, durante il mio lavoro di reportage. Le riprese dovevano rappresentare il Paese, mostrando location interessanti da visitare sia dal punto di vista storico, che artistico, che paesaggistico. Io dovevo seguire le tracce di Micaela, quindi intrapresi da solo il mio viaggio, per realizzare il reportage. Sapevo che il villaggio da cui proveniva la donna, si trovava nella Moldavia romena una delle zone più povere del paese. Arrivai nel villaggio, non c’era nulla, la parola povertà, per come la intendiamo noi, in quei luoghi è quasi un sinonimo di normalità. Case fatte di fango, niente rete idrica e fognaria… automobili completamente assenti. I più fortunati si spostavano con dei carretti trainati da un cavallo, lungo sentieri sterrati. Dopo il matrimonio di Micaela, molto folcloristico sicuramente, venni condotto in un’altra casa non molto distante da li e quello che videro i miei occhi fu agghiacciante. All’interno trovai, in un angolo, chiusa in una gabbia una bellissima bambina di nemmeno due anni, lontana parente di Micaela. Nella gabbia con lei un gatto e due ciotole. La piccola che viveva con i nonni, contadini e alcolizzati, veniva chiusa e lasciata li per quasi tutto il giorno, perché i due anziani dovevano andare nei campi a lavorare. La bimba mangiava e beveva direttamente dalla ciotola insieme al gatto, che le faceva da guardiano…in giro c’erano tanti topi. Rimasi davvero sconcertato. Provai a contattare varie associazioni romene, per aiutare la piccola, ma nessuno poté fare nulla… registrai il tutto con la videocamera e con la morte nel cuore lascai quel paese. Le immagini da me realizzate in poco tempo fecero il giro dell’Europa, e suscitarono molto clamore in Romania dove si parlò anche di omissioni da parte delle istituzioni locali che erano a conoscenza di questa situazione. Del fatto fu fatta menzione addirittura al parlamento europeo. Ad ogni modo la popolazione romena reagì in modo esemplare alla vicenda di Mariana al punto che giunsero più di 3.000 richieste di adozione (cosa mai successa fino a quel momento). Oggi la piccola è finalmente in salvo.
Sono riuscito a dare voce ad un’orribile situazione, sinceramente a livello umano sono molto soddisfatto, perché oggi Mariana ha una vera casa, una famiglia e una vita normale come è giusto che sia per ogni creatura. Naturalmente anche il mio lavoro ne ha beneficiato, inutile nasconderlo, tant’è che il documentario “Storia di Micaela” ha vinto nel 2007 il Premio del Pubblico al DocuFest di Atlanta. Da qui è partito il giornalismo d’inchiesta, nel quale è maggiormente presente il ruolo di giornalista inquirente.
Attualmente lavori come giornalista ed inviato in una trasmissione storica e di gran successo, di RaiTre, “CHI L?HA VISTO?”. Quanto è importante oggi fare servizio pubblico?
In un momento in cui si sta smantellando tutto, riuscire ancora a fare questo, con professionalità, è sicuramente molto importante, è un servizio utile alla collettività. Poi nel caso specifico di Chi l’ha Visto, il programma dà visibilità a dei casi a cui, forse, le forze dell’ordine non darebbero il giusto peso. Principalmente ci occupiamo di scomparsi, ma anche di misteri irrisolti, che riguardano il passato, come il caso Claps o Orlandi, solo per citarne due.
<<continua>>